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Trasfigurate la vostra timidezza

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La timida, Hermann Von Kaulbach, prima del 1909.

Jean-François Thomas s.J. - pubblicato il 22/10/19

Laddove le persone sicure di sé si mettono in mostra senza ritegno, il timido appare non privo di una sua qualche virtú. La timidezza che paralizza, però, resta una sofferenza e un handicap. Per colui che manca di fiducia in sé stesso, la fede è una liberazione.

In un mondo in cui, troppo spesso, gli spacconi la fanno da padroni, il timido fa molta fatica a trovare il proprio posto. Non è il tipo che si mette a sgomitare per arrivare ai primi posti o che alza la voce per farsi sentir. Non è come certi parlamentari che s’identificano con la Repubblica, laddove è quella che conferisce loro il mandato, o come certi ecclesiastici che s’incensano per le loro (vere o millantate) buone opere. Il timido se ne sta sempre sulla soglia, nel nartece, dietro la tenda come Sara, la moglie di Abramo – va bene, quella era piú curiosa che timida, ma questa è un’altra storia. Al minimo graffio, il timido si rifugia nella propria conchiglia come un paguro, e neppure ha delle pur piccole chele con cui difendersi. Il timido viene sempre colto di sorpresa perché, anche se si prepara a schivare i morsi dei cani-poliziotto è sovente troppo ingenuo da rendersi conto che a mordere veramente, e senza che alcuno glie lo ordini, sono le serpi dei salotti.

Una certa innocenza

Bisogna provare della pietà per il timido, la cui esistenza quotidiana è un inferno, e anche dell’ammirazione in quanto la timidità costringe il suddetto a fare piú sforzi di altri per sormontare gli ostacoli e lo porta a sviluppare una vita interiore necessariamente piú ricca di quella di chi dispiega continuamente la propria vita agli altri. La timidezza, se viene controllata, permette di conservare una certa innocenza, che invece l’audace avverte meno. Se invece essa sparisse totalmente, potrebbe lasciare spazio a uno straordinario orgoglio, a un’ambizione smisurata e incontrollabile, come avviene per Julien in Il rosso e il nero di Stendhal, quando questi giunge alfine nella tanto agognata capitale:

Quale pietà il nostro provinciale non ispirerà ai giovani liceali di Parigi che, a quindici anni, sapevano già entrare in un café con un’aria cosí distinta? Quei bambini, però, cosí “stilosi” a quindici anni, tornano perfettamente ordinari a diciotto. La timidezza appassionata che si riscontra in provincia viene talvolta superata, e allora essa insegna a volere. Avvicinandosi a quella giovane ragazza cosí bella, che si degnava di rivolgergli la parola, bisognava che egli le dicesse la verità – pensò Julien, che diventava coraggioso a forza di vincere la timidezza.

Il timido non deve smaniare appresso a un modello che lo condurrebbe non a sormontare il proprio disagio ma a gonfiarsi di presunzione.

Un equilibrio delicato

L’equilibrio fra timidezza e arroganza è delicato: esso permette una sicurezza adeguata alle circostanze, ove se ne faccia buon uso. È cosí disdicevole e lamentabile che il timido smarrisca tutte le sue capacità durante un esame o un incontro, laddove in quei casi mettere in mostra le proprie conoscenze e le proprie qualità non sarebbe mancanza di umiltà. D’altro canto, egli è decisamente felice di sapersene stare in disparte quando degli esaltati entrano in competizione per avere la prima e l’ultima parola.




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Il timido non rischia di incappare nell’ostacolo che Alphonse Allais sottolineava in modo divertente nel suo racconto comparso in Le Chat noir: «È sempre vantaggioso portare un titolo nobiliare. Essere di qualcosa… uno si trova sollevato, cosí come un coniglio si trova esaltato dall’essere “alla cacciatora”». Il timido crede di non essere niente, di non essere capace di niente. In un mondo in cui il complesso di superiorità si porta con orgoglio, egli si trova sempre spaesato, soffrendo del complesso opposto.

La timidezza trasfigurata

L’evangelista san Luca è colui che riporta a piú riprese quale sia il frutto della timidezza trasfigurata dalla comunione con Dio. I due episodi principali sono quelli dell’incontro di Zaccheo con Gesú a Gerico e la famosa parabola del figliol prodigo. Nel primo caso (Lc 19,1-10), Zaccheo soffre per la propria piccola statura, sapendo di suscitare l’ilarità di molti insieme col disprezzo legato alla sua professione di pubblicano. Nostro Signore alza lo sguardo su di lui, che se ne sta appollaiato sul sicomoro, dov’è salito per sovrastare il tragitto del Maestro. La sua timidezza è ricompensata, ben piú della sicumera di quelli che si sono precipitati attorno a Gesú e che vanamente cercano di invitarlo a casa loro. Nostro Signore sceglie la casa della timidezza nella quale accettare un pranzo.




