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Un capolavoro dietro ogni volto, questi anziani sono vere opere d’arte (GALLERY)

DUCHI URBINO
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Giovanna Binci - pubblicato il 23/12/19
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Trentatré quadri famosi riprodotti da anziani nelle case di cura di Treviso. La malattia e la vecchiaia sono dei limiti, ma se fossero anche arte? Se ci fosse ancora tanta umanità da ritrarre? Una mostra per non dimenticare l’immenso patrimonio che sono i nostri anziani.

Una “dama con l’ermellino”. Anzi, a guardare bene quello però è proprio pincher nero. “I duchi di Urbino”. Ma quella di Battista Sforza in realtà non è una elaborata acconciatura del 1400, ma una conchiglia intrecciata con della lana e una signorile…spugna da doccia! E se quello in testa all’”uomo con turbante rosso” di Van Eyck non fosse altro che un canovaccio da cucina? Chi lo noterebbe? Negli scatti di queste riproduzioni di opere d’arte iconiche che conosciamo tutti, senza magari ricordare il nome dell’autore o essere troppo precisi sui titoli, non si notano davvero le calze di nylon usate come capelli o le gonne diventate mantelli. Come non si nota per niente la malattia. Ecco, quello che questi ritratti vogliono davvero nascondere agli occhi di chi li guarda con tanto stupore: non l’anima “fai-da-te” del setting con mobili recuperati dalle stanze, nei corridoi delle strutture o degli abiti evocati con elementi di fortuna, ma la malattia. Demenza senile, difficoltà motorie, Parkinson, Alzheimer: davanti a quella macchina fotografica gli anziani sono tutti uguali e soprattutto, non più casi clinici, vecchietti tristi e soli, scarti di vita, ma protagonisti.
Perché questi protagonisti, quarantuno anziani per trentatré opere pittoriche che coprono cinque secoli di storia dell’arte, non sono ex attori o modelli agé, di quelli che fa tanto cool ingaggiare ultimamente per le pubblicità, ma gli ospiti delle strutture dell’Israa (Istituti per servizi di ricovero e assistenza agli anziani) di Treviso.

“Spesso le case di riposo per anziani vengono vissute come un male necessario un luogo triste, di sofferenza, di morte. Un luogo da evitare. E invece noi partiamo da un concetto: ristabilire l’ordine naturale delle cose: prima viene la persona, poi tutto il resto”,

spiega il direttore Giorgio Pavan a Il fatto Quotidiano.
I quadri restituiscono gli anziani nella loro bellezza di persone quindi, prima che nella loro malattia o nella loro condizione. Nessuno dietro allo sguardo severo di Frida o quello forse meno dolce dell’originale, ma intransigente e vivo della “ragazza con l’orecchino di perla”, vede per prima cosa una malattia. Questi quadri ci spingono a guardarli negli occhi, i nostri anziani, a considerarli come non lo facciamo più da tempo: persone per cui vale ancora la pena. Persone che hanno un valore, hanno dei desideri e sì, possono anche divertirsi. La vecchiaia può essere ancora una stagione bella e stupefacente nonostante tutto, proprio come l’arte. Ecco il messaggio dietro alla mostra “Ogni vita è un capolavoro”.


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Sarà certo stata la bravura dei fotografi, Bruno De Martin e Roberto Volpin, ma voglio scommettere che è stato soprattutto l’amore e la dedizione che tanti volontari hanno dedicato alla causa e la serietà con cui gli anziani stessi si sono calati nei panni di duchi, dame, divinità e popolani d’altri tempi per dirci qualcosa. Non credo che per loro sia stata una pagliacciata, uno svilire la loro condizione riducendola a una bella mascherata. Un gioco, quello forse sì. Perché se è vero che da vecchi torniamo un po’ bambini, è anche vero che di quella bella stagione recuperiamo anche tanti privilegi: tipo la serietà delle cose inutili, quelle che sembrano banali agli occhi degli altri, improduttive, proprio come il gioco, che però, se fatto seriamente, ha tanto da insegnare nella sua semplicità. E scommetto che tutti i protagonisti di queste riproduzioni si sono divertiti a far riflettere il mondo degli adulti, a ribaltare il nostro modo di vedere la realtà della vecchiaia e della malattia: una condizione difficile, certo, ma degna e perfino regale, come questi sguardi. Una condizione che dobbiamo guardare con occhi nuovi perché nessuno li guarda più davvero, gli anziani. Quello che vediamo è appunto una tragica malattia, un problema da risolvere per sistemare prima di tutto le nostre vite. Questo progetto ce li mostra sotto una luce insolita e torna a farceli guardare per il capolavoro che sono e di cui dovremmo essere grati. Un patrimonio di vita, sacrifici, saggezza, amore che è più inestimabile di un’opera d’arte, ma di cui troppo spesso ci dimentichiamo.
Forse non cammino bene come un tempo, forse non riesco a riconoscerti, forse ti fa paura stringere la mia mano che trema e vedere quello che potresti diventare, ma la vecchiaia fa parte della vita e invece di nasconderla dietro alla rassegnazione e alla pietà dovremmo vederla per il grande ritratto di umanità che è. Come ricorda Pavan, quell’“umanità che è propria di ogni persona, anche quando versa in una condizione di bisogno”.

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