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La forza dei monasteri, un’icona, San Francesco: così Dio ha ri-chiamato Simone Cristicchi

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Gelsomino Del Guercio - pubblicato il 21/11/19

Il percorso spirituale del cantautore, che si è riacceso alla fraternità di Romena in Toscana, ha subito il momento nevralgico davanti a due esperienze "forti" capitate in altrettanti monasteri

La ritrovata spiritualità di Simone Cristicchi è passata, nel momento decisivo, attraverso una icona religiosa e il viaggio in due antichi monasteri: uno in Kosovo, l’altro in Umbria.

Il cantautore ha sentito Dio vicino in quel momento, dopo un percorso che lo aveva già trasportato nella fraternità di Romena, in Toscana, dove si era riaccesa una “fiamma”.

Lo racconta Massimo Orlandi, autore insieme a Cristicchi di “Abbi cura di me” (edizioni San Paolo).

L’arrivo a Decani

Il monastero di Decani, in Kosovo, è la prima delle due tappe di fede: un luogo di preghiera aperto alla vita, alle sofferenze della gente, alla purificazione dello spirito. È quindi espressione di quella fede che piace a Simone, una fede fatta di azioni concrete.

Ma Dečani è anche un luogo che si slancia verso il cielo con una forza poderosa. E’ un luogo di culto cristiano, ma non cattolica, bensì ortodosso.

«La liturgia ortodossa, cui per la prima volta ho assistito a Dečani – dice Cristicchi – è in grado di sollecitare tutti i sensi. Tu entri e senti questo profumo inebriante dovuto alle candele in cera d’api, ti guardi intorno e ti abbracciano degli affreschi bellissimi. E poi il canto dei monaci: le voci baritonali si intrecciano in contrappunti creando un effetto simile al surround, stimolando emozioni fortissime. E tutto questo concorre a trasportarti in una dimensione trascendente».

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L’icona

Simone ne aveva parlato con padre Benedetto, un monaco del monastero che aveva conosciuto in Italia. Da quella conversazione si era originato il viaggio in Kosovo.

E a Dečani Simone capisce come rendere concreta questa pacificazione con le sue radici: lo strumento sarà un’icona nella quale dovranno essere raffigurati lui e suo padre. Saranno i monaci a realizzarla.

La donazione che Simone farà per quest’opera sarà destinata ad aiutare alcuni bambini malati: l’icona avvierà dunque una catena virtuosa di bene.

Tra l’inverno del 2018 e la primavera del 2019 l’icona viene preparata, dorata, dipinta e, in ognuna di queste fasi, pregata.




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Re Stefano e San Simone

A sinistra si vede il santo re Stefano, fondatore di Dečani, a destra san Simone. Le due figure si toccano attraverso la croce che diventa così strumento della loro ricongiunzione spirituale. Segno di questo nuovo abbraccio tra padre e figlio è una coppa: quella coppa che conteneva il vuoto dell’assenza ora ha ritrovato il pieno della gioia attraverso la trasformazione del dolore.

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I Salmi: “Abbi cura di me…”

In un cartiglio dell’icona si legge un testo, tratto dai Salmi: “Abbi cura di me come la pupilla dell’occhio, nascondimi all’ombra delle tue ali”.

Simone apprende così che la canzone nella quale, come vedremo più avanti, ha raccontato il suo percorso umano e spirituale, trova le sue radici in un testo biblico.

D’ora in poi quella frase sigillerà l’abbraccio con la storia della sua vita, riempirà per sempre la coppa dell’assenza. “Abbi cura di me”: è come se Simone e Stefano pronunciassero quelle parole uno verso l’altro, come sigillo definitivo del loro nuovo incontro.




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La felicità di Campello

Il percorso di fede di Simone si è completato a Campello sul Clitumno, in Umbria, mentre si trova dalle parti di Terni.

L’eremo sorse sopra a una grotta in cui san Francesco aveva pregato, ma nella sua forma attuale è espressione del sogno di Sorella Maria, una suora che negli anni Venti era salita qui spinta dal desiderio di una vita che ricalcasse il francescanesimo delle origini, non incanalata nell’armatura rigida che riveste ogni realtà, anche la più bella, quando diventa istituzione. Campello è un luogo di silenzio, di condivisione semplice, di attenzioni, soprattutto.

«Ero in visita all’eremo di Campello – ricorda Simone – Quando si è aperta la porta d’ingresso mi sono trovato davanti gli occhi azzurri, bellissimi, e il sorriso gioioso di una delle sorelle. Ecco una persona felice, mi sono detto. Non era un miliardario, non un cantante famoso a trasmettermi questa sensazione, era una suora che vive in povertà».

Il francescanesimo “sacro”

«A Campello – prosegue il cantautore – si vive concretamente il messaggio rivoluzionario di Francesco e del cristianesimo, che, in fondo, si racchiude in quella sola espressione: ‘rendere sacro’. Considerare sacro tutto ciò che fa parte di noi stessi, del prossimo, dell’ambiente che ci circonda».

Al contrario, ragiona Cristicchi, «io credo che il più grande peccato di oggi consista nella disattenzione: questa modernità ci ha così inquinato di desideri fasulli che non siamo più capaci di vivere in sintonia con noi stessi e con l’universo. Per questo è così importante trascorrere un periodo in luoghi come questo che ci aiutano, con il silenzio e il contatto con la natura, a rientrare in noi stessi, a purificarci da ciò che inquina la nostra anima per poi, in un secondo tempo, tornare nel mondo».




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