Nella memoria liturgica di san Girolamo, patrono dei traduttori e degli esegeti, il Santo Padre ha pubblicato la sua lettera apostolica “Aperuit illis”, con la quale la III domenica del tempo ordinario viene ufficialmente dedicata alla riflessione ecclesiale sulla parola di Dio e all’azione pastorale nella missione ad infra e ad extra. Esponiamo schema e contenuti del documento.
È appena stata pubblicata la lettera apostolica “Aperuit illis”, data da Papa Francesco in forma di motu proprio per l’istituzione della Domenica della Parola di Dio, la quale cadrà ogni anno nella III domenica del tempo ordinario, il che comporta un’oscillazione minima tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio (il periodo, come si vedrà, non è scelto a caso).
Un modo solenne per sottolineare la memoria di San Girolamo, patrono dei traduttori e degli esegeti, «nell’inizio del 1600o anniversario della morte» (così testualmente la dicitura della data). Ma davvero era necessaria una domenica dedicata particolarmente alla Parola di Dio? Sembrerebbe lecito chiederselo: in fondo potrebbe apparire superfluo o ridondante, considerando che ogni domenica (ma anche ogni giorno!) viene allestita nelle chiese di tutto il mondo la duplice mensa della Parola e dell’Eucaristia. E non vedremmo con sospetto l’iniziativa di istituire una “Domenica dell’Eucaristia”? Poi ci ricordiamo che il Corpus Domini esiste da otto secoli… e allora torniamo al motu proprio del Papa per apprendere le ragioni della sua decisione.
Il giorno dedicato alla Bibbia vuole essere non “una volta all’anno”, ma una volta per tutto l’anno, perché abbiamo urgente necessità di diventare familiari e intimi della Sacra Scrittura e del Risorto, che non cessa di spezzare la Parola e il Pane nella comunità dei credenti.
Aperuit illis 8
Così Francesco spiega l’opportunità dell’istituzione di tale domenica, nella quale si dovrà «mettere in risalto il servizio che si rende alla Parola del Signore»:
I Vescovi potranno in questa Domenica celebrare il rito del Lettorato o affidare un ministero simile, per richiamare l’importanza della proclamazione della Parola di Dio nella liturgia. È fondamentale, infatti, che non venga meno ogni sforzo perché si preparino alcuni fedeli ad essere veri annunciatori della Parola con una preparazione adeguata, così come avviene in maniera ormai usuale per gli accoliti o i ministri straordinari della Comunione.
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“Aperuit illis” è però tutto fuorché un elenco di cose da fare: la “to do list” può anzi considerarsi integralmente contenuta in questo spunto, perché il documento consiste sostanzialmente in un amalgama di stupore e di pensiero – leggerlo è una vera gioia per la ragione teologica. Proviamo quindi a rendere conto, con la schematicità necessariamente imposta dalla presente sede, della struttura e dei contenuti del motu proprio.
1La relazione in cui va approcciata la Scrittura
Certamente ogni cristiano è personalmente invitato a crescere nella conoscenza delle Scritture, perché – come c’insegnava san Girolamo – «l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo» (In Is., Prologo): il contesto nativo della relazione con le Scritture è però quello ecclesiale, perché l’evento pasquale convoca e costituisce una comunità, non un anonimo insieme di singoli.
La relazione tra il Risorto, la comunità dei credenti e la Sacra Scrittura è estremamente vitale per la nostra identità. Senza il Signore che ci introduce è impossibile comprendere in profondità la Sacra Scrittura, ma è altrettanto vero il contrario: senza la Sacra Scrittura restano indecifrabili gli eventi della missione di Gesù e della sua Chiesa nel mondo.
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L’attenzione e il bilanciamento usati dal Papa in questo paragrafo iniziale sono tipici di tutti e 15 i punti del documento.
