L’importanza di citare correttamente: breve nota sugli apocrifi agostinianiDue degli apocrifi che vengono falsamente attribuiti dal web a sant’Agostino sono del canonico anglicano della St Paul’s Cathedral Henry Scott Holland e del gesuita Giacomo Perico.
La preghiera di Henry Scott Holland appartiene ad un sermone che egli pronunciò in St Paul’s Cathedral a Londra il 15 maggio 1910, poco dopo la morte del re Edoardo VII.
Recita:
«La morte non è niente. Non conta.
Io me ne sono solo andato nella stanza accanto.
Non è successo nulla.
Tutto resta esattamente come era.
Io sono io e tu sei tu
e la vita passata che abbiamo vissuto così bene insieme è immutata, intatta.
Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora.
Chiamami con il vecchio nome familiare.
Parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.
Non cambiare tono di voce,
Non assumere un’aria solenne o triste.
Continua a ridere di quello che ci faceva ridere,
di quelle piccole cose che tanto ci piacevano quando eravamo insieme.
Sorridi, pensa a me e prega per me.
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima.
Pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto.
È la stessa di prima,
C’è una continuità che non si spezza.
Cos’è questa morte se non un incidente insignificante?
Perché dovrei essere fuori dai tuoi pensieri solo perché sono fuori dalla tua vista?
Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo.
Va tutto bene; nulla è perduto.
Un breve istante e tutto sarà come prima.
E come rideremo dei problemi della separazione quando ci incontreremo di nuovo!»[1].
L’altra preghiera, invece, è del gesuita Giacomo Perico[2]:
«Se mi ami non piangere!
Se tu conoscessi il mistero immenso del cielo dove ora vivo,
se tu potessi vedere e sentire quello che io vedo e sento
in questi orizzonti senza fine,
e in questa luce che tutto investe e penetra,
tu non piangeresti se mi ami.
Qui si è ormai assorbiti dall’incanto di Dio,
dalle sue espressioni di infinità bontà e dai riflessi della sua sconfinata bellezza.
Le cose di un tempo sono così piccole e fuggevoli
al confronto.Mi è rimasto l’affetto per te:
una tenerezza che non ho mai conosciuto.
Sono felice di averti incontrato nel tempo,
anche se tutto era allora così fugace e limitato.
Ora l’amore che mi stringe profondamente a te,
è gioia pura e senza tramonto.
Mentre io vivo nella serena ed esaltante attesa del tuo arrivo tra noi,
tu pensami così!
Nelle tue battaglie,
nei tuoi momenti di sconforto e di solitudine,
pensa a questa meravigliosa casa,
dove non esiste la morte, dove ci disseteremo insieme,
nel trasporto più intenso alla fonte inesauribile dell’amore e della felicità.
Non piangere più, se veramente mi ami!».
Per cogliere la differenza fra i due apocrifi e l’autentico Agostino, basta leggere la lettera che egli scrisse a a Sàpida, che aveva perso il fratello diacono. Agostino certamente incoraggia Sàpida alla speranza, ma quanta comprensione c’è per lei, nella consapevolezza che l’uomo è il suo corpo e che alla donna manca «quel corpo con cui ti si presentava, con cui ti rivolgeva la parola e conversava con te». Agostino pertanto sa bene che il pianto è espressione di amore, ma, lo stesso, invita la vergine a non disperarsi come i pagani, poiché Cristo farà risorgere quel corpo dalla terra.
LETTERA 263 (Scritta dopo il 395).
Agostino invia cristiani saluti a Sapida, piissima signora e figliuola consacrata a Dio
Agostino ha indossato la tunica inviatagli.
