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8 caratteristiche che distinguono il presepe napoletano da tutti gli altri

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don Marcello Stanzione - pubblicato il 23/12/19

Non è ambientato nella Palestina di ventuno secoli fa ma nelle strade della Napoli del settecento dove visse la sua stagione d’oro

A Napoli si ha notizia del presepe già nel 1025 in un documento che menziona la Chiesa di Santa Maria del presepe e, nel 1324 , quando viene citata ad Amalfi una “cappella del presepe di casa d’Alagni”.

Nel secolo XV compaiono i primi “figutarum sculptore” che realizzano sacre rappresentazioni in chiese e cappelle napoletane. Le più importanti sono quelle dei presepi di san Giovanni a Carbonara dei fratelli Pietro e Giovanni Alemanno, e di varie chiese partenopee come san Domenico Maggiore, sant’Egilio e santa Chiara. Sono statue lignee policrome a grandezza naturale colte in atteggiamenti ieratici di intensa religiosità, poste davanti a un fondale dipinto.

Verso la metà del 1500, con l’abbandono del simbolismo medioevale, nasce il presepe moderno per merito, secondo la tradizione, di san Gaetano da Thiene che nel 1530 realizza nell’oratorio di Santa Maria della Stelletta, presso l’Ospedale degli Incurabili, un presepe con figure in legno abbigliate secondo la foggia del tempo. Nel corpo del secolo iniziano a comparire i primi accenni al paesaggio in rilievo che sostituisce quello del fondale dipinto; al bue e all’asinello si aggiungono anche cani, pecore, capre. Durante il ‘500 si intensifica anche la costruzione dei presepi con figure di dimensioni sempre più ridotte fino a giungere alla realizzazione del primo presepe mobile a figure articolate, allestito dai padri Scolopi nel 1627.

I mille volti del presepe, tra fede, storia e simbologia
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Il presepe napoletano

Il secolo d’oro del presepio a Napoli è il ‘700 e coincide con il Regno di Carlo III di Borbone, sovrano mecenate che riporta la città partenopea al livello delle più ferventi capitali europee, alimentando una meravigliosa fioritura culturale artistica, testimoniata anche dalla magnifica produzione presepiale.

I nobili imitano il sovrano rivaleggiando tra loro per sontuosità e ricchezza dei materiali utilizzati: gemme preziose e magnifiche stoffe catturano l’attenzione del “popolino” – ammesso nelle case patrizie per ammirare il presepio – forse più della scena stessa. Il presepio si diffonde anche presso il popolo partenopeo, anche se in forma meno sontuosa; ogni casa ne ha comunque uno seppure con pochi “pastori” raggruppati su un minuscolo “scoglio”, dentro la “scarabattola”, una teca da appendere al muto o da tenere sul comò.




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Dopo il regno di Ferdinando IV il presepe cominciò a decadere. La maggior parte dei presepi furono definitivamente smontati, i pastori venduti o dispersi. Di questi fantastici presepi non è giunti fino a noi quasi nulla. Tra i pochi salvati, va ricordato il magnifico allestimento Cuciniello, donato dallo scrittore Michele Cuciniello alla città di Napoli e conservato nel Museo della Certosa di San Martino.

Caratteristiche uniche

Il presepe napoletano presenta caratteristiche che lo allontanano dalla semplice rappresentazione della natività di Betlemme così come è narrata dai vangeli, anzi la raffigurazione presepistica partenopea potrebbe sembrare totalmente antistorica ma in realtà esprime in modo assai preciso il significato teologico del Natale. “Il presepio è il Vangelo tradotto in dialetto partenopeo” dichiarò Michele Cuciniello, il collezionista napoletano che fece dono al Museo di san Martino della sua raccolta di statuine del XVIII e XIX secolo.

1) Niente Palestina

Il presepio napoletano non è ambientato nella Palestina di ventuno secoli fa ma nelle strade della Napoli del settecento dove visse la sua stagione d’oro. In quell’epoca l’arte presepiale uscì dalle chiese per entrare anche nelle dimore aristocratiche. Nobili e ricchi borghesi gareggiarono nell’allestire impianti scenografici spettacolari dove venivano riprodotte scene profane che raffiguravano ambienti, situazioni e costumi della Napoli popolare. Incoraggiata dai re Borboni, la moda del presepio dilagò fino a diventare una mania che coinvolse tutti. La scenografia classica è in sughero, detto “scoglio” ed è costituita da tre alture ed un proscenio pianeggiante.

