Uno studio inglese ha rilevato che il 25% dei genitori con figli al di sotto dei dieci anni affida ad Alexa o ad altri dispositivi le letture della buona notte. Provate anche voi un certo disagio a questa notizia e agli scenari che apre?
Il progresso è fatto anche di capacità di delegare. Ma fino a che punto?
La delega è un processo meraviglioso; significa consegnare ad altri parte delle mansioni che si svolgono in modo ripetuto per liberare la mente e una quota di tempo da impiegare in cose ancora più decisive. E vuol dire anche offrire all’altro, colui a cui si delega, l’occasione di crescere, di assumersi responsabilità via via più grandi. Nascerebbe così, il concetto, o almeno in azienda, nei gruppi di lavoro, in sistemi complessi che devono funzionare bene insieme, è questo che viene sottolineato e promosso.
Spostiamoci nel sistema famiglia, che non è un meccanismo né una piccola impresa domestica anche se in sempre più occasioni se ne sottolinea la somiglianza. La tecnologia ci aiuta, ci ha tolto del carico che prima era imponente.
Il bucato, per esempio: che se ne possa occupare in larga parte la lavatrice, sempre più “intelligente” e capace di decidere temperatura, numero di giri di centrifuga e durata ci sta bene, ci sta decisamente bene. Anche perché, ricordiamocelo, glielo abbiamo insegnato noi.
Che la domotica proceda a passo spedito e ci permetta di pilotare come dalla cabina di un aereo tutto ciò che avviene in essa in ordine a conservazione cibi, temperatura interna, pulizia, sicurezza, ci può andare altrettanto bene.
La relazione non è un processo. Non si può cedere a terzi
Anche in questi campi però occorrono dei limiti e quei limiti siamo noi e la nostra libertà. Ma non intesa come residuo di operazioni che non siamo ancora in grado di affidare a dispositivi tecnologici. Il problema, e il beneficio, della delega è che consegnando un compito affido anche una responsabilità. Ma se questa fosse ceduta a chi non può portarla davvero?
Da qualche tempo abbiamo (hanno, per ora da noi non c’è traccia di assistenti google e alexe varie) fatto entrare in casa dei nuovi “elettrodomestici” altamente evoluti: quelle piccole casse che si attivano con il comando vocale alle quali possiamo chiedere diversi servizi. Mi metti della musica rilassante per favore? Ehi Tizia, quanto fa novantadue meno il 30% che devo valutare se un acquisto (online) è vantaggioso o meno?
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Vada anche per qualche controllo compiti in outsourcing (la domenica sera le divisioni a tre cifre le facciamo con Alexa, mi raccontava un amico, ridendo). Ma la domanda è: fino a che punto siamo sostituibili? Noi genitori innanzitutto.
Un genitore su quattro chiede ad Alexa o simili di leggere la favola della buonanotte ai figli
Davvero ci serve, per esempio, liberarci quella mezz’ora di tempo che richiederebbe accompagnare i bambini piccoli a letto e leggere loro una storia? Come se il loro interesse per le favole e la nostra compagnia non avesse una durata drammaticamente circoscritta! (Si passa in un soffio dalla gratitudine un po’ esasperata perché quel piccolo omino che cammina malcerto vuole sempre e solo me, giorno e notte, alla nostalgia per le coccole perché ora è grande e “per favore mamma non toccarmi che mi dà fastidio!”)
Ebbene in tanti credono di sì: così perlomeno riporta una ricerca d’oltremanica, che ci descrive proprio questo fenomeno.
Uno studio inglese rivela che il 26% dei genitori preferisce delegare a dispositivi tecnologici come Amazon Alexa la lettura di storie della buonanotte ai figli. Le ragioni? Mancanza di tempo, ma anche volontà di integrare consapevolmente la tecnologia nella vita quotidiana dei bambini.
Charity BookTrust ha preso in esame un campione di mille mamme e papà con figli al di sotto dei dieci anni. Lo scopo dell’indagine era scoprire quanto e come la lettura di un buon libro fosse ancora parte della routine serale delle famiglie. (confronta Sky News)
Sì lo è, ne fa ancora parte ma improvvidamente per molti affidata ad altri, la tecnologia che “sembra” umana.
Mi domandavo, qualche tempo fa, se la prosodia, il modo di pronunciare le frasi così scandito un po’ urlato, a volte meccanizzato che assumiamo quando utilizziamo dispositivi a comando vocale non condizionerà via via anche il nostro modo di conversare tra noi umani. Certo ci si aspettano continui perfezionamenti in questo senso nella direzione della sempre maggior naturalezza ma nel frattempo non saranno loro a condizionare noi?
In ogni caso il cuore della notizia, ora, è questo: possibile che un quarto dei genitori, inglesi per ora, non si renda conto che la lettura della favola della buonanotte non è solo una voce che declama (magari pure meglio di noi) un brano? Possibile che non sappia di essere insostituibile in modo radicale e autoevidente?
