«Il fuoco è il rovente ombelico che ci lega alle origini, a un corpo familiare, a una comunità» scrive l’archeologo Andrea Carandini. Attorno al focolare domestico c’è il passato, il presente e la speranza del futuro.Se consultiamo un dizionario della lingua italiana, alla parola fuoco troviamo, tra le varie definizioni, anche quella di nucleo familiare. Non solo per una suggestiva metafora, ma perché negli antichi censimenti si contavano i comignoli: il camino era necessario per il riscaldamento e per cucinare, non mancava mai nelle abitazioni e nel contare la popolazione si calcolava che ad ogni camino corrispondesse una comunità di circa 4-6 persone. Il fuoco era insomma sinonimo di famiglia. Intorno a quel camino c’era tutta la vita familiare: ci si scaldava, si cucinava, si recitava il rosario, si parlava, si ascoltavano le storie dei nonni, si raccontavano le fiabe ai bambini. C’era il passato, il presente e la speranza del futuro. Bisognava alimentare quel fuoco, era un’incombenza importante. Quando poi un figlio si sposava, prendeva un tizzone acceso dal focolare della propria famiglia e con esso accendeva il camino della sua nuova casa: un passaggio di testimone importante e denso di significato.
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«Il fuoco è il rovente ombelico che ci lega alle origini, a un corpo familiare, a una comunità», scrive l’archeologo Andrea Carandini nel suo libro “Il fuoco sacro di Roma” (ed. Laterza), dedicato al culto del fuoco di Vesta, quel fuoco che secondo il mito è stato portato a Roma da Enea, fuggito da Troia in fiamme:
Il fuoco è instabile, come la vita, nasce, cresce, divampa, declina e cova. Va continuamente alimentato, tanto è vorace, e se abbandonato presto langue e si spegne. Ma il trono del fuoco, cioè il camino, sta come quello di una ininterrotta dinastia e rimanda immancabilmente agli avi, propri o altrui: alla catena umana di cui siamo parte. […] Il fuoco era simbolo della vita che continuava, unita e compatta: tutti vi si accostavano per scaldarsi, e così fratellanze e cuginanze si rinsaldavano.
C’è sempre atmosfera intorno al camino, ma un tempo c’era proprio la vita, anzi c’era la famiglia. I termosifoni scalderanno meglio, e cucinare sui fornelli è più pratico e anche più sicuro. Ma c’è un non so che di ancestrale nel profumo di un camino: ci basta camminare per una stradina di campagna e sentire il profumo di legna che esce da un comignolo, e i ricordi ci assalgono. È un’arte l’accensione del fuoco: legnetti piccoli, un ceppo più grande, la carta sotto a tutto, le pigne che danno profumo. La scelta della legna è importante, quella umida riempirebbe la stanza di fumo. C’è un rito da rispettare. Ci sono camini piccoli, altri grandi e profondi. Camini monumentali nelle case patrizie e nelle grandi abbazie. Intorno ad essi sono state costruite le civiltà.
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C’è stato un tempo in cui le famiglie erano fuochi. Il fuoco che fa cuocere il pane, arrostire la carne, scoppiettare le caldarroste. Il fuoco che faceva stare tutti vicini. Le famiglie erano fuochi perché quella comunità seduta intorno ai ceppi ardenti sapeva custodire la vita di ognuno. Si scaldava e nutriva il corpo e nello stesso tempo si scaldava e nutriva il cuore. Che ne sappiamo noi, nel nostro mondo malato di individualismo, che scalda nel microonde i cibi precotti.
Oggi è raro avere il camino e anche chi ce l’ha difficilmente lo accende. Eppure le nostre famiglie possono ancora essere fuochi, riunendo intorno alla tavola parenti e amici. Il camino può essere accora acceso, metaforicamente, col nostro amore, la nostra amicizia, la nostra fratellanza. La nostra società è più che mai bisognosa di famiglie che tornino ad essere fuochi.
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