Presepe Basilicata
© Francesco Ammendola/ Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica
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2) La Natività ispirata a Pompei

La scena della nascita del Divino Bambino è situata sulla altura più elevata al centro del presepio, essa è collocata tra le rovine di un tempio pagano, che ricorda i ritrovamenti archeologici di Pompei ed Ercolano, rappresentato da una colonna spezzata, simbolo della sconfitta delle falsi religioni idolatriche. Accanto al tempio in genere c’è una fontana dove due donne lavano la biancheria sporca: l’acqua è simbolo di purificazione ed indica che Cristo è nato per lavarci dai nostri peccati. Verso la grotta della natività sono i “pastori del cammino”: statuine di personaggi maschili e femminili che portano in dono al Bambinello i beni della propria semplice quotidianità.

3) Il pastore con l’agnello sulle spalle

Vi sono il pastore con l’agnello sulle spalle, che richiama il tema di Gesù buon pastore; la zingara negra con un bambino avvolto in fasce che ricorda che il messaggio di fede è per tutti anche per i rom che sono un popolo senza una patria specifica. Immancabili sono il cacciatore, il pescatore e gli agricoltori con verdure e frutti vari. Nel presepe napoletano poi è sempre raffigurato il frate francescano che fa la questua a favore del suo convento per le strade, il vecchierello che inginocchiato offre alla Sacra Famiglia un cestello con la ricotta. Vi è poi il pastore della meraviglia, un giovinetto con le braccia allargate e gli occhi pieni di stupore dinnanzi il Divino Neonato.

Presepe Basilicata
© Francesco Ammendola/ Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica

4) L’accampamento dei Re Magi

Ai piedi delle alture, c’è l’accampamento dei tre Magi con il loro variopinto seguito di servi, cavalli e cammelli. Sulle colline laterali vi sono due scene che riguardano gli indifferenti al Natale. Sulla prima altura è raffigurato un sontuoso banchetto – altre volte invece è raffigurata una bettola con gli avventori che giocano a carte – nel quale a causa dell’eccesso di vino e di cibo i commensali hanno i sensi eccitati e si lasciano andare a comportamenti lussuriosi.

5) Ciccibacco

Poco distante dalla grande “abbuffata” su di un ponte sta passando un carro carico di botti per il banchetto, il carrettiere è “Ciccibacco” che indica con il suo nome la strada larga e spaziosa che conduce al vizio e quindi poi anche all’inferno. Sulla seconda altura vi è una macelleria con i quarti di vaccino esposti ed il proprietario intento al suo lavoro con la mannaia, simbolo della passionale aggressività.




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6) Il demonio tentatore

Nel presepio napoletano l’oste, il macellaio ed il cane che sempre accompagna il carro con le botti sono simboli del demonio tentatore. Sul proscenio sono raffigurate scene di vita quotidiana nella Napoli del settecento: le donne con le ceste sul capo al mercato, i pescatori che rammendano le reti, le massaie che in cucina accendono la legna nel focolare, le mamme che dondolano le culle con i loro pargoli. E’ il popolo partenopeo immerso nelle sue attività quotidiane e raffigura realisticamente tutta quella umanità affaccendata, non indifferente ma piuttosto ignara dell’evento grandioso della nascita del Redentore che sta accadendo vicino a loro.

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7) Gli angeli bambini dal corpo di adulto

Riguardo agli spiriti celesti nel presepio napoletano essi costituiscono un elemento decorativo fondamentale. Gli angeli vengono rappresentati variamente o come bambini oppure con il corpo da adulto. La tradizione partenopea della natività prescrive nomi, colori e caratteristiche precise per ogni abitante del cielo raffigurato. Degli angeli che sono collocati sulla grotta di Betlemme, si distingue quello al centro che reca tra le mani il cartiglio in cui si legge il canto angelico: “Gloria in excelsis Deo” ed è perciò denominato la “ gloria del Padre”. Alla sua destra si colloca un altro angelo che normalmente viene raffigurato con il turibolo tra le mani mentre incensa il Divino Infante ed è chiamato la “ gloria del Figlio”.

8) “La gloria dello Spirito Santo”

Altra figura angelica sulla grotta è quella che suona la tromba ed è denominata la “gloria dello Spirito Santo”. A questi tre spiriti celesti che richiamano la Santa Trinità, se ne potevano al massimo aggiungere ancora altri due: il primo angelo che esprime l’esultanza del popolo ed il secondo angelo che mostra due piatti che rappresentano sia il potere politico che quello religioso che vanno ad osannare il Bambinello Gesù. Comunque sulla scena del presepe la presenza di almeno un angelo è d’obbligo. Di solito si tratta di quello che suona la tromba oppure che porta il cartiglio con scritto Gloria in excelsis Deo.

Più spesso, soprattutto nel presepe genovese, una moltitudine di angeli si libra nell’aria, a rievocare gli angeli cantori della notte santa. Altre volte, gli angeli sono intenzionalmente tre, come nel presepe tedesco, che inserisce i soli tre angeli di cui la Bibbia indica i nomi è cioè Gabriele, Michele e Raffaele.




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