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Perché essere “amici con benefits” non porta nessun vantaggio?

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Catholic Link - pubblicato il 17/09/19

di Daniel Torres Cox

Gli amici condividono molte esperienze. Si va al cinema o a prendere un caffè, si fa l’alba per studiare o si va al lavoro insieme, si va a un concerto o a teatro. Se si condivide tanto, perché non condividere anche l’esperienza di un incontro sessuale?

1. Amici “con benefits”

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By XiXinXing/SHutterstock

Essere “amici con benefits” implica la possibilità di avere rapporti sessuali senza che questo presupponga l’esistenza di una relazione. Si cerca di ottenere un beneficio reciproco partendo dal corpo dell’altro, mettendo da parte qualsiasi tipo di impegno. Non c’è esclusività, non ci sono reclami, né scenate di gelosia… non c’è amore e non ci sono sentimenti. Solo sesso.

A volte una delle parti accetta un rapporto come questo perché è il modo per stare con qualcuno che non vuole impegnarsi. Può nutrire la speranza che col tempo la “relazione” si formalizzi, e anche compiere passi in quella direzione. Se l’altra persona non vuole altro, ci saranno sicuramente delle ferite.

In ogni caso, tuttavia, in questo tipo di relazioni c’è una concezione molto impoverita di quello che implica il fatto di essere amici e di cosa comporta un rapporto sessuale. In effetti, l’amicizia ruota principalmente intorno all’esperienza sessuale condivisa, e il rapporto sessuale è visto solo come una questione di corpi.

2. L’amicizia: un’autentica preoccupazione per l’altro

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Gli amici condividono molte cose, e più è profondo ciò che si condivide, più è profonda l’amicizia. Partendo da questo, si potrebbe pensare che condividere abitualmente rapporti sessuali possa gettare le basi di un’amicizia solida, ma non è così per due motivi.

In primo luogo, perché ci sia un’amicizia autentica non basta solo condividere. La condivisione presuppone che ci sia una ricerca reciproca del bene dell’altra persona. Quando si cerca il proprio bene a scapito dell’altro c’è un atteggiamento di uso, che esclude la possibilità di un’amicizia autentica.

Chi usa gli amici cercando il proprio beneficio non è davvero un amico, e in un rapporto senza impegni c’è una strumentalizzazione reciproca basata sulla ricerca del proprio piacere.

Il secondo motivo è che in realtà non ogni rapporto sessuale è un’esperienza profonda. In un rapporto in cui prevale la ricerca del proprio piacere non c’è una vera apertura all’altro. Chi usa – e sa di essere usato – non si dona davvero all’altra persona, e se non c’è una donazione autentica da parte di entrambi la relazione resta solo sul piano fisico, senza profondità.

3. Più di una questione di corpi

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Instagram @teddysphotos

Che problema c’è con i rapporti senza impegni? Mettere in gioco il corpo assumendo che si possa escludere da quell’atto la totalità della persona è considerare il corpo solo come qualcosa di accessorio o secondario. Il proprio corpo viene visto come una sorta di oggetto, come qualcosa che “ho”, non come qualcosa che “sono”.

Il corpo, però, non è affatto secondario, è essenziale: è l’espressione visibile di chi sono. È vero che la persona non si esaurisce solo nel corpo, perché ciascuno possiede un’incalcolabile ricchezza interiore – in cui entrano in gioco sogni, progetti, gioie, paure… -, ma la persona è un’unità indissociabile in cui confluiscono l’elemento visibile e quello invisibile. Lungi dall’essere qualcosa di secondario, il corpo è essenziale: sono il mio corpo.

In un rapporto sessuale in cui il centro è posto sulla ricerca del proprio piacere si mette in gioco il corpo, ma cercando di mantenere una sorta di “distanza interiore” rispetto all’atto che si compie. Si mette in gioco il corpo ma senza un’autentica donazione di tutta la persona.

Questa separazione è tuttavia artificiale, e fino a un certo punto forzata. Visto che il corpo è essenziale – “Sono il mio corpo” -, laddove si mette in gioco il corpo si mette in gioco tutta la persona. Che si voglia o meno, quando si dona il corpo si offre il meglio che si ha: se stessi.

Per questo, ogni rapporto sessuale è chiamato ad essere vissuto come una “questione di persone” più che come una “questione di corpi”. Solo in questo modo c’è una corrispondenza tra quello che si esprime con il corpo e come si vive interiormente quell’atto.

Potete leggere altri articoli su questo tema sul sito www.amafuerte.com

Qui l’articolo originale pubblicato su Catholic Link.

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