2Vaticano II e Benedetto XVI: il Magistero fondamentale sulla Scrittura
Il secondo Padre della Chiesa citato nel testo (dopo il riferimento a Girolamo, obbligato nella sua memoria liturgica) è sant’Efrem: «Chi è capace di comprendere, Signore, tutta la ricchezza di una sola delle tue parole?» (Commenti sul Diatessaron 1, 18). Papa Francesco indica da principio gli strumenti fondamentali per affrontare correttamente – all’interno del già detto rapporto triadico – i testi sacri, limitandosi per praticità ed eminenza alla Costituzione Dogmatica Dei Verbum, del Concilio Vaticano II, e all’Esortazione Apostolica Verbum Domini, di Benedetto XVI. Della prima scrive:
Da quelle pagine, che sempre meritano di essere meditate e vissute, emerge in maniera chiara la natura della Sacra Scrittura, il suo essere tramandata di generazione in generazione (cap. II), la sua ispirazione divina (cap. III) che abbraccia Antico e Nuovo Testamento (capp. IV e V) e la sua importanza per la vita della Chiesa (cap. VI).
Della seconda poi:
[…] l’Esortazione Apostolica […] costituisce un insegnamento imprescindibile per le nostre comunità. In questo Documento, in modo particolare, viene approfondito il carattere performativo della Parola di Dio, soprattutto quando nell’azione liturgica emerge il suo carattere propriamente sacramentale.
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3Il contesto liturgico e la vocazione ecumenica
Proprio perché la prima vita delle Scritture – ciò per cui esse furono da principio composte e tramandate – è la liturgia, l’istituzione di una particolare domenica è tutt’altro che l’ennesima “giornata internazionale di…”, e diventa invece uno strumento efficace a perseguire dei fini. Quali? La crescita dei cattolici nel rapporto con Cristo è stata chiaramente indicata, ma la collocazione nel calendario liturgico dice di più:
[…] [Tale Domenica] verrà così a collocarsi in un momento opportuno di quel periodo dell’anno, quando siamo invitati a rafforzare i legami con gli ebrei e a pregare per l’unità dei cristiani. Non si tratta di una mera coincidenza temporale: celebrare la Domenica della Parola di Dio esprime una valenza ecumenica, perché la Sacra Scrittura indica a quanti si pongono in ascolto il cammino da perseguire per giungere a un’unità autentica e solida.
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4-5Il ritorno dall’Esilio e il rinnovato incarico sacramentale
La Parola di Dio cresce nelle sue funzioni mano a mano che il Popolo di Dio cresce nell’esperienza dei suoi bisogni, e per questo il Papa ricorda come la lettura del Deuteronomio fosse centrale al ritorno dalla deportazione babilonese:
Il popolo è radunato a Gerusalemme nella piazza della Porta delle Acque in ascolto della Legge. Quel popolo era stato disperso con la deportazione, ma ora si ritrova radunato intorno alla Sacra Scrittura come fosse «un solo uomo» (Ne 8,1).
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Francesco stigmatizza le «tendenze che cercano di monopolizzare il testo sacro relegandolo ad alcuni circoli o a gruppi prescelti», e ricorda che «l’omelia […] riveste una funzione del tutto peculiare, perché possiede “un carattere quasi sacramentale” (Evangelii gaudium 142)» [Ivi 5]. Quindi fa un affondo sulle criticità dell’omiletica:
È necessario, quindi, che si dedichi il tempo opportuno per la preparazione dell’omelia. Non si può improvvisare il commento alle letture sacre. A noi predicatori è richiesto, piuttosto, l’impegno a non dilungarci oltre misura con omelie saccenti o argomenti estranei.
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E facilmente il pensiero va a quanti scambiano l’ambone per una cattedra scolastica, nonché a quelli che predicano più volentieri sulle scritture dei giornali che su quelle dei Vangeli.
