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In Cristo non c’è fine malinconica, ma un nuovo “fine” a tutto per cui essere grati

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Soloviova Liudmyla|Shutterstock

don Luigi Maria Epicoco - pubblicato il 31/12/19

Da oggi non abbiamo paura della fine e della malinconia che porta con sé, perché sappiamo che anche dietro a ogni fine c'è un fine, un senso diverso, una meta che ci dà speranza e per cui non possiamo che essere grati.

In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta. Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.
Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.
Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli rende testimonianza e grida: «Ecco l’uomo di cui io dissi: Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia. Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.

Giovanni 1,1-18

Ogni fine ci incupisce sempre, ma solo perché a noi non piacciono le cose che finiscono. Certo, a volte si è molto felici che certi anni siano passati, perché magari sono state delle cisterne di problemi e di sofferenza o di cose difficili da vivere. Ma normalmente alcune date ci mettono dentro molta nostalgia e pensieri. Un cristiano è uno che non solo sa fare spazio in se alla nostalgia, ma sa collocare accanto ad essa la gratitudine. Noi non possiamo vivere l’ultimo giorno dell’anno non ricordandoci che siamo figli di Uno che ci ha salvati e che ha riempito di luce le nostre tenebre:

E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità.

Il prologo del Vangelo di Giovanni che leggiamo oggi, vuole incidere a fuoco dentro ciascuno di noi, che Cristo si è fatto carne della nostra carne, sangue del nostro sangue. È stabilita così la fine della nostra radicale solitudine. Non siamo più soli mai. Possiamo sentirci soli, ma non lo siamo nella sostanza, e la memoria dell’incarnazione ci fa trovare la forza di vivere sempre con gratitudine ogni istante della nostra vita, anche il più doloroso. E questo perché Dio non è rimasto velato, ma si è raccontato:

Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.

Ecco perché la fine per noi cristiani è sempre una memoria del fine. Solo se apriamo gli occhi allo scopo della vita, al suo vero fine, allora possiamo trovare il coraggio di guardare in faccia anche la fine senza avere paura, ma anzi riuscendo a dire anche ad alta voce il nostro grazie. Il vangelo di oggi ci mette davanti una pagina difficile dell’evangelista Giovanni, e lo fa forse per ricordarci che anche la nostra vita a volte non è di facile decifrazione, eppure essa nasconde al fondo una buona notizia. Vangelo significa “buona notizia”, ed essa lo è anche quando la capiamo subito, come la nostra vita.
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