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Family link: Google dà ai genitori l’illusione di tenere i figli al guinzaglio

TEENAGER, GIRL, SMARPHONE

mpohodzhay | Shutterstock

Annalisa Teggi - pubblicato il 19/11/19

Adolescenti infuriati e adulti che applaudono. La nuova app di parental control è un valido aiuto per proteggere i figli o è un modo allettante per delegare l'educazione a una tecnologia?

Ci hanno dato un biglietto aperto per esplorare l’universo del possibile (un all-inclusive di meraviglie e abiezioni…) e ora cercano di mettere dei tornelli tra una galassia e l’altra. Fuor di metafora: Google ha lanciato Family Link un’applicazione che permette agli adulti di monitorare, bloccare e gestire le attività dei propri figli in rete. Capiamo meglio:

Il sistema di Google poggia il suo funzionamento sul cloud e prevede l’installazione di due app: la prima va caricata sullo smartphone di un adulto mentre l’altra sul dispositivo mobile usato dall’adolescente. Family Link offre la possibilità di “porre” una serie di controlli: stabilire quali contenuti possono essere scaricati e installati da Google Play, fornire un’esplicita autorizzazione per acquisti e download, bloccare la visita di siti sconvenienti attraverso il browser Chrome, filtrare contenuti espliciti o dannosi nelle ricerche di Google, negare o consentire l’utilizzo dell’Assistente Google, permettere o bloccare l’utilizzo delle varie app Android installate, accedere alla posizione del device in tempo reale e addirittura definire tempi di utilizzo giornalieri. (da Hardware Upgrade)

Inoltre Family Link può individuare la posizione del proprio figlio/a anche a telefono spento.

Educare è un verbo che spetta a Google?

Se navighiamo nel sito di Google, e dunque andiamo in casa di chi vuole convincerci della bontà di questo strumento, si dipana di fronte agli occhi di noi padri e madri la Mecca di un’agognata serenità emotiva:

Aiuta la tua famiglia a creare abitudini digitali sane. Aiuta tuo figlio a prendere decisioni responsabili su come utilizzare il proprio dispositivo. Educare al corretto utilizzo dello smartphone e della Rete: questo è il principale intento di Google e dell’app Family Link.

Non c’è che dire, la sanno lunga. Mi hanno già convinta con quel verbo «aiutare», ripetuto. Quanti pomeriggi e sere ho implorato aiuto, come mamma incapace di gestire un virtuoso bilancio di rifiuti e concessioni al figlio che guarda video, scarica giochi, chatta con gli amici. Aiuto! Sì, lo dico spessimo.


GARASSINI, SMARTPHONE, RAGAZZI

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Eppure … caro Google, che tu voglia appropriarti di quell’altro verbo – «educare» – mi ha fatto storcere il naso. Non nego che ci siano fior fior di cervelli dietro un’app, e sono certa che siano menti più lucide e capaci della mia misera testa che arriva a sera col fiatone. Un po’ di aiuto è gradito, ma quanto all’educare: no grazie. È faticoso, provoca lancinanti dolori al cuore e forti cefalee, però è roba mia di genitore. Educare ha ancora a che fare con la durezza di una sberla e il profumo di una torta. Non è l’ultimo dei dettagli significativi ricordare che tatto e olfatto sono sensi preclusi al virtuale. Parte fondante dell’educazione è proprio la condivisione di esperienze che siano vive in tutti e cinque i sensi.

È questa la trappola in cui non vorrei cadere: dopo che Google & Co sono riusciti ad accalappiarsi le attenzioni dei miei figli per catapultarli nel mondo virtuale, non vorrei che anche noi genitori ci cadessimo dentro pensando che quella è l’arena di gioco delle nostre relazioni. Quando a un appuntamento romantico lei si presenta con un’amica, c’è un solo nome per definire quest’ultima: terzo incomodo. Care tecnologie, l’appuntamento coi miei figli ce l’ho io ed è nel mondo reale; se volete offrirmi un mazzo di rose rosse per facilitare l’incontro vi ringrazio e accetto il dono, ma se ambite al ruolo di terzo incomodo rifiuto l’offerta.

Se una riflessione su questo strumento di controllo va fatta, teniamo sotto i riflettori i due protagonisti della scena: genitori e figli. Non giochiamo nel campo neutro che ci impongono le onnipresenti dinamiche social. Giochiamo in casa, letteralmente: in casa nostra, guardandoci negli occhi.

Libertà van cercando

Osserviamo prima loro, i nostri ragazzi. La reazione più registrata dai giornali è che il mondo dei giovani è adirato con Family Link, soprannominata da loro “l’app del diavolo”:

Funzioni e app che hanno fatto andare su tutte le furie mandrie web di adolescenti imbestialiti per l’intromissione genitoriale nella propria libertà individuale. Basta prendere uno dei tantissimi commenti presenti sull’App Store a corredo dei prodotti da scaricare, nello spazio Family Link. “Non ho più la libertà, adesso io ho 14 anni ma con questa app mi sembra di essere un bambino di 5 anni. Quest’app è l’app del demonio, fa credere ai genitori di avere un figlio/a irresponsabile. Non puoi fare niente per esempio installare app oppure disinstallare. Genitori se volete rovinare l’adolescenza ai propri figli fate pure sappiate che tanto siamo noi a risentirne non voi”. (da Il Fatto quotidiano)

