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Don Nagle: l’inferno è dove ogni tua fantasia si realizza … e non incontri mai nessuno (VIDEO)

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Antoine Mekary | ALETEIA

Annalisa Teggi - pubblicato il 15/11/19

.... il paradiso, invece, non è fantasia ma un incontro eterno di Amore. Dalla catechesi di Don Vincent Nagle al capitolo generale Monastero WiFi del 19 ottobre.

C’è un problema, è da qui che si comincia. Don Vincent ha uno stile tutto suo, sembra un pugile. Non fisicamente, certo. Ma le sue parole assestano colpi, ganci e montanti, che scuotono nel profondo. Arriva lì, dove fa male. E comincia la sua catechesi per il secondo capitolo generale del Monastero Wifi riportandoci a quella doccia fredda che tutti abbiamo sentito addosso da bambini e che da adolescenti è un’acuta insofferenza. C’è un problema, eccolo:

A 4 o 5 anni scopri che qualcosa non va e hai paura, perché il mondo fa male. Il mondo è bello, ma mi fa male. Poi a 11 o 12 anni facciamo un’altra scoperta: qualcosa non va con noi stessi.

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La realtà, che dovrebbe essere quel grande parco giochi dove l’io si aspetta di essere soddisfatto nella ricerca dei suoi piaceri e desideri, tradisce senza pietà i nostri progetti; e poi introduce elementi ed eventi che ci feriscono, ci annichiliscono, ci fanno tremare, piangere e urlare.

In fuga

Dov’è il problema? In noi o nel mondo? In entrambi perché la realtà è ciò che permette all’uomo di crescere. Ma sembra che sia lì apposta per fargli male. Tradisce le aspettative, ti fa ammalare, porta in dote delusioni, non esaudisce i desideri più forti e sinceri.

La realtà ucciderà tutti quelli che tu ami, e lo farà procurandoti grandissimi dolori. Allora perché non mettersi in fuga?

Questo, caro Don Vincent, è proprio un colpo durissimo. Ma quanto è vero? La creatura si trova di fronte all’ipotesi terribile che la realtà non sia segno dell’amore del Creatore, bensì un nemico molto ben armato di colpi ferali. Quando il mondo smette di essere segno e diventa nemico allora s’innesta forte l’ipotesi della fuga: scappiamo da noi stessi e dai colpi del destino, oppure cerchiamo di diventare capaci di domare a nostro comando la realtà:

La realtà nemica vogliamo domarla, rifarla. Non è più segno. […] A scuola, dove ci fanno guardare alla realtà come a un segno, come a una parola d’amore? Ci fanno studiare la scienza perché con la scienza posso sperare di cambiare la realtà e farla a modo mio.
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Antoine Mekary | ALETEIA

Scienza e tecnologia non sono brutte parole, anzi sono testimoni dell’impegno umano nell’ambito della conoscenza; eppure queste competenze deviano nel momento in cui sono percepite come la bacchetta magica che dà alla creatura il potere di plasmare o indirizzare le cose a proprio piacimento. È una grande tentazione quella di pensare che strumenti, in sé positivi, possano essere la chiave di accesso a un mondo – finalmente! – «come dico io». L’immaginazione, che sarebbe il regno meraviglioso in cui le domande più profonde dell’uomo fioriscono, si riduce a essere una misera fantasia, quella di chi raccoglie nei propri pensieri la trama del suo personale film di autocelebrazione.




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Don Vincent cita una frase della campagna elettorale di Robert Kennedy del 1968, in cui dietro l’apparenza esaltante di un sogno bellissimo si cela una tentanzione diabolica:

Robert Kennedy disse: “Ci sono quelli che guardano alla realtà e domandano: perché è così? Ma io guardo a tutte le cose che non ci sono mai state e domando: perché no? “

Sembra entusiasmante, ma è una spinta sull’acceleratore della fuga: quello che c’è non va bene, costruiamo qualcosa che sia più consono a noi. Insistere affinché la realtà cambi e spendersi per realizzare la nostre fantasie sono il modo diabolico per evitare di andare in fondo all’animo, che è creato per un rapporto di amore eterno.

