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Amare è preservare l’unicità dell’altro

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polya_olya|Shutterstock

don Luigi Maria Epicoco - pubblicato il 23/12/19

Dio non vuole dei seguaci omologati: è l'unicità di ognuno di noi che ama, che è preziosa ai suoi occhi. Ci chiede di seguirlo con quello che siamo e di amare anche negli altri quello che non corrisponde alle aspettative, che li rende però unici e irripetibili.

Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia, e si rallegravano con lei. All’ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo col nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni».
Le dissero: «Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta, e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati.
In quel medesimo istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. Coloro che le udivano, le serbavano in cuor loro: «Che sarà mai questo bambino?» si dicevano. Davvero la mano del Signore stava con lui.

Luca 1,57-66

È ancora Elisabetta la protagonista indiscussa del Vangelo di oggi. Più volte, a poche ore dal Natale, incontriamo questa donna straordinaria che ha parole di benedizione per Maria e che non le manda a dire a quelli che approfittando del mutismo momentaneo del marito vogliono imporre sul suo bambino appena nato un nome da tradizione. Ella contravvenendo le consuetudini e le tradizioni si impone con forza per chiamare il bambino Giovanni:

Otto giorni dopo vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre, Zaccaria. Ma sua madre intervenne: “No, si chiamerà Giovanni”. Le dissero: “Non c’è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome”. Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: “Giovanni è il suo nome”. Tutti furono meravigliati.

E non si capisce se erano meravigliati per la scelta del nome o per la totale comunione che Elisabetta e Zaccaria avevano tra di loro. A me piace pensare la seconda perché è difficile trovare sintonia tra due persone che stanno insieme in un mondo che tende solo a contrapporci, proprio come fanno i vicini di casa del Vangelo di oggi. Credo che questa sintonia sia la vera causa di guarigione di Zaccaria:

All’istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose.

Ma l’altro elemento significativo di questo brano sta nel fatto che il nome Giovanni è un nome fuori dalla tradizione familiare di Zaccaria ed Elisabetta. C’è come la decisione di sottolineare la “diversità” del battista. Elisabetta e Zaccaria mostrano l’amore perché difendono l’unicità, l’originalità, la diversità del figlio. Amare non è uniformare a se stessi ma preservare ciò che di unico, di irripetibile, di diverso esiste nell’altro. È amare ciò che dell’altro non corrisponde. È permettere all’altro di essere se stesso fino in fondo.


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