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Questo documentario fa capire perché l’eutanasia non è la dolce morte

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Catholic Link - pubblicato il 23/10/19

di Alvaro Díaz

Oggi condividiamo un documentario preparato da ADF international, un’organizzazione basata su princìpi cristiani che promuove la dignità delle persone sulla base di una prospettiva legata al diritto e alle questioni legali.

In questa occasione sottolinea l’evoluzione della pratica dell’eutanasia dopo la sua legalizzazione in Belgio. Quella che anni fa veniva considerata una condizione particolare e innovativa di questo Paese europeo è ora non raramente oggetto di discussione e dibattito.

Nel mio Paese, la Colombia, l’eutanasia ha acquisito negli ultimi anni molta importanza, occupando vari forum di discussione: a livello medico, universitario, politico, nei mezzi di comunicazione, nei dialoghi familiari e quotidiani.

Essendo stata presa in considerazione la sua legalizzazione, non solo sugli adulti, ma anche sui bambini, molti hanno assunto una posizione, accompagnato o meno da una riflessione di fondo. Approfittando di questa tematica, vorrei proporre alcune riflessioni.

Definendo concetti

Qualche settimana fa, facendo lezione a un gruppo di studenti di Medicina, mi ha sorpreso quello che ha detto un’allieva: “Pensavo che quello che si faceva nelle cure palliative fosse lo stesso dell’eutanasia”. Questo mi ha fatto pensare che ci sono molti termini che risultano equivoci e confusi, e che grazie alla disinformazione si tende a interpretare in modo errato.

È importante sottolineare che l’eutanasia è un atto che cerca di provocare intenzionalmente la morte di una persona che soffre di una malattia incurabile. Ciò vuol dire che con una procedura che molte volte è l’applicazione di farmaci in dosi letali, quello che si cerca è che la persona malata muoia in pochi minuti.

Anche se questa pratica è stata promossa con l’obiettivo di alleviare la sofferenza, non bisogna dimenticare che nella sua natura questo fine contempla il mezzo di accelerare la morte di una persona.

L’eutanasia si pratica in genere su richiesta del paziente, che sente che è il modo per porre fine ai suoi dolori e alle sue sofferenze. Un medico o un professionista sanitario è colui che la effettua accogliendo questa richiesta.

In alcune società in cui questa pratica è così normale da essere realizzata come fosse poco importante, si potrà equiparare a qualcosa di quotidiano come prescrivere una medicina per il raffreddore o prendere un campione di sangue.

È importante chiarire che le cure palliative si differenziano fondamentalmente dall’eutanasia perché rispettano il ritmo naturale del processo vitale. Ciò significa che gli interventi che si effettuano non accelerano ma nemmeno ritardano la morte del malato.

Sull’autonomia

Quando si promuove l’eutanasia, si sostiene attraverso il diritto e il principio dell’autonomia e della libertà della persona che la richiede. È però importante non dimenticare che anche noi medici siamo persone con libertà e il diritto di essere autonomi.

A vote questo tipo di pratiche che si diffondono e si promuovono su base legale sembrerebbe avere un carattere di obbligatorità che restringe una sana autonomia e attenta contro i principi e le convinzioni personali (attenzione! Non solo di indole religiosa come molti sostengono, ma anche di tipo morale ed etico).

In questo senso, sembra incredibile vedere come pochi giorni fa in Argentina sia stato condannato un medico che si è rifiutato di effettuare un aborto. Forse noi medici non abbiamo il diritto a veder rispettata la nostra autonomia e la nostra libertà? Non abbiamo forse il diritto di essere fedeli alla nostra coscienza, agli impegni etici che abbiamo assunto quando abbiamo iniziato la pratica e alle nostre convinzioni e ai nostri princìpi?

Non è l’unica via

“Se la persona si sente amata, rispettata, accettata, l’ombra negativa dell’eutanasia scompare o diventa quasi inesistente” (Papa Francesco)

Ho avuto spesso l’esperienza di incontrare malati di cancro che non hanno più possibilità di guarire e soffrono molto – soprattutto per il fatto di perdere forze e indipendenza e di sopportare un grande dolore fisico, dell’anima e dello spirito – che mi hanno detto: “Non voglio più vivere così, la mia vita non ha senso”, “Se devo continuare a soffrire tutto questo preferisco morire”.

È comprensibile che quando si sperimenta tanto dolore si cerchino soluzioni e vie d’uscita rapide, ma non è raro che molte persone sentano che le porte vengono chiuse, anche da parte dei medici che dicono loro: “Per lei non c’è più nulla da fare”.

Chi non perde la speranza in queste situazioni? Chi non penserebbe in questa condizione che non valga la pena di andare avanti? Quando inizio ad assistere queste persone e spiego loro in cosa consistono le cure palliative (alleviare e mitigare la sofferenza in modo integrale), però, molti sentono che quello che volevano davvero non era morire, ma sentire che la sofferenza poteva essere più lieve. Che non devono affrontarla da soli, che si può sperare di soffrire di meno.

Anche alcuni che desideravano l’eutanasia cambiano idea, perché con meno sofferenza la vita ha un altro colore. In questo senso, sono d’accordissimo con quello che dice il Papa: “La risposta a cui siamo chiamati è non abbandonare mai chi soffre, non arrendersi, ma prendersi cura e amare per ridare la speranza”.

Morte dignitosa

Credo che quando si parla di morte dignitosa, come sostengono i promotori dell’eutanasia, si stia cadendo in un approccio parziale e riduttivo, perché non si tiene conto del fatto che morire in modo dignitoso non significa solo eliminare a tutti i costi la sofferenza, ma che al momento della morte si rispetti il valore di quella persona, si consideri che è un essere con un corpo, un’anima e uno spirito che hanno bisogno di essere assistiti con reverenza.

Morire in modo dignitoso implica il fatto che la persona venga assistita con cura, accolta con amore, con tenerezza e affetto, cercando il suo massimo benessere. Che non sia sola, sia preparata e in pace per questa transizione di vita.

Mi chiedo se le persone abbiano trovato nell’eutanasia una vita d’uscita. Sarà perché nessuno ha offerto loro un’alternativa? Troverebbero un senso diverso alla loro vita se qualcuno si offrisse di camminare con loro e di alleviare il loro dolore?

Mi chiedo anche se le società non considerino troppo poco le cure palliative piuttosto che pensare subito all’eutanasia. Sicuramente le cure palliative sono più esigenti, a livello non solo di risorse materiali, ma anche di impegno e di compassione da parte dei professionisti.

Conclusione

I tempi attuali esigono che le nostre posizioni e i nostri atteggiamenti abbiano una base solida. Che ci informiamo e formiamo bene per poter comprendere il senso di ciascuna delle realtà che a volte si promuovono e acquistano importanza per le voci che parlano più forte, non necessariamente dicendo ciò che è vero o moralmente corretto.

Qui l’articolo originale pubblicato su Catholic Link.

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