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Siamo amministratori, non proprietari della vita

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padre Reginaldo Manzotti - pubblicato il 22/10/19

Una riflessione sul V Comandamento della Legge di Dio

“Voi avete udito che fu detto agli antichi: “Non uccidere: chiunque avrà ucciso sarà sottoposto al tribunale”; ma io vi dico: chiunque si adira contro suo fratello sarà sottoposto al tribunale”
Matteo 5, 21-22

Il quinto dei Dieci Comandamenti della Legge di Dio si applica alla legittima difesa, all’omicidio volontario, all’aborto, all’eutanasia e al suicidio.

Il suicidio, ad esempio, ci fa ricordare che ciascuno è responsabile della sua vita davanti a Dio, perché è stato Lui a metterci al mondo. La nostra esistenza ha quindi Dio come unico sovrano, e per questo dobbiamo preservarla. Questo atteggiamento contraddice l’inclinazione naturale dell’essere umano, perché siamo amministratori e non proprietari della vita, e dobbiamo conservarla e perpetuarla.

Esistono disturbi psichici gravi, come l’angoscia, la paura, la sofferenza e la tortura, che possono portare la persona ad attentare contro la propria vita. Dio, nella sua misericordia, valuterà ciò che in quel momento ha portato la persona ad arrivare al suicidio.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice che “non si deve disperare della salvezza eterna delle persone che si sono date la morte. Dio, attraverso le vie che egli solo conosce, può loro preparare l’occasione di un salutare pentimento. La Chiesa prega per le persone che hanno attentato alla loro vita” (CCC, 2283).

Il comandamento “Non uccidere” ci dice che la vita è sacra. Non bisogna uccidere perché solo Dio è padrone della vita, dall’inizio alla fine. Nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare per sé il desiderio di distruggere la vita di un innocente.

La legittima difesa non è un’eccezione al divieto di uccidere un innocente. L’azione di difendersi può comportare un doppio effetto: quello di difendersi per conservare la propria vita e quello della morte dell’aggressore.

Chi difende la sua vita non è colpevole di omicidio, se la conseguenza di proteggerla è stata la morte dell’aggressore. Il primo principio è la difesa della propria vita, e questo è fondamentale nella moralità. La legittima difesa può essere non solo un diritto, ma un dovere grave.

Il quinto comandamento indica anche come gravemente peccaminoso l’omicidio diretto e volontario, e anche l’assassino e chi coopera volontariamente con l’omicidio, perché commettono un peccato che grida al cielo per ricevere vendetta.

Questo comandamento proibisce qualsiasi intenzione di provocare, seppur indirettamente, la morte di una persona. Qualsiasi negozio o pratica mercantile che provochi la fame o la morte dei fratelli è considerata omicidio.

All’interno del comandamento “Non uccidere” esiste una situazione che appare non di rado sulle pagine dei giornali, ed esiste un aspetto da ricordare quando si parla della dignità della persona umana: “È immorale produrre embrioni umani destinati a essere sfruttati come “materiale biologico” disponibile” (CCC, 2275).

Il quinto comandamento affronta problemi seri che oggi sono ombre e la Chiesa classifica come cultura della morte. L’aborto è un’espressione e un peccato contro questo comandamento, perché alla luce della Parola e dei nostri valori la vita è piena già al momento del concepimento. Non si tratta di un oggetto, ma di un essere, di una persona, un figlio di Dio.

La Didakè ci insegna: “Non ucciderai il bambino con l’aborto e non lo farai morire appena nato” (Istruzioni ai dodici apostoli 2, 2)”.

Dio, Signore della vita, ha affidato agli uomini il nobile incarico di preservare la vita perché venga esercitato in modo degno dell’uomo, e per questo la vita va preservata con la massima cura fin dal concepimento. L’aborto è un crimine orribile. La diagnosi prenatale è lecita, ma non può giustificare l’aborto.

Lo stesso vale per l’eutanasia. La vita deve seguire i disegni di Dio. L’eutanasia, diretta o indiretta, è moralmente inammissibile. L’interruzione di procedure mediche care, pericolose e sproporzionate può tuttavia essere legittima.

Ricordate: l’amore per se stessi è un principio fondamentale della moralità, e quindi è legittimo far rispettare il proprio diritto alla vita.

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