1. Ho ricevuto ciò che hai lavorato con le tue caste e sante mani e hai voluto ch’io gradissi, perché non ti arrecassi un dolore più acuto mentre capivo che avrei dovuto piuttosto recarti conforto, soprattutto perché hai creduto che sia per te una gran consolazione proprio se indosserò la tunica che hai confezionato per tuo fratello, fedele ministro di Dio: egli infatti, abbandonata questa terra di morenti, non ha più bisogno d’alcun oggetto corruttibile. Ho fatto perciò quanto desideravi e non ho voluto rifiutare, al tuo amore verso tuo fratello, questo conforto, quale e quanto ne sia il conto che tu ne abbia fatto. Ho ricevuto la tunica da te inviatami; mentre ti scrivo ho già cominciato a indossarla. Sta’ di buon animo, ma trova giovamento in conforti molto più preziosi e molto più efficaci, affinché la nube, addensata attorno al tuo cuore dalla debolezza umana, venga dissipata dalla luce della divina rivelazione. Vivi perseverando nel bene sì da meritare di vivere con tuo fratello, poiché egli è morto in modo che ora vive.
I nostri cari non li abbiamo perduti ma ci hanno preceduto.
2. È bensì motivo di lagrime il fatto che non vedi più tuo fratello, che t’amava e ti venerava moltissimo per la tua vita e per la professione della santa verginità; lui ch’era diacono della Chiesa di Cartagine ora non lo vedi più, com’eri solita, entrare e uscire, sempre zelante nell’adempiere i doveri del suo ministero ecclesiastico. Tu inoltre non ascolti più dalla sua bocca le espressioni d’ossequio che egli tributava alla virtù della sua cara sorella, con affabilità ed affetto pio e deferente. Quando il pensiero corre a questi particolari e ricorre la forza prepotente dell’abitudine, si riceve una fitta al cuore e ne sgorga il pianto, quasi fosse sangue. Il tuo cuore però sia in alto e i tuoi occhi saranno asciutti. Se ti addolora la perdita di questi diletti, che sono passati secondo il corso del tempo, non per questo si è spento l’amore che Timoteo nutriva e nutre ancora per Sapida; esso invece rimane custodito nel suo prezioso scrigno e nascosto con Cristo nel Signore. Quelli che amano l’oro, lo perdono forse quando lo serbano riposto? Non sono forse più tranquilli riguardo ad esso, per quanto è possibile, quando lo tengono riposto in forzieri più sicuri lontano dai propri occhi? La cupidigia terrena si crede dunque più al sicuro quando nasconde ciò che ama e la carità celeste si rattrista, come se fosse perduto ciò che ha mandato al sicuro nei granai del cielo? Rifletti, Sapida, al significato del tuo nome e gusta il sapore delle cose dell’alto, ove Cristo è assiso alla destra del Padre; egli si è degnato di morire per noi affinché vivessimo anche dopo morti, e affinché l’uomo non temesse la morte, come se questa fosse destinata a distruggere l’uomo, e affinché non venisse pianto nessuno dei morti come se avessero davvero perduto la vita, dal momento che per essi è morto colui ch’è la vita. Questi e altri simili a questi siano i tuoi divini conforti, in virtù dei quali arrossisca e sparisca l’umana tristezza.
Il compianto cristiano dei parenti defunti.
3. Non deve farci adirare il dolore che provano i mortali per la perdita dei loro cari, è vero, ma il cordoglio dei Cristiani non dev’essere di lunga durata. Se dunque hai provato dolore, ormai deve bastare e non devi rattristarti alla maniera dei pagani che non hanno speranza. Così dicendo, l’Apostolo non ha inteso proibirci di rattristarci ma solo di rattristarci alla maniera dei pagani che non hanno speranza. Anche le pie e fedeli sorelle Marta e Maria piansero il proprio fratello Lazzaro, che pure un giorno sarebbe resuscitato, sebbene non sapessero che allora sarebbe tornato a questa vita; il medesimo Lazzaro lo pianse perfino Gesù che pure era sul punto di risuscitarlo, volendo così evidentemente farci intendere che, se non ce lo comanda con un precetto, ci permette col suo esempio di piangere anche noi i morti, che pure crediamo destinati a risorgere per la vera vita. E non per nulla la S. Scrittura dice nell’Ecclesiastico: Versa lacrime su chi muore e prorompi in lamenti, come se fossi stato colpito da una crudele sciagura; ma poco dopo soggiunge: Poi però consolati della tua tristezza, la tristezza infatti può causare la morte, e la tristezza del cuore abbatte le forze.
