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In Etiopia l’islam sufi pacifico “sostituito dai militanti fondamentalisti”

Addis Ababa

M.Wolnik | Aid to the Church in Need/Magdalena Wolnik

Aiuto alla Chiesa che Soffre - pubblicato il 04/12/19

I politici radicali e gli attivisti diffondono la violenza, dice un sacerdote della capitale Addis Abeba

A seguito delle violente proteste che hanno scosso l’Etiopia all’inizio dell’autunno provocando la morte di 67 persone, l’organizzazione caritativa internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre ha parlato con padre Petros Berga, sacerdote della diocesi di Addis Abeba, la capitale del Paese.

Com’è la situazione ad Addis Abeba? Le dimostrazioni continuano ogni giorno?

La situazione socio-politica del Paese in generale è attualmente volatile. Ovviamente ci sono alcune problematiche etniche in certe zone, ma il pericolo serio è la minaccia che proviene dal Medio Oriente. Un attivista etno-religioso di nome Jawar Mohammed, che gode di finanziamenti illeciti dal Medio Oriente, soprattutto dall’Egitto, sta guidando un movimento che è diventato una seria minaccia per i cristiani in Etiopia.

In molte zone chiese, sacerdoti e cristiani sono stati attaccati.Mohammed gestisce una rete televisiva satellitare e una piattaforma di social media con un gran numero di followers. Gli attivisti usano i giovani Oromo [gruppo etnico africano diffuso in Etiopia e in Kenya, n.d.t.] come strumento per scatenare il conflitto. I giovani hanno cellulari donati dai Paesi del Golfo, ecc..

Quali sono le richieste avanzate da chi protesta?

Ci sono state dimostrazioni intermittenti e contromanifestazioni ad Addis Abeba e in varie città e villaggi. Ora stanno scemando, ma la situazione resta incerta. C’è un problema di applicazione della legge.

I politici radicali e gli attivisti stanno diffondendo la violenza. I Governi sia regionali che federale non stanno affatto agendo, e anche se la gente viene attaccata, sfollata, rapinata, minacciata e molestata.

Alla periferia di Addis Abeba sono stati perpetrati episodi di violenza da parte dei sostenitori di Mohammed, che hanno coinvolto i residenti e chi si è spostato nelle periferie un paio di anni fa a seguito della riqualificazione del centro cittadino.

I residenti, in particolare i giovani, sono disillusi per via della mancanza di lavoro, e sono ora esposti alla violenza. Lavoriamo a progetti pastorali, sviluppo di competenze e formazione dei giovani delle periferie, e la situazione rende quest’opera ancor più urgente.

I media hanno parlato di conflitto “interetnico e religioso”, concorda? Sembra che sia i cristiani che i musulmani siano vittime della violenza…

La violenza è attualmente indirizzata nei confronti dei cristiani, soprattutto della Chiesa ortodossa. I protagonisti principali sono Mohammed e Dawed Ibsa, leader dell’Oromo Liberation Front. Sono entrambi musulmani Oromo. Usano l’elemento etnico per mobilitare i giovani, ma la violenza e gli attacchi hanno una dimensione più religiosa che etnica.

La forma tradizionale sufi dell’islam, caratterizzata dalla tolleranza e dal sincretismo con la cultura etnica locale, viene sostituita da musulmani fondamentalisti più militanti.

Pensa che la situazione migliorerà presto?

Anche se è difficile prevedere come si evolverà la situazione, confidiamo nel fatto che le cose migliorino nel corso del tempo. Gli etiopi hanno vissuto fianco a fianco per secoli, e speriamo che i valori che condividono li uniscano di fronte a questa situazione difficile.

Gli etiopi sono un popolo molto religioso, e le preghiere dei fedeli verranno esaudite. Dio proteggerà l’Etiopia dal pericolo della disintegrazione.

Quali sono il messaggio e il ruolo della Chiesa cattolica?

Anche se rappresenta un’esigua minoranza, la Chiesa cattolica sta giocando un ruolo importante nel promuovere la coesistenza pacifica. Il cardinale Berhaneyesus Souraphiel è stato nominato dal Primo Ministro alla guida della Commissione Nazionale per la Pace e la Riconciliazione.

La Chiesa ha espresso ufficialmente la sua solidarietà con i fratelli ortodossi. La Chiesa cattolica sta anche organizzando laboratori sul peace building e il dialogo, ma c’è un grande bisogno di lavorare in profondità e ampiezza con le entità governative locali, regionali e federale, così come con le organizzazioni della società civile.

Come Chiesa minoritaria che serve la società senza alcuna distinzione etnica o religiosa, la Chiesa cattolica è nella posizione migliore per giocare un ruolo di rilievo nell’opera di mediazione.

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