Padre Enzo Fortunato: la corsa a creare barriere sembra inarrestabile, tra paura e propaganda. 800 anni dopo l’incontro tra Francesco e il Sultano, sulle grandi religioni pesa una grande responsabilità collettiva
I muri ai confini degli Stati per fermare i migranti. E’ una soluzione giusta? A rispondere è un autorevole frate francescano, che spiega perché questi “argini” non funzionano e non risolvono il problema dell’immigrazione.
Scrive il frate-giornalista e direttore della Sala Stampa del Sacro Convento di Assisi Padre Enzo Fortunato nel suo ultimo libro, “Francesco e il sultano” (edizioni San Paolo), che, prima di tutto, c’è un problema di tipo linguistico.
La logica della parola “muro” si scontra con la logica delle relazioni umane, che sono alla base della vita di ogni uomo.
E’ già di per sé un termine duro, negativo, di “non-dialogo”. Il “muro” va contro la Dottrina cristiana e il pensiero del Papa perché non serve ad «accogliere, proteggere, promuovere, integrare», cioè i quattro lati di un quadrato che traducono il Vangelo oggi, in merito al tema dei migranti.
Dialogare non significa sottovalutare
Dialogare, unire, riconciliare e spingere all’azione partendo dalla realtà che c’è. È questa, ragione Padre Fortunato – la risposta inclusiva alla costruzione di muri, alle paure, alle percezioni di insicurezza. È la risposta per convivere nella serenità, nella pace, nella democrazia. Non sottovaluta i problemi, non li edulcora, ma fa capire con chiarezza che l’accoglienza da sola non basta e non può essere generalmente illimitata, ma occorre governarla con prudenza e intelligenza.
Altrimenti la stessa accoglienza non interrompe l’odissea dolorosa dei migranti, iniziata con il cammino dalla madrepatria.
L’ingresso nel cuore
E’ lo spirito del dialogo, avverte il frate giornalista, che apre le porte e permette anche di entrare nel cuore. Perché soltanto questo impegno del cuore oggi può unire le perso- ne e aiutarle a superare i muri dell’anima, dentro di noi, nelle famiglie e nel mondo. Un filo unisce tutti questi ambiti. La persona non si può frammentare.
Leggi anche:
Migranti, il Papa a Trump: “Chi vuole solo muri non è cristiano”
70 muri
La sfida, evidenzia Padre Fortunato, è quella di conquistare la pace, come più volte ha voluto ribadire papa Francesco, salvare il pianeta e l’ecosistema, promuovere una giustizia che riconosca dignità e superi le disuguaglianze, illuminare sulla spiritualità di una civiltà che reagisca alla globalizzazione dei muri con più democrazia, senza lasciarci suggestionare da visioni egemoniche e autoritarie. Alla caduta della cortina di ferro, se ne contavano 15 di confini, oggi sono 70, e una decina in costruzione.
La corsa a creare barriere sembra inarrestabile, tra paura e propaganda. 800 anni dopo l’incontro tra Francesco e il Sultano, sulle grandi religioni pesa una grande responsabilità collettiva. Si può dire che il destino del mondo è nelle mani di una testimonianza geo-spirituale, che dai territori – anche grazie alla comunicazione – si può diffondere in modo virale.
La ricetta di San Francesco
La risposta migliore ai muri, in sostanza, è la pratica francescana: una via che non ti inchioda all’errore, al momento del conflitto, dell’offesa o dell’attacco, ma offre la possibilità di guardare più in là, ad una vera riconciliazione, che è sempre possibile, nel rispetto dei diritti e dei doveri, ma guardando avanti. Nella consapevolezza che è l’amore il motore del nostro progresso.
Il direttore della Sala Stampa del Sacro Convento cita Sant’Agostino («Infatti, quanti amano, tirano avanti: noi ci affrettiamo verso Dio non a passi, ma con gli affetti») e Maria di Nazareth, la donna più citata del Corano e amata dai musulmani, può indicare un cammino che aiuta a comprendere la sacralità della vita, personale e sociale.
Come spiega Francesca Giordano (nel secondo volume della sua opera mariana, La mia strada, Falco Editore, Cosenza 2019), solo l’amore scambievole può essere a fondamento della ricerca di una unità non effimera, ma aperta alla fraternità: «Camminando insieme c’è qualcuno che tiene un passo più veloce e può spronare in avanti i fratelli, mentre qualcuno va più adagio e va comunque atteso e accompagnato. L’importante è essere tutti in movimento e arrivare insieme a destinazione, senza disperdersi, senza dividersi, senza giudicarsi, mantenendo la carità sopra a tutto e lo sguardo fisso sulla meta comune».
Leggi anche:
«I muri per fermare i migranti prima poi crollano, non sono la soluzione»