La speranza dell’eternità gran conforto per i Cristiani.
4. Tuo fratello, cara figliuola, dorme nel corpo ma vive nello spirito; forse che uno che dorme non si ridesterà mai più? Dio, che ha accolto il suo spirito, gli restituirà il corpo che gli ha tolto non già perché andasse perduto ma perché è rinviato il tempo in cui gli sarà restituito. Non v’è quindi alcuna ragione d’affliggersi a lungo, ma piuttosto di rallegrarsi senza fine, dal momento che non perderai nemmeno la parte mortale di tuo fratello, che ora giace sotterra; quel corpo con cui ti si presentava, con cui ti rivolgeva la parola e conversava con te, con cui egli somministrava la voce tanto nota ai tuoi orecchi, quanto lo era la fisionomia che offriva ai tuoi occhi; sicché ovunque risonasse, solevi riconoscerlo anche senza vederlo. È appunto la privazione di queste cose per i sensi dei viventi la causa per cui ci rattrista l’assenza dei morti. Ma nemmeno i corpi verranno a mancarci per sempre, dato che non andrà perduto neppure un capello della testa e i corpi, sepolti per un certo tempo, verranno ripresi in modo che non saranno mai più sepolti, ma saranno trasfigurati e resi immutabili; per questo v’è maggior motivo di rallegrarsi nella speranza dell’inestimabile eternità che di rattristarsi per una perdita di brevissima durata. Questa speranza non l’hanno i pagani che ignorano la S. Scrittura e la potenza di Dio, il quale può rinnovare le cose andate in rovina e far tornare in vita quelle morte, restituire nella loro integrità quelle corrotte, riunire di nuovo quelle disgiunte e conservare senza fine quelle prima corrotte e arrivate alla fine. Questo ha promesso di fare colui il quale ce ne dà la certezza in virtù delle promesse che ha già mantenute. Di queste verità spesso ragioni con te la tua fede, poiché la tua speranza non andrà delusa, anche se adesso la tua carità deve ancora aspettare. Medita queste verità, trova in esse un conforto più abbondante e più genuino. Se il fatto che io indosso la tunica che tu avevi tessuta per tuo fratello (dato ch’egli non ha potuto portarla) ti dà un qualche conforto, quanto maggiore e più sicuro devi trovarlo al pensiero che quegli per il quale allora era stato preparato l’indumento, non avendo più bisogno d’indumenti alterabili, è rivestito d’incorruttibilità e d’immortalità!
Note al testo
[1] Questo l’originale inglese: «Death is nothing at all. It does not count. I have only slipped away into the next room. Nothing has happened. Everything remains exactly as it was. I am I, and you are you, and the old life that we lived so fondly together is untouched, unchanged. Whatever we were to each other, that we are still. Call me by the old familiar name. Speak of me in the easy way which you always used. Put no difference into your tone. Wear no forced air of solemnity or sorrow. Laugh as we always laughed at the little jokes that we enjoyed together. Play, smile, think of me, pray for me. Let my name be ever the household word that it always was. Let it be spoken without an effort, without the ghost of a shadow upon it. Life means all that it ever meant. It is the same as it ever was. There is absolute and unbroken continuity. What is this death but a negligible accident? Why should I be out of mind because I am out of sight? I am but waiting for you, for an interval, somewhere very near, just round the corner. All is well. Nothing is hurt; nothing is lost. One brief moment and all will be as it was before. How we shall laugh at the trouble of parting when we meet again!».
[2] G. Perico, Resta con noi, Signore! Preghiere e meditazioni, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2001.