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Anch’io mi sono arrabbiata con Dio quando non sono riuscita a rimanere incinta

GNIEW

Christian Fregnan/Unsplash CC0

Catholic Link - pubblicato il 19/11/19

Avrete sicuramente sentito dire “Per litigare bisogna essere in due”, ma questo non si applica quando si litiga con Dio.

Nell’ansia, nell’angoscia, nella disperazione o in qualsiasi altro stato simile che abbiate sperimentato se siete donne di fede, è comune chiedere a Dio perché. Perché a me? Perché dai dei figli a un’adolescente che non sa cosa fare della propria vita? Perché dai un secondo, un terzo o un quarto figlio a quella famiglia anziché distribuirli meglio?

Sono frasi che sono venute in mente anche a me in qualche momento, perché non scrivo da semplice spettatrice, ma da persona che ha vissuto questa situazione sulla propria carne. Queste frasi, tuttavia, sono estremamente dannose, fondamentalmente perché non possiamo conoscere la risposta.

Tempo fa, a una presentatrice di un canale regionale è stata diagnosticata una malattia la cui cura richiedeva la chemioterapia. All’inizio si chiedeva “Perché a me?”, e si ribellava contro quella situazione. Dopo un po’ è passata dal “Perché a me?” a chiedersi “E perché non a me?”

Ciascuno porta una croce

Alcuni hanno un matrimonio infelice, altri soffrono per la povertà, la malattia o qualche altra carenza. Ciò che è certo è che ciascuno porta la sua croce, e nell’immensa saggezza di Dio queste croci sono fatte “su misura”, ovvero Dio ti dà la croce che riesci a sopportare.

È vero che nel processo di attesa di rimanere incinta questa croce, questa sofferenza, può sembrare insopportabile, ma non lo è. Insieme alla croce, Dio ti dà la forza per portarla. Ma torniamo alla domanda della presentatrice: “Perché non a me?” Evidentemente questa attesa “eterna” di un figlio sarebbe una croce che si preferirebbe non portare, e per molto tempo ho pensato lo stesso.

Pensiamo allora: “Cos’ho di speciale che potrebbe esimermi dalla sofferenza che affronta tutto l’universo? Che cos’ho che mi rende tanto unica, tanto ‘intoccabile’?” Intendiamoci, non sto negando la grandezza interiore di ciascuno, voglio solo concentrare lo sguardo sulla piccolezza del nostro essere di fronte a Dio. Al suo cospetto siamo infinitamente piccoli, tanto che i reclami risultano assurdi (ma a volte sono necessari, lo so).

Diciamolo in un altro modo: come vi sentireste se venisse una formica a reclamare qualcosa? Come qualsiasi paragone ha i suoi punti deboli, perché Dio è infinitamente più grande di noi, ma la pecca principale di questa metafora è che non amate questa formica, mentre Dio ci ama con tutto Se stesso.

La mia lotta con Dio

Ricordo che nei momenti di angoscia, quando ho iniziato a lottare con Dio, gli chiedevo: “Non ti fa male vedermi così?”, e per molto tempo ero così immersa nei miei pensieri, nel mio dolore, nel mio “problema”, che non c’era silenzio sufficiente per ascoltare la risposta a quella domanda.

Un giorno sono riuscita a fare silenzio e ad ascoltare, ad ascoltare davvero. Mentre cantavamo una nota canzone religiosa durante un ritiro spirituale, la mia attenzione si è concentrata sulle parole “A chi come a Te pesano i nostri dolori?”, e allora ho capito quanto soffriva Dio vedendomi così. Ma se soffriva, perché non faceva nulla? Per rispondere userò un’altra analogia un po’ più adeguata di quella precedente.

Il vero senso della sofferenza

Avete visto sicuramente una madre portare il figlio a fare un vaccino. Lo porta triste sapendo che quel vaccino lo farà soffrire, sa che piangerà sicuramente. Sa che suo figlio la guarderà come per dire “Mamma, perché permetti che mi facciano questo?”, o peggio ancora “Perché mi fai questo?”

