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Perché gli psicanalisti non credono alla castità?

WEB SIGMUN FREUD PSYCHOANALYST PORTRAIT Public Domain

Portrait de Sigmund Freud © Public Domain

padre Paulo Ricardo - pubblicato il 11/10/19

Lo spiega Freud? No, lo spiegano i santi!

Molti psicanalisti non credono nella possibilità di una vita casta, e questo è dovuto alle tesi del loro padre fondatore, Sigmund Freud, per il quale la predica cristiana sulla castità, sia nel matrimonio che nel celibato, non era altro che una specie di armatura posta sull’essere umano.

Nei suoi scritti, Freud considera l’uomo un animale difettoso, dominato da una pulsione: l’eros. L’uomo, quindi, desidera fare sesso, avere piacere. C’è però una struttura nel mondo che secondo Freud lo opprime, impedendogli di realizzare tutti i suoi desideri.

Questa struttura, a sua volta, sarebbe appena una superficie, una crosta artificiale, il cui obiettivo non potrebbe essere che quello di mascherare le vere inclinazioni del genere umano. È sulla base di questa argomentazione che Freud è arrivato a insegnare ai suoi allievi che se l’uomo venisse posto in una prigione insieme a dei malfattori, tarati sessuali e pervertiti in poco tempo si lascerebbero tutti andare al proprio istinto, anche se fosse sacerdote, avvocato, medico, giudice…

Negli ultimi decenni, però, questa affermazione di Sigmund Freud è stata decisamente confutata, anche da uno dei suoi allievi più famosi, Viktor Frankl [1], che ha subìto gli orrori del regime nazista nei campi di concentramento austriaci, in cui è rimasto per quasi tre anni.

In mezzo a quella tragedia, segnata da un senso di terrore e paura, lo psichiatra ha vissuto sulla sua pelle quello che il suo maestro, Freud, aveva solo descritto nella teoria: la fame, la tortura, la disperazione e il dolore. Ma per la frustrazione della psicanalisi freudiana, Frankl ha scoperto che quando gli individui di quell’ambiente dovevano aggrapparsi a qualcosa nasceva in loro una scintilla di speranza che li teneva vivi e più sani, mentre chi non vedeva più un senso nella sua esistenza si consegnava facilmente alla morte. Da quell’esperienza è nato il famoso libro Man’s search for meaning, in cui Frankl parla della ricerca di un senso nella vita da parte dell’uomo.

Prima che Viktor Frankl facesse questa constatazione, però, c’era già nella teologia cattolica chi lo aveva preceduto. Santa Teresa d’Avila, ad esempio, nel suo libro Il Castello Interiore compiva un’analogia molto interessante riguardo all’anima umana. La santa paragonava la nostra anima a un castello, dicendo che se l’uomo voleva davvero conoscersi doveva addentrarsi nelle stanze più intime di quella dimora. E la porta di ingresso era la preghiera. Nel XX secolo, una filosofa di nome Edith Stein – o Teresa Benedetta della Croce, come si sarebbe chiamata dopo il suo ingresso nel Carmelo – ha iniziato a interrogarsi di fronte agli scritti di Teresa d’Avila chiedendosi se fosse possibile che gli psicologi non avessero accesso alla propria anima [2]. Non è che Santa Teresa voleva imporre una visione esclusivamente spirituale su una questione così ampia? Era quello che si chiedeva Edith Stein su quegli scrittori, e quale non è stata la sua sorpresa quando, dopo aver riflettuto molto, si è data per vinta e ha ammesso che solo mediante la preghiera si ha accesso alla nostra anima. L’anima umana, secondo Santa Teresa d’Avila, è il giardino delle delizie di Dio. Dio abita in noi. Dall’altro lato, il peccato ci ha strappati da noi stessi, facendoci uscire dalla nostra anima, ovvero dal castello interiore. È per questo che Santa Teresa dice che la maggior parte delle persone si trova fuori dal castello, fuori dalla sua anima, vivendo nei suoi pressi. La preghiera, però, consiste in un rapporto d’amore con Dio, in cui mi ci si libera totalmente delle proprie maschere. Chi vuole entrare nel castello, quindi, deve dedicarsi alla preghiera, che è l’unica porta di ingresso.

La psicologia di Freud è riuscita a raggiungere solo il fossato di quel castello. Ha raggiunto solo la superficie dell’esistenza umana, ma bisogna andare oltre. In questo modo, insiste Santa Teresa, se si vuole raggiungere l’ultima dimora bisogna ammettere anche le proprie debolezze. Quando entriamo nella prima stanza entrano con noi animali, pidocchi – per usare il linguaggio di Teresa –, che ci mordono, impedendoci di vedere la bellezza del castello. Questo spiega perché tanti cattolici, dopo qualche tentativo di autentica conversione, desistono a metà del cammino, dando ragione alle teorie di Freud. Dobbiamo essere più generosi. Dobbiamo essere disposti a compiere il passo successivo: andare in un’altra stanza. È in questo rapporto d’amore con Dio che troviamo la nostra anima, e quindi la castità. Si tratta di una donazione. Per questo, si deve fuggire l’atteggiamento della moglie di Lot, che guardando indietro alla ricerca dei beni che aveva lasciato diventa una statua di sale. Non guardiamo indietro. Guardiamo Cristo. Amate Dio, e troverete la castità.

Riferimenti:
1. Olavo de Carvalho, A mensagem de Viktor Frankl, in Bravo, novembre 1997.
2. Edith Stein (Santa Teresa Benedetta della Croce) è stata una filosofa e fenomenologa ebrea del XX secolo il cui lavoro è stato influenzato da Edmund Husserl, di cui è stata allieva e assistente. Dopo la sua conversione al cattolicesimo ha deciso di entrare nel Carmelo, dove avrebbe vissuto fino alla tragica deportazione al campo di concentramento di Auschwitz, dove morì nella camera a gas. Papa Giovanni Paolo II l’ha canonizzata nel 1998, sperando ch il suo esempio potesse ispirare sentimenti di vera comunione con Dio, soprattutto nel momento del dolore.

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