6-8Cristo primo esegeta, nesso organico tra Scrittura ed Eucaristia
La vicenda di Emmaus è richiamata dal Papa per ricordare due cose: da una parte che
non solo le Scritture antiche hanno anticipato quanto Egli [Cristo] avrebbe realizzato, ma Lui stesso ha voluto essere fedele a quella Parola per rendere evidente l’unica storia della salvezza che trova in Cristo il suo compimento.
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E quindi che
non una sola parte, ma tutte le Scritture parlano di Lui. La sua morte e risurrezione sono indecifrabili senza di esse. […] Poiché le Scritture parlano di Cristo, permettono di credere che la sua morte e risurrezione non appartengono alla mitologia, ma alla storia, e si trovano al centro della fede dei suoi discepoli.
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Il fatto che il cammino dei discepoli di Emmaus si concluda con la cena durante la quale finalmente vengono aperti gli occhi dei due mostra
quanto sia inscindibile il rapporto tra la Sacra Scrittura e l’Eucaristia. Il Concilio Vaticano II insegna: «La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita della mensa sia della Parola di Dio che del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli» (Dei Verbum 21).
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9-11Tre principî dogmatici da tenere fissi nell’approccio alle Scritture
Aperuit illis è un documento “dottrinalmente forte”, se così vogliamo dire: è infatti dedicato ampio spazio all’illustrazione delle ragioni teologiche sottostanti alle pratiche liturgiche e pastorali. In particolare nel paragrafo 9 vengono elencati tre principî al cui sviluppo sono poi dedicati altrettanti paragrafi seguenti (dunque lo stesso 9, poi 10 e 11):
[…] La Costituzione conciliare Dei Verbum affronta il grande tema dell’ispirazione della Sacra Scrittura, una base da cui emergono in particolare la finalità salvifica, la dimensione spirituale e il principio dell’incarnazione per la Sacra Scrittura.
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Che vuol dire? Anzitutto si deve ricordare che «la Bibbia non è una raccolta di libri di storia, né di cronaca, ma è interamente rivolta alla salvezza integrale della persona», e «l’innegabile radicamento storico dei libri contenuti nel testo sacro non deve far dimenticare questa finalità primordiale: la nostra salvezza». Passaggio utile tanto a quanti criticano radicalmente l’affidabilità dei testi sacri come fonti storiche quanto a chi pensa che basti affermarla in polemica coi primi per aver lucrato l’effetto per cui le Scritture furono composte.
La Scrittura, poi va letta alla luce del medesimo Spirito che l’ha suscitata:
Senza la sua azione, il rischio di rimanere rinchiusi nel solo testo scritto sarebbe sempre all’erta, rendendo facile l’interpretazione fondamentalista, da cui bisogna rimanere lontani per non tradire il carattere ispirato, dinamico e spirituale che il testo sacro possiede.
Ibid.
L’ispirazione, dunque, non va riservata in modo esclusivo alla composizione dei testi sacri, ma va anche estesa alla loro trasmissione e all’interpretazione autentica, che trova nel corretto uso liturgico un momento privilegiato:
È necessario, pertanto, avere fiducia nell’azione dello Spirito Santo che continua a realizzare una sua peculiare forma di ispirazione quando la Chiesa insegna la Sacra Scrittura, quando il Magistero la interpreta autenticamente […] e quando ogni credente ne fa la propria norma spirituale.
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Del resto, come potrebbe un uomo accogliere la Parola di Dio in sé a prescindere dal contributo dello Spirito? Cose note, si dirà: può darsi, e nondimeno giova ripeterle, foss’anche solo per gustare passi come quello in cui Francesco descrive la genesi della Tradizione.
È come dire che l’Incarnazione del Verbo di Dio dà forma e senso alla relazione tra la Parola di Dio e il linguaggio umano, con le sue condizioni storiche e culturali. È in questo evento che prende forma la Tradizione, che è anch’essa Parola di Dio […]. Spesso si corre il rischio di separare tra loro la Sacra Scrittura e la Tradizione, senza comprendere che insieme sono l’unica fonte della Rivelazione.