Come spiegare a un bambino di un anno la cui ragione è ancora limitata che quella sofferenza che ora sembra tanto grande gli eviterà una sofferenza ancor maggiore in futuro? Il bambino sa solo che c’è qualcosa che gli fa male, in quel momento non sta pensando al futuro, in base alla sua ragione c’è spazio solo per il dolore che sperimenta in quell’istante.

Qualcosa di simile accade anche a noi

La nostra ragione, la nostra conoscenza delle cose è infinitamente minore di quella che ha Dio, che “ordina tutto per il bene di quanti lo amano”. È per questo che la domanda “Perché?” è superflua, o semplicemente possiamo indovinare la risposta: perché è il meglio per lui.

Vi sembra assurdo che aspettare un anno, due o otto per avere un bambino sia il meglio per voi? Non sarebbe meglio avere un bambino subito come tutti gli altri? Per cercare di rispondere farò nuovamente un paragone, sperando che sia l’ultimo.

Perché Dio non mi dà quello che voglio

Dopo pranzo mi piace sempre prendere un caffè amaro, ma lo accompagno con un pezzetto di cioccolata. Il mio cagnolino, che ha un olfatto molto sviluppato, mi segue dal momento in cui apro la cioccolata e mi fa capire in ogni modo quanto lo vuole. Lo vedo saltare, lamentarsi, guardarmi fisso, e vorrei dargliela, ma so che gli farebbe male se gliela dessi.

Lui non lo capisce, ovviamente; non capisce perché gli farebbe male qualcosa che a me fa bene. Collegando questo esempio con la sofferenza che possiamo portare dentro, non riesce a capire perché Dio manda cioccolatini – ovvero i figli – alla vicina che neanche li voleva e non li manda a me.

In questa storia (chiedo scusa se qualcuno si offende con questo paragone) siamo come quel cagnolino che desidera la cioccolata che piace tanto agli altri ma che a noi farebbe tanto male. Per non lasciare spazio a fraintendimenti, chiariamo che solo noi esseri umani possediamo la ragione, e che i nostri desideri più profondi non si paragonano agli istinti e agli impulsi degli animali.

Dio, che è padrone della borsa di cioccolatini e di quella di tutti i dolci, lo sa bene! Sa perché non è ancora il momento di diventare madre, sa perché non si deve rimanere incinta in quel momento, sa perché bisogna ancora aspettare e perché magari i figli non arriveranno mai.

3 punti da ricordare

In queste tre metafore (alcune più azzeccate di altre) ho cercato di illustrare due cose. La prima è che siamo immensamente piccoli davanti a Dio, la seconda che Dio ci ama infinitamente e vuole il meglio per noi.

Vorrei concludere condividendo tre punti che a mio modo di vedere sono molto utili se si vive un momento di ribellione nei confronti di Dio o se lo si è avuto:

1. Nessuno vi giudica: è “naturale” che vi faccia male, che vi ribelliate contro quella sofferenza che sembrerebbe impedirvi di essere felice.

2. Non vale la pena, perché mentre vi ribellate e maledite, Dio continua a riempirvi di amore e di benedizioni, stendendo le Sua braccia amorevoli verso di voi, cosa che nel mezzo della vostra rabbia siete incapaci di percepire.

3. “Non c’è male che duri cent’anni”: potreste voler discutere dicendo “Se sono sterile lo sarò per sempre”, o se avete perso una persona cara penserete “Se n’è andata per sempre”.

Anche se sembra incredibile, non avete bisogno che quella croce scompaia, ma di accettarla, e come diceva San Giovanni XXIII “Soffri almeno con pazienza, se non riesci a farlo con gioia”.

Se siete una donna e state vivendo questa situazione, condividete con noi la vostra storia, dicendoci cosa vi è servito per essere più pazienti, mitigare il dolore o accettare la situazione con pace.

Qui l’articolo originale pubblicato su Catholic Link

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