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La cosa che non farò mai più davanti a mia figlia

REFLECTION

Smolina Marianna | Shutterstock

Kate Madore - pubblicato il 20/09/19

Quel momento mi ha insegnato molto su me stessa e sul tipo di madre che voglio essere

Nella mia stanza è appeso uno specchio. Uno specchio grande, e pesante. È attaccato al muro attraverso un perno rigido sulla parte posteriore. Ha una forma semplicissima – rettangolare, gli angoli addolciti da boccioli di giglio color bronzo, che da bambina pensavo (per il dispiacere di mia madre) fossero bucce di banana bronzate.

Da piccola vedevo mia madre guardarsi in quello specchio. A sua volta, lei vi aveva visto specchiarsi lì sua madre sessant’anni prima, e mia nonna vi vedeva davanti la sua mentre si pettinava o si lisciava la gonna.

Lo specchio della mia bisnonna è uno di pochi oggetti della mia famiglia che mi sono portata dietro in quest’epoca alla Marie Kondo (autrice giapponese che sostiene la necessità di liberarsi di molte cose che abbiamo che non ci sono realmente utili né ci piacciono davvero, n.d.t.). La nostra casa è piccola, abbiamo cinque figli, un cane e una serie infinita di attività, ma questo specchio è un punto fermo.

Le mie tre figlie ora guardano me mentre mi ci specchio. La più piccola non arriva neanche a vedercisi, è alta solo quel tanto che basta a lasciarci le impronte con le dita sporche di marmellata, ma mia figlia di cinque anni è abbastanza alta per essercisi guardata a occhi sgranati quando le abbiamo tagliato per la prima volta i lunghi capelli. Chissà come sarà quando andrà lì davanti per mettersi il rossetto e vestirsi elegante come nelle storie che immagina sempre. Vive in un mondo in cui tutto è splendido e possibile.

Mia figlia di nove anni di recente è cambiata molto. Gli zigomi si sono affilati, gli arti si sono allungati ed è più aggraziata. Si sente sempre dire – più delle altre – che assomiglia alla mamma, anche se in realtà assomiglia solo a se stessa. I nostri capelli scuri hanno una tonalità identica, e la sua tranquillità assomiglia alla mia. Si guarda poco allo specchio, più che altro con curiosità, in modo sperimentale – si lava lì vicino il viso prima di andare a scuola e prova nuove pettinature.

Domenica scorsa ero davanti allo specchio, pronta per andare a Messa. Ero persa nel mio mondo – un tratto genetico che ho trasmesso a mia figlia di cinque anni, anche se il suo mondo è più felice. Mi si è avvicinata mentre ero immersa nei miei pensieri e ha messo le dita tra le mie.

“Mamma, che c’è che non va?”

Mi sono ripresa, e guardando davanti a me ho visto quello che vedeva lei – il mio volto nello specchio.

Ho visto il solco nella fronte, il volto accigliato e lo stomaco arrotondato dalle tante gravidanze. Ho visto il petto sollevarsi in un singhiozzo silenzioso di scontento. Ho visto tutto questo nell’arco di pochi secondi, prima di voltarmi per guardare i suoi occhi marroni, le piccole labbra incurvate, la testa in atteggiamento di domanda. Cosa c’era che non andava?

Non invitato, mi è tornanto alla mente un ricordo di mia madre – camicetta inamidata, jeans stirati, maglione di lana; il suo marchio di fabbrica, l’eyeliner verde, e il rossetto color vino. Lei che è sempre stata piccolina, magra e di classe, in quel ricordo aveva la sua “faccia da specchio”: labbra strette, spalle indietro, occhi critici.

Mi sono seduta sul bordo del letto e mia figlia si è stretta a me. L’ho abbracciata mentre cercavo di trovare una risposta. Ha parlato lei per prima. “Sei bellissima, mamma”.

Non riesco a dimenticare quel momento.

Non ho libretti di risparmio o piani pensionistici da lasciare come eredità alle mie figlie. L’unica eredità che posso lasciare loro è un’eredità d’amore. E questo include il fatto di amare se stesse come le ama il Padre.

Quell’amore non è una cosa passiva, un biglietto di auguri per il compleanno mandato una volta all’anno. No, è di una persona che è con noi proprio in questo momento, piena di gioia:

“Il Signore tuo Dio in mezzo a te… Esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il suo amore, si rallegrerà per te con grida di gioia” (Sofonia 3, 17).

“In mezzo a te” significa nelle nostre cicatrici, nei nostri errori, nei nostri sguardi accigliati per lo stress della vita.

Non permetterò mai più che mia figlia mi trovi come quel giorno. Per quanto per altri versi possa non essere un esempio luminoso, non sarò per lei un modello di inadeguatezza e insoddisfazione.

Per quanto sembri strano, sto invitando Dio ad amarmi nella mia pelle tirata, nella mia pancia morbida, nelle mie ansie ingiustificate. Sto cercando di guardarmi in faccia, con i denti che hanno bisogno di una visita dal dentista e gli occhi che non reggono più tanto bene le lenti a contatto, e vedermi felice.

Non sarà facile, ma non proverò a fare tutto da sola. Lui lo sta già facendo – lo ha già fatto.

Tutto quello che sto facendo io è dire un timido “Sì” al Su amore. Quando saranno le mie figlie a guardarsi in quello specchio, spero che vi vedano riflesso quel “Sì”.

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