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Papa: commuoversi per i fratelli, la peggiore schiavitù è vivere per sé stessi

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Tiziana Fabi / AFP

Vatican News - pubblicato il 08/09/19

Un milione di persone ha preso parte, stamani, alla Messa con Papa Francesco al Campo diocesano di Soamandrakizay, alla periferia di Antananarivo. Risuona forte nell'omelia l'esortazione a non chiudersi nel proprio “piccolo mondo”, nel proprio clan o nelle ingannevoli sicurezze del denaro e del potere, ma aprirsi agli altri per gustare la vita nuova

di Debora Donnini – Città del Vaticano

Lo hanno atteso tutta la notte, in questa immensa distesa di terra rossa. Anche con bambini piccoli, non hanno avuto paura di sfidare il forte vento, il freddo e, “armati” solo di stuoie, coperte e del sorriso, hanno aspettato, trepidanti, per abbracciare Papa Francesco. Al Campo diocesano di Soamandrakizay, ai giovani che ieri hanno preso parte alla Veglia, si sono aggiunte migliaia di persone tanto che stamani si stima siano un milione, strette una accanto all’altra e festanti.

In tanti privi di tutto, non è il piano di Dio

A loro Papa Francesco, nell’omelia, rivolge quello stesso invito che Gesù lanciò alla folla del Vangelo e ad ogni uomo: non chiudersi nel proprio “piccolo mondo” fatto di famiglia, clan, ricerca del potere o del denaro. In una parola a “non vivere più per sé stessi” , “una delle peggiori schiavitù”, ma ad “alzare lo sguardo”, a mettere Dio e non l’io al centro della propria vita, e così aprirsi ai fratelli:

Guardiamoci intorno: quanti uomini e donne, giovani, bambini soffrono e sono totalmente privi ​​di tutto! Questo non fa parte del piano di Dio. Quanto è urgente questo invito di Gesù a morire alle nostre chiusure, ai nostri orgogliosi individualismi per lasciare che lo spirito di fraternità – che promana dal costato aperto di Cristo, da dove nasciamo come famiglia di Dio – trionfi, e ciascuno possa sentirsi amato, perché compreso, accettato e apprezzato nella sua dignità.

Le “esigenze “di Gesù alla luce della gioia dell’incontro

Ma è importante capire l’orizzonte delle “esigenze di Gesù”: “solo alla luce della gioia” dell’incontro il Signore ha significato ogni “rinuncia cristiana”, sottolinea Francesco spiegando le parole di Gesù nel Vangelo della Liturgia di oggi: “Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo”.

Non “consacrare” comportamenti che portano a corruzione

La vita nuova che il Signore propone si trasforma, infatti, in “scandalosa ingiustizia” per chi crede possa ridursi solo a legami di sangue, all’appartenenza ad un clan o a una cultura particolare mentre l’invito è a vedere l’altro come un fratello, al di là della sua provenienza familiare o culturale, a “commuoversi per la sua vita”. Quando è, invece, la “parentela” a decidere ciò che è giusto, si finisce per “consacrare” alcuni comportamenti che portano alla “cultura del privilegio e dell’esclusione”, cioè “favoritismi, clientelismi, e quindi corruzione”, avverte il Papa. In un Paese che vive il dramma della miseria, dove i bambini soffrono malnutrizione e sfruttamento, il Papa ricorda che di fronte alla dignità umana calpestata, il cristiano non rimane a braccia conserte, indifferente, o a braccia aperte, fatalista, ma “tende la mano”, riprendendo un’immagine proposta anche in Mozambico, all’Incontro con i giovani delle diverse religioni.

Nel rinchiudersi si diventa risentiti e lamentosi

In sostanza, il Signore vuole preparare all’irruzione del Regno di Dio liberando l’uomo da “una delle peggiori schiavitù”, il “vivere per sé stessi”:

È la tentazione di chiudersi nel proprio piccolo mondo che finisce per lasciare poco spazio agli altri: i