Una cosa colpisce: lo stridore tra l’immagine trasandata di molti anziani e i loro visi, curati e sorridenti, nelle vecchie foto che tengono sul comodino. Qualcuno li ha voluti e li sta aspettando, solo Dio riesce a guardarci nella totalità.
Di Giovanni Barrani
Da due anni, ogni sabato trascorro il pomeriggio con alcuni amici in un ospizio comunale alla periferia di Roma. È un privilegio dedicare parte del mio tempo a questi anziani. Innanzitutto, questa esperienza è riuscita a cambiarmi per quello che in seminario chiamiamo “l’oggettività del gesto”: se fossi andato all’ospizio solo quando ne avessi avuto voglia, non potrei raccontare del mio cambiamento.
È la fedeltà all’appuntamento che mi ha consentito una maturazione. Ho imparato a riconoscere la persona che ho davanti come “cosa sacra” e a desiderare di guardarla sempre più in profondità. L’intensità di un rapporto, infatti, non si misura dalle parole ma dal modo con cui guardi e sei guardato dall’altro.
Faccio un esempio. Una cosa che mi colpisce sempre: lo stridore tra l’immagine trasandata di molti anziani quando mi si presentano davanti e i loro visi, curati e sorridenti, nelle vecchie foto che tengono sul comodino. Mi viene in mente la frase di un nostro professore: “Dio riesce a guardarci nella nostra totalità, ci vede al tempo stesso come siamo ora, come eravamo a due anni e come saremo a settanta”.