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Che posto ha la donna nella Chiesa?

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Sumit Saraswat | Shutterstock

Mons. Jacques Perrier - pubblicato il 23/12/19

Nel corso dei secoli, molte donne hanno avuto ruoli decisivi nella storia della Chiesa, specialmente alcune religiose.

Qual è il posto della donna nella Chiesa? La risposta esige che si torni alle fonti, che cioè si osservi il comportamento di Gesù nei Vangeli, che si comprenda il suo insegnamento sul matrimonio.

Gesù e le donne

Nei Vangeli sono numerosi i personaggi femminili. Un gruppo di donne accompagna Gesù e i suoi discepoli: più volte Gesù addita a modello le donne, come la Cananea, che diede prova di grande fede, o quella che versò sui suoi piedi un unguento profumato di grande valore. Alcune sono accusate dai farisei di essere “peccatrici”, ma Gesù libera la donna adultera, passibile di lapidazione. Egli s’intrattiene lungamente con la Samaritana, col più grande stupore dei discepoli. I suoi principali avversari sono tutti uomini. Il traditore, Giuda, è un uomo. Le prime messaggere della Risurrezione sono delle donne. Gesù impedisce all’uomo di divorziare laddove, fino a lui, l’uomo poteva divorziare per motivi anche futili. Questo è poco ma è sicuro: Gesù non è misogino.


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L’insegnamento di Paolo: si tratta di amore

San Paolo, invece, ha se non altro la fama del misogino. È lui a scrivere: «Le donne siano sottomesse ai loro mariti» (Ef 5,22-24). Però aggiunge: «…come al Signore». Non si tratta dunque di una schiavitù, ma d’amore. Dopo tre frasi di precetti per le donne, Paolo ne aggiunge otto rivolte agli uomini: «Amate le vostre mogli come Cristo ha amato la Chiesa». La relazione è reciproca, anche se non simmetrica. Il passaggio (Ef 5) comincia così: «Siate sottomessi gli uni agli altri» – e termina con le parole: «Insomma, ognuno ami la propria moglie come sé stesso e la moglie abbia riverenza per il marito».




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L’Apostolo raccomanda la discrezione alla donne nelle assemblea perché la comunità cristiana non sia screditata nella società pagana, ma nell’ultimo capitolo della lettera ai Romani (Rom 16) è a delle donne che vengono rivolti i saluti più calorosi.

Una donna, madre di Dio

È Maria, una donna, la nuova Eva, la più perfetta persona umana. Non è una dea o una semidea, ma la Madre di Dio. Maria, Vergine e Madre, è evidentemente agli antipodi della cultura attuale, che esalta la genitalità disgiunta dalla fecondità. Nondimeno, per tutti i cristiani, e non soltanto per i cattolici, Maria ha un posto assolutamente eminente. Ella è colei per cui Dio è venuto al mondo: ha offerto a Dio la propria fede, all’inverso di Eva che ha preferito fidarsi di quanto le prometteva il Tentatore. Maria è la novella Eva. Il saluto dell’angelo, in latino “Ave”, riprende al contrario le lettere della parola “Eva”. San Paolo non nomina Maria, ma ricorda che Gesù è «nato da Donna». Nella Bibbia è sempre il padre ad essere nominato. Il nostro san Paolo – che dicono essere misogino – riconosce il posto unico di Maria tra tutte le creature: è da lei – solo da lei – che il Figlio di Dio è nato.

I pregiudizi del suo tempo

La Chiesa vive in una società ed è fortemente segnata dai pregiudizi del tempo. E così spesso sentiamo raccontare che ci sia voluto un concilio per decidere se le donne avessero o non avessero un’anima: è una pura chiacchiera – le donne hanno sempre avuto accesso al battesimo, e se non avessero avuto un’anima come avrebbero potuto essere battezzate? Nel famoso concilio di Mâcon (585) non si è parlato affatto di anima. Semplicemente un vescovo chiese se fosse logico chiamare una donna con la parola latina “homo” (che di per sé indica l’essere umano tutto, e non esclusivamente il maschio). Quindici secoli più tardi non abbiamo fatto enormi progressi, irretiti come siamo nel retaggio di un vocabolario neolatino.


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Sarebbe facile citare tutta una serie di giudizi fortemente peggiorativi, sulle donne, emessi da uomini di Chiesa. «È debole, si è lasciata intrappolare, è seduttrice, è chiacchierona, spendacciona, possessiva, troppo emotiva, dedita all’apparenza…». Sciocchezze indegne di quanti le hanno alimentate. Ma chi è abbastanza forte da non cedere ai pregiudizi della propria epoca e dell’ambiente?

Sante e potenti donne

A fronte di ciò, la storia della santità presenta molti casi di magnifiche coppie: Francesco e Chiara d’Assisi, Teresa d’Avila e Giovanni della Croce, Francesco di Sales e Giovanna di Chantal, Vincenzo de’ Paoli e Luisa de Marillac. Caterina da Siena non esitava a muovere vivi rimproveri ai Papi che trovava troppo tiepidi. Alla nostra epoca, Giovanni Paolo II era in profonda complicità con madre Teresa e Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari. Le donne sono numerose nel catalogo dei santi. Non è cosa di oggi o di ieri: nel Canone romano – antichissima preghiera eucaristica – vengono nominate molte donne.