In braccio

Sopraffatti dal peso di questa prospettiva, siamo ora pronti al grande ribaltamento della Buona Novella. E così come è bravo ad assestare manrovesci all’anima, Don Vincent è altrettanto premuroso nell’accompagnarla a un abbraccio che non delude. Racconta che fu proprio un paio di braccia, quelle di sua madre, a tornargli in mente con una visione potente in uno dei momenti più difficili della sua vita. Ricordò di essere stato in braccio a sua madre una notte intera, lui era piccolo e malato e lei lo consolava cullandolo.

Di fronte a quella visione mi dicevo “Che cosa ho fatto per meritare questa cosa?” […] Perché lo aveva fatto? Perché avevo bisogno. Ho capito in quel momento che il merito non aveva niente a che fare, avevo bisogno. Così il mio mondo è cambiato perché ho cominciato a vivere per il bisogno che ho, non per il mondo che vorrei.

Meritocrazia è una parola con cui spesso ci indorano una pillola amara: per non farci stare a tu per tu con le nostre ferite più serie, ci viene suggerito di abbracciare il sogno che le nostre qualità migliori dovranno essere riconosciute. Il mondo sa fabbricarsi analgesici blandi, ma su questo orizzonte piomba come un fulmine la traiettoria opposta e salvifica di Dio. Il vero criterio che mette a fuoco il nostro io non è il merito, ma il bisogno. Un uomo comincia a essere davvero se stesso quando dice: ho bisogno.

E il bisogno che ho è che in questo mondo qualcuno mi ami così, eternamente, gratuitamente, perfettamente. Da allora la mia vita ha preso un’altra strada, non quella che facevo prima, cercando di incrementare l’intelligenza, prendere il potere e rifare il mondo, ma stare umilmente davanti a qualunque punto della realtà che mi promette un amore così, che mi comunica una parola d’amore e verità, che mi dice “Non avere paura, io sono con te, per sempre.” Questa è una bella parola, ma non la sentiamo bene perché dove Dio ce la dice, dove la pronuncia? Nella realtà.

Proprio quella realtà con cui non vogliamo aver a che fare è la prima parola di amore di Dio per noi.




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In croce e in paradiso

Dio risponde al bisogno facendosi a sua volta bisognoso. Non ci porta un’alternativa alla realtà, non ha una fantasia da proporci ma la sua nuda compagnia. Il passaggio più forte della testimonianza di Don Vincent è senz’altro quello in cui ci riaccompagna a vivere ciò che accadde sul Calvario:

Dio si è spogliato della sua divinità per entrare nella nostra angoscia. Entra nella nostra povertà e si espone davanti alla menzogna del mondo e alla violenza. […] Sull’uomo della sindone di Torino, sono state contate 4680 piaghe aperte nel suo corpo. Che cosa è la croce, che cosa è quella parola? Cosa vediamo davanti alla croce? È la riconciliazione, è la parola, la seconda parola più forte di Dio per dire “Questo per te, questo con te!”.
SUDARIO OVIEDO SINDONE
Mostra "O Homem do Sudário"

Solo la realtà, nella sua incontenibile eccedenza, è il luogo degli incontri cioé è il posto in cui è possibile andare in fondo a tutto in compagnia di Chi ha creato il mondo. La fuga da ogni contraddizione non ci porterà in un mondo migliore, tamponare un dolore rifugiandosi nella fantasia non lo farà sparire. Abbiamo bisogno di essere accompagnati a vivere ogni cosa, non a schivarla o cambiarla per forza. Vi invito a godervi il video della catechesi per arrivare, come è capitato a me, a saltare sulla sedia sentendo la sua conclusione … che è, a dire il vero, un grande invito ad aprire la porta a tutto ciò che ci accadrà:

Che cosa è l’inferno? E’ dove ogni tua fantasia si realizza, però non incontri mai nessuno, mai, non fai nessun incontro. Dove si fa l’incontro? Nella realtà. Perché noi insistiamo sulla verità, sulla realtà? Perché è dove incontriamo il Salvatore. In paradiso non si realizzano le nostre fantasie, ma si sta in un incontro eterno d’amore.

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