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Nel secondo caso (Lc 15,11-32), si narra di come il figlio minore che moriva di fame dopo aver dilapidato i suoi beni in terra straniera non osi neppure chiedere di potersi nutrire con il cibo dei porci. Questa timidezza lo conduce ad oltrepassarsi e a sperare l’impossibile: il ritorno nella casa paterna e l’accoglienza come se nulla fosse accaduto (salva la proposta di tornare come servo, non come figlio). Ed è ricompensato come figlio, invece. E poi, nel Vangelo secondo san Matteo (Mt 19,20-22) si produce la guarigione della donna afflitta da emorragia da dodici anni. Contrariamente ad altri infermi e malati, ella non osa domandare al Maestro di essere guarita. Surrettiziamente, ella tocca, da dietro, la frangia del suo mantello, ed è liberata dal suo male grazie alla fede.

Trovare la fiducia in sé

La fede può dunque aiutare a superare la timidezza. Bisogna puntare su questa forza, quando si è affetti da tale debolezza. Saint Tommaso d’Aquino fu soprannominato, dai suoi condiscepoli a Colonia, alla scuola di sant’Alberto Magno, il “bue muto”, a causa della sua statura imponente e del suo carattere piú timido che taciturno. Il Dottore Angelico sarebbe rimasto per tutta la vita estremamente riservato, ma seppe superare questa timidezza eccessiva grazie alla fede che lo inabitata e che lo spinse a insegnare la verità. Se dunque dei genitori hanno tra i loro figli un timido, non bisogna forzare le cose o si rischia di veder perfino peggiorare il problema, ma usare pazienza e delicatezza per conferire al timido fiducia in sé stesso, senza pertanto inculcargli un desiderio di potenza e convincerlo che sia migliore di tutti gli altri.




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La timidezza infantile è cosa naturale perché insorge soprattutto quando compare una nuova situazione. Essa è semplicemente un passaggio obbligato nell’apprendimento delle relazioni umane. D’altro canto, se il fenomeno perdura con l’età e se ogni circostanza, anche le piú familiari, è causa di timidezza paralizzante, è necessario aiutare la persona a trovare una soluzione perché non sia handicappata nella vita ordinaria. La psicologia, nata alla fine del XIX secolo, ha troppo frettolosamente classificato la timidezza tra le patologie da curare. Certo, essa è una spina nel fianco per chi ne sia affetto, ma al contempo sperimentarla è un invito a una piú grande umiltà.


MOTHER - DAUGHTER - CRIES

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Nel Diario di un curato di campagna, Georges Bernarnos tratteggia il ritratto di un giovane prete zelante, goffo e timido che, nondimeno, scandirà i gradini della santità. Questo spirito semplice si sente dire dal parroco di Torcy:

La parola di Dio! È un ferro rovente. E tu che la insegni… tu vorresti toccarla con le pinze, per paura di bruciarti? Non la impugnerai tu a mano piena? Lasciami ridere. Un prete che scende dalla cattedra della Verità con la bocca morbida, un poco accaldato ma in fondo contento… non ha predicato, al limite ha farfugliato assonnatamente.

Una caratteristica del timido è che non è mai contento di sé, contrariamente alle altre persone. Questo è piuttosto rassicurante, a maggior ragione in seno alla Chiesa. Gli animi abituati al successo, alle lodi, sono raramente quelle che insegnano la Verità che dissipa ogni timidezza.


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Non si tratta di restare nel proprio cantuccio convinti che nessuno possa comprenderci, di coltivare la timidezza come arte di vivere che sarebbe superiore alle altre – e quasi per dispetto –, ma di saper utilizzare la giusta distanza nella distanza, per non cedere alle lusinghe del mondo – a quanto brilla ma non è oro. La timidezza non è una mancanza: essa può essere ricca e produttiva se si volge alla riflessione, alla meditazione, alla preghiera. Quanti timidi nell’ombra dei chiostri, lí dove la contemplazione è piú fruttuosa di tutte le azioni straordinarie di quanti non mancano d’audacia e di destrezza!

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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