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Le superiori di comunità religiose femminile esercitano una vera e propria autorità canonica. Bisogna giudicare caso per caso, secondo le epoche e secondo le congregazioni, ma i vescovi e i cappellani delle suore sanno da molto tempo che non debbono cercare di interferire troppo nella vita interna delle comunità. Nel XIX secolo le donne che godevano della maggiore autorità erano fondatrici e madri generali di comunità religiose. E non erano poche.

Importanti e numerose responsabilità

Nella vita concreta della Chiesa oggi molti posti di responsabilità sono tenuti da donne. Più che nella società civile. Se guardate alla vita di una parrocchia, o anche di una diocesi, scoprirete che un certo numero di responsabilità importanti sono affidate a donne. Anche nelle specialità normalmente ritenute piuttosto maschili, come la gestione delle finanze. Nei consigli parrocchiali o diocesani, esse sono in maggioranza. Questo poi non deve stupirci, perché di solito le donne rappresentano i due terzi dei fedeli. Quanto ai posti di responsabilità, se sono molte le donne che li occupano è perché più facilmente degli uomini si accomodano a part-time e per salari inferiori a quelli pretesi dagli uomini. Non bisogna nascondersi le ragioni economiche.


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Alcune donne sono presenti perfino nella vita della Santa Sede. Se esse compaiono di meno è perché la maggior parte del personale è costituita da preti.

E l’ordinazione? Cristo è lo sposo

L’ordinazione è riservata agli uomini: non dalla disciplina della Chiesa ma dalla natura del sacramento dell’Ordine. Nel testo già citato (Ef 5) san Paolo fa il parallelo tra il rapporto uomo-donna e quello Cristo-Chiesa. Cristo è lo Sposo della Chiesa come, nell’Antico Testamento, Dio si presenta come Sposo di Israele. Gesù stesso si qualifica così (Mt 9,15). Nei Vangeli è chiaro che Gesù sceglie molto specificamente i Dodici – dodici uomini – per rappresentarlo: egli li chiama, ciascuno per nome; egli spiega loro i segreti del Regno; egli dà loro lo Spirito santo per il perdono dei peccati; egli li manda in missione per predicare e battezzare. «Chi ascolta voi ascolta me».


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Al seguito degli apostoli e mediante l’imposizione delle mani, il sacramento dell’ordine fa di preti e vescovi i rappresentanti di Cristo, Sposo della Chiesa. Il papa stesso non disdegna questa simbolica biblica. L’ordinazione degli uomini non è dunque una decisione di disciplina ecclesiastica o un sempre uso immemorabile. Questa posizione è comune a tutti i cristiani per i quali l’ordinazione è un vero sacramento. Altra è la posizione protestante poiché, per loro, tutti i battezzati sono uniformemente preti. Al termine della sua formazione, il pastore beneficia di un semplice «riconoscimento ministeriale». È dunque normale che i pastori protestanti siano indifferentemente uomini o donne.

Tutt’altra è la questione dell’ordinazione di uomini sposati. La pratica esiste nelle Chiese cattoliche orientali (e anche latine). Degli uomini sposati, pastori della Chiesa anglicana divenuti cattolici, hanno potuto essere ordinati preti senza separarsi dalla moglie. C’è una convenienza tra il celibato e il ministero dei preti: ecco perché, malgrado alcune sbavature, la Chiesa romana ci tiene a scegliere i suoi preti esclusivamente tra quelli che hanno fatto la scelta del celibato «per il Regno», come dice Gesù (Mt 19,12). Non si tratta però, strettamente, di un punto dogmatico.

Uomo e donna li creò (Gen 5,2)

La cultura contemporanea oscilla tra punti di vista contraddittori sul rapporto uomo-donna. La Chiesa continua ad affermare la differenza e la complementarietà dei sessi. Tutta una corrente di pensiero tende a cancellare la differenza sessuale, riconoscendole soltanto una dimensione culturale o sociale. «Non si nasce donne – scrisse Simone de Beauvoir –, lo si diventa». La formula è giusta, in un certo senso, perché l’essere umano è sempre in divenire. Ma nella polemica essa vuol dire più di questo. Sarebbe la società a fabbricare gli uomini e le donne. Certo, la biologia mostra alcune differenze notevoli, ma la chirurgia fa progressi e i transessuali non esitano ad ostentare la loro riassegnazione fenotipica.




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Al contrario, tante donne si lamentano di non incontrare veri uomini. Che sia nella coppia, in famiglia o sul lavoro: certo non chiedono di essere dominata da dei macisti, ma di trovare un complemento, un aiuto che non sia la copia conforme di loro stesse. «Aiuto»: è la parola che il libro della Genesi impiega quando parla di Adamo ed Eva. Ecco perché, sul semplice piano umano, la Chiesa non può che mettere in guardia contro la cosiddetta “omogenitorialità”.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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