Che non si sia accorto che il bello di quei momenti è tutto quello che succede tra noi e i nostri figli? Gli inciampi, le domande, gli sbadigli, la nostra voce con le sue inconfondibili inflessioni e toni? La stessa che, se siamo le madri, scatenerà nei nostri figli un rilascio di ossitocina ogni volta che la sentiranno anche quando avranno barba e calvizie incipiente?
Sì, la faccenda della delega ci ha preso decisamente la mano. Perché i bambini, a chi legge loro una favola, di solito fanno domande e si aspettano ascolto vero e risposte; non algidi e cortesi “non ho capito bene, puoi spiegarmi meglio?”. Cosa vorrai mai chiedere ad Alexa a parte di attingere velocemente al sapere umano aggregato per sciogliere dubbi e curiosità?
Se non siamo consapevoli dei limiti necessari allora in linea di principio diventa sempre più accettabile la delega per ogni funzione (proprio perché la si considera erroneamente un processo produttivo e una prestazione, trasferibile a chiunque mostri di averne le competenze).
Tutto bio, gestazione, nascita ed educazione escluse?
Premettendo un mutatis mutandis grande come una casa, in linea di principio non è come chiedere a una donna di partorire al posto nostro un figlio – diremo “è mio” nel senso del possesso- per evitare disagi, smagliature, ritenzione idrica? Ci sono star di Hollywood e simili che si rivolgono a cliniche californiane dedite a rilasciare bambini su fattura proprio in nome della commoventissima pratica della gestazione altruistica mosse da sì alti ideali.
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E tutta questa “cessione di processi” della nostra esistenza alla tecnologia fa uno stridente contrasto con la moda diffusa del bio; cerchiamo di recuperare la naturalità dei cibi (facciamo benissimo!), dei tessuti, dell’aria che ci circonda, persino le crocchette per i gatti devono essere “bio”e l’acqua con poco calcare, ma per quanto riguarda la vita umana, la sua nascita e il suo sviluppo, non è più così. Strano, o perlomeno è una faccenda che interroga. Che ne pensi, Alexa?
Leggere storie la sera non salverà il pianeta, ma una pagina alla volta, aiuterà un bambino a capire in che mondo è finito e chi è lui, da dove viene, chi sono gli altri, e come si combatte il male. Questioni sempre aperte, non c’è che dire.
Alle mie figlie, poiché ero io, e mi amano e mi sopportano, ho potuto infliggere persino la lettura de I promessi sposi. Ogni tanto qualcuna nel dormiveglia che più rapidamente del solito se le inghiottiva si riaveva e mi chiedeva “ma allora si sono sposati o no quei due?”
C’è un problema di identità rubate
Al centro c’è credo un problema di identità che forse non ci si accorge di cedere in cambio del piatto di lenticchie della comodità o di un po’ di ristoro: chi non è stanco morto la sera, almeno ogni tanto?
La sto mettendo giù un po’ pesante, mi rendo conto.
Ma tra il libro che leggo e l’abat-jour ci sono io, mamma, e ci sei tu, figlio. E siamo soggetti, non account. Io sono proprio io e tu sei proprio tu. E mentre sono qui con te non posso essere altrove. Ecco, questo tipo di tecnologia cui chiedere di fare cose al posto nostro è una sorta di continuo alibi, portabile. Che ci fa essere fuori casa quando siamo in casa (acquisto vestiti, visito luoghi, prenoto viaggi, pago bollette…) e a casa quando siamo fuori (da remoto spengo il forno, ad es). Ovvero sempre altrove.
Io sono un soggetto e sono identico solo a me stesso, qui ed ora, e non ad altri o a miei potenziali cloni; io proprio io, che non faccio il genitore perché lo sono.
Commenta così i dati Francesca Simon, autrice di best seller di letteratura per ragazzi:
Stai inviando ai tuoi figli il messaggio che i libri non sono importanti per te, ed è davvero questo il messaggio che vuoi inviare? (SkyNews)
Non è questo il problema, cara autrice di Horrid Henry: è di loro stessi che pensano di non essere così importanti. O meglio, pensano, complice la stanchezza e a volte la pigrizia, di cedere soltanto lo svolgimento di un’operazione. Perché forse non ci accorgiamo che concepiamo noi esseri umani come centri di produzione, come operatori di processi e come tali possiamo, appunto, delegarne una o più parti.
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E’ un problema oserei dire di industrializzazione e amazonizzazione dell’umano. Scomposto in funzioni, cedute ad altri, comprate, vendute, ricercate, rese (in caso di malcontento o di mutate esigenze d’acquisto).
L’esperienza stessa è diventata merce, la relazione lo è, per una montagna di motivi che vediamo dispiegarsi sempre più davanti a noi.
Non c’è un’app per tutto e non è solo questione di tempo. Ma se ci dimentichiamo chi siamo allora sì, basterà un’app, forse anche meno.