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Credere non è capire tutto, ma sapere che in tutto c’è un senso

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Tonktiti|Shutterstock

don Luigi Maria Epicoco - pubblicato il 27/12/19

Giovanni ama, non si ferma alle apparenze, ai segni che possono raccontare una storia di dolore: Lui sa che in quei segni c'è una promessa di gioia eterna. Lo sa non perché lo capisca davvero, ma perché ha fiducia che nell'amore c'è sempre un senso.

Nel giorno dopo il sabato, Maria di Magdala corse e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Uscì allora Simon Pietro insieme all’altro discepolo, e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro.
Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.

Giovanni 20,2-8

Oggi la liturgia ci fa festeggiare Giovanni, il discepolo amato. E il Vangelo ci aiuta a celebrarlo raccontandoci un pezzo decisivo della sua vita: l’incontro con Gesù Risorto.

Correvano insieme tutti e due.

La fede in Gesù Risorto è sempre un’esperienza che si consuma insieme e mai da soli. È una corsa dove qualcuno arriva prima ma ha la pazienza di aspettare l’altro. La fede nasce dagli occhi aperti sulla realtà che ti sta davanti:

entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.

Non è un ragionamento che ti fai sino a suggestionarti, è solo la costatazione di una cosa che trovi nella realtà che ti sta davanti e che solo l’occhio attento di chi guarda, e non certo quello presuntuoso di chi “presume” già di sapere cosa c’ha davanti, può accorgersi:

entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.

Molti di noi pensano che per credere c’è bisogno di un segno straordinario inconfutabile. Molti lo cercano per tutta una vita. Mentre è tutto sempre davanti ai nostri occhi, nelle cose che apparentemente sono lì per caso, ma per caso non lo sono di certo. In quelle cose che ti ricordano un dolore (il sudario) ma che invece sono il segnale di una gioia senza data di scadenza. Credere non significa comprendere tutto, ma credere che in tutto, anche in ciò che non si comprende, esiste un senso. La fede, così, non è una sorta di illuminazione conoscitiva, ma una fiducia vittoriosa nell’esistenza di un senso dietro tutte le cose, specie in quelle incomprensibili alla nostra mente, al nostro cuore e al nostro dolore. Gesù non ci spiega la croce, risorge. Predilige un fatto ad un semplice ragionamento. Noi crediamo ai fatti, che un giorno forse sapremo pure raccontare. Non crediamo in ragionamenti che in nessun modo diventano esperienza, perché troppo stretti per poter contenere la vita. Giovanni è il discepolo amato perché ha dato il primato all’amore non ai calcoli.
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