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Anzi, il Papa si spinge ad affermare (pur variando le parole) che la Tradizione precede cronologicamente la Scrittura, pur adottando questa a “regola suprema della fede”, perché
prima di diventare un testo scritto, la Sacra Scrittura è stata trasmessa oralmente e mantenuta viva dalla fede di un popolo che la riconosceva come sua storia e principio di identità in mezzo a tanti altri popoli.
Ibid.
12Profezia e missione
Come la Parola non è per “circoli ristretti”, bensì per un intero popolo, così essa esprime una funzione profetica che «non riguarda il futuro, ma l’oggi di chi si nutre di questa Parola» [Ivi 12]. Tale esperienza può risultare esistenzialmente agrodolce:
È necessario, pertanto, non assuefarsi mai alla Parola di Dio, ma nutrirsi di essa per scoprire e vivere in profondità la nostra relazione con Dio e i fratelli.
13La carità
Evidentemente, la profezia e la missione tracimano nella carità:
La vita di Gesù è l’espressione piena e perfetta di questo amore divino che non trattiene nulla per sé, ma a tutti offre sé stesso senza riserve. […] Ascoltare le Sacre Scritture per praticare la misericordia: questa è una grande sfida posta dinanzi alla nostra vita.
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14Le Scritture protese tra la Legge, i Profeti e la Pasqua di Cristo
Francesco ricorda che nell’episodio evangelico della Trasfigurazione,
[…] mentre il volto e le vesti di Gesù risplendevano, due uomini conversavano con Lui: Mosè ed Elia, che impersonano rispettivamente la Legge e i Profeti, cioè le Sacre Scritture. […] La Trasfigurazione richiama la festa delle capanne, quando Esdra e Neemia leggevano il testo sacro al popolo, dopo il ritorno dall’esilio. Nello stesso tempo, essa anticipa la gloria di Gesù in preparazione allo scandalo della passione, gloria divina che viene evocata anche dalla nube che avvolge i discepoli, simbolo della presenza del Signore.
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Come si vede, i riferimenti scritturistici del motu proprio sono in costante dialogo fra loro, e costituiscono una rete di rimandi e di suggestioni teologiche, riguardo alla quale lo stesso Francesco aggiunge, citando il predecessore Benedetto XVI:
«Nel recupero dell’articolazione tra i diversi sensi scritturistici diventa allora decisivo cogliere il passaggio tra lettera e spirito. Non si tratta di un passaggio automatico e spontaneo; occorre piuttosto un trascendimento della lettera» [Verbum Domini 38]
Ibid.
15Beata povertà
La chiusura potrà forse stupire quanti hanno seguito Francesco secondo i suoi detrattori o (che poi è lo stesso) secondo la vulgata mondana: il Papa spiega infatti che
nessun povero è beato perché povero; lo diventa se, come Maria, crede nell’adempimento della Parola di Dio.
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Il che non toglie l’impegno della Chiesa verso i poveri, anzi la sua opzione preferenziale per essi, ma ricorda a tutti i cristiani che anch’essi sono indubbiamente poveri, e con le parole di Agostino (terzo grande padre citato nel documento) ricorda loro che solo facendo diventare la Parola di Dio carne e sangue della propria vita la loro povertà sarà beata.
«Qualcuno in mezzo alla folla, particolarmente preso dall’entusiasmo, esclamò: “Beato il seno che ti ha portato!”. E lui: “Beati piuttosto quelli che ascoltano la parola di Dio, e la custodiscono”. Come a dire: anche mia madre, che tu chiami beata, è beata appunto perché custodisce la parola di Dio, non perché in lei il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi, ma perché custodisce il Verbo stesso di Dio per mezzo del quale è stata fatta, e che in lei si è fatto carne» [Aug., Sul vangelo di Giovanni 10,3].
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