MAN DEPRESSED WEB ADDICTED

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Niente meno che la libertà salta fuori. Giustissimo, loro ne sono assetati senza ancora sapere bene cos’è. Non sono pienamente consapevoli che una delle cose che il Creatore ha scritto nelle loro anime con più premura è proprio la libertà; non lo sanno, ma lo sentono … lo fiutano da tutti i pori. Allora hanno l’impressione che, se un genitore interviene a monitorare o bloccare le loro attività virtuali, sia posto un cappio al loro collo. Perché? Perché associano di default il pensiero della libertà a quello che fanno o possono fare con un pc o uno smartphone, cioè con gli strumenti a cui dedicano tanto tempo.

SOCIAL MEDIA
Phoenixns - Shutterstock

Ribaltare la prospettiva spetta noi grandi. Figlio mio, ma ti sei accorto che qualcuno si è accalappiato la tua libertà per farti prigioniero nel suo mondo? Scarichi app, chatti, giochi, guardi video e ti senti libero. Ma non sei libero di fare qualcosa usando lo smartphone, il verbo giusto per i devices è «intrattenersi» oppure «sfruttarne le potenzialità». Il campo semantico della libertà spetta a quel mondo in cui tu, giovane, ti confronti con il tuo desiderio di felicità e ne trovi o scarti ipotesi lungo la tua strada quotidiana, in tutto ciò che ti capita e dentro rapporti in carne e ossa.

Sempre a noi grandi spetta nutrire e custodire la loro libertà, i figli ci devono sentire come sostenitori entusiasti in questo percorso di conquista di indipendenza, desiderio e discernimento. La libertà non è un generico allargamento di cose lecite, ha più a che fare con l’entusiasmo di volersi impegnare a fondo in ciò che attrae e vivifica l’anima. Una delle forme più basiche di libero arbitrio che possiamo offrire loro è accompagnarli a capire che accedere a miliardi di possibilità virtuali è più una trappola che una illimitata possibilità di spaziare. Se sono per strada e ho gli occhi bassi sul video di uno Youtuber fighissimo sono libero di cosa? Di stare lì passivo a osservare le virtuosità altrui e di perdermi il mondo che ho a portata di mano? Forse forse, caro figlio mio, è qualcun altro che è riuscito a tenerti dentro il suo recinto …




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Guinzaglio o relazioni andiam cercando?

Quanto a noi mamme e papà, che dire? Guardiamo questo bel nome: Family Link. Come vogliamo tradurlo? Legame di famiglia o guinzaglio di famiglia? Ormai link è una parola onnipresente in molti ambiti del nostro quotidiano ed è una parola inglese, giova ricordare l’ovvio. L’inglese, non ha caso, è una lingua che si è imposta a livello internazionale per le sue doti di sintesi e potenzialità. Link può significare tantissime cose, dal cavetto in plastica alla connessione emotiva. Ed è in questa nebbia di possibilità che rischiamo di perderci.

Lo strumento che Google ci offre con questa app fa leva sul nostro bisogno emotivo di rimanere legati ai nostri figli, di abbracciarli in senso protettivo; ma il prodotto in sé non è un caldo abbraccio (… magari sgradito a chi lo riceve), è solo un inerte guinzaglio. Il guinzaglio è l’oggetto che traduce in meccanismo passivo e riduttivo una relazione: c’è un collegamento tra due esseri viventi, ma i due non si toccano davvero. Gli effetti collaterali di questo Family Link che vedo all’orizzonte sono perciò due: 1) ridurre a meccanismo di controllo il sano istinto di protezione dei genitori; 2) lasciar presagire anche inconsapevolemente ai nostri figli che ci basta mettere loro un “cavetto” al collo e fuggiamo da una relazione.


FAMIGLIA, TABLET, COLAZIONE

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Tra il sì o il no all’uso di questa applicazione ci sta la grazia della nostra presenza creativa. Non può esserci una risposta secca, dobbiamo rimboccarci le maniche e metterci del nostro. La protezione, così come ogni altra forma di relazione, prevede l’umano al centro della scena. Uno strumento tecnico, magari anche di supporto buono, deve accontentarsi della passività che il guinzaglio ha; non può permettersi, lo ripeto, di usare il verbo «educare».

Men che meno può assumersi la responsabilità di essere l’ambasciatore di messaggi impliciti che dalla madre passano al figlio con un clic di diniego. La protezione non può ridursi a un monitoraggio gps, perché mio figlio merita di sentirsi dire in faccia il bene che gli voglio e non pensare di essere trattato da mero oggetto smarrito. Se la nostra casa è costruita sulla roccia della relazione viva e presente, si può poi valutare – insieme! – come usare al meglio le potenzialità offerte dagli strumenti tecnici.

Ben venga il buono di un aiuto spicciolo e concreto, altrettanto benvenute devono rimanere le scintille di due corpi incandescenti che si sfregano. Dio ci scampi da un mondo in cui una madre veda ogni centimetro di strada percorso da suo figlio fuori dalla porta di casa, ma non esistano più in salotto le litigate sonore e furibonde tra chi si vuole davvero bene.

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