L’identità di un film viene fissata nel titolo, ma diffidate delle ingannevoli apparenze: dietro il benevolo invito [il titolo francese è “Benvenuti a Gattaca”, N.d.T.], si cela in realtà la discriminazione eretta a scienza.

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Sollevando il velo dall’acronimo di “Gattaca” (le iniziali di guanina, adenina, thymina e citosina, i quattro nucleotidi che costituiscono il DNA) s’intravede la dittatura genetica di una società in cui riescono e sono benvenuti soltanto gli esseri superiori. In un mondo che vuole essere sempre più performante e tendente alla perfezione, i gameti sono accuratamente selezionati in vitro. Una società divisa tra validi e quanti vengono chiamati invalidi per difetto.

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Ventidue anni dopo la sua uscita nelle sale, come non trovare nella scena della consulenza col genetista le primizie dell’attuale deriva eugenetica?
Mi sono preso la libertà di sopprimere tutte le condizioni potenzialmente pregiudiziali: la calvizie, la miopia, l’alcoolismo, la propensione alla violenza, all’obesità.
Così dice il medico ai futuri genitori. E poco dopo aggiunge che:
per 5.000 dollari in più possiamo aggiungere il genio della musica o della matematica.
Ormai la tecnica permette a migliaia di coppie di scegliere il sesso o il colore degli occhi del loro figlio, come avviene a Cipro e in California, nei Fertility Institutes. Checché se ne dica, la mercificazione e l’industrializzazione dell’umano si stanno aprendo la strada. Gattaca ci immerge in un mondo in cui gli esseri non vivono insieme ma uno accanto all’altro, a immagine della rivalità tra Vincent, un invalido, e il suo fratello minore valido, Anton. La loro relazione si limita a gara fratricida fatta di sfide di nuoto in mare aperto. Alla domanda “dov’è tuo fratello?” Andrew Nicoll risponde con l’allegorica scena di risurrezione di Vincent, il degenerato, che salva il fratello dalle acque. Un’inversione dei ruoli genetici che ristabilisce nell’impero di Gattaca un raro gesto di attenzione al più debole.

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Ma donde viene a Vincent la forza che gli permette di rendere possibile l’impossibile malgrado il suo supposto handicap?
Si diceva che un bambino concepito nell’amore avesse più possibilità di essere felice. È una cosa che non si dice più- Non capirò mai cosa abbia spinto mia madre a riporre la sua fiducia nelle mani di Dio piuttosto che in quelle del suo genetista locale.
Forse perché il miracolo della vita è l’equazione più bella, quella dell’amore e della Provvidenza.

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Malgrado la loro fede in Dio e la loro reticenza a cercare la perfezione, i genitori di Vincent (Mary e Antonio) cederanno alla paura delle patologie per il secondo figlio (Anton) e si affideranno a Madonna Scienza. A fronte di questa tentazione, che mondo vogliamo per domani? Andrew Nicoll ci invita a seguire la via dei più deboli in una catarsi dove l’identificazione con Vincent è onnipresente. Vincent (dal latino “vincere”), pone la propria forza nell’accettazione di cadere nella preparazione a rialzarsi – così facendo cresce.

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Come mons. d’Ornellas aveva sottolineato in occasione della sua audizione davanti alla commissione parlamentare sulla bioetica, nel 2018,
conviene quindi discernere a monte e collettivamente il modello di società che dev’essere privilegiato e che bisogna edificare insieme per le generazioni future.
Si tratta di un modello pieno di determinismi nel quale, ancor prima di vedere la luce, un figlio della Provvidenza come Vincent sarebbe condannato a non poter realizzare i suoi sogni? Una società in cui la legge delle diagnosi pre-impianto non lasci più spazio all’imperfezione? Né al caso – se così vogliamo chiamare la grazia di Dio? Il suo dono più grande è l’accoglienza di ogni essere, a cominciare dai più deboli:
Ti basta la mia grazia, perché la mia potenza si rivela nella debolezza.
Dio non sceglie degli esseri perfetti, ma degli esseri che con le loro debolezze si lasciano guidare per crescere ed elevare gli altri.

A immagine di quella bambina chiamata “A.”, portatrice di Trisomia 21 che dopo aver fatto la prima comunione sente un parrocchiano dire a sua madre: «Peccato che non capisca tutto…». La madre fu ferita dal commento ma la piccola la tranquillizzò: «Non preoccuparti, mamma: Dio mi ama come sono». Ecco la civiltà in cui si è anzitutto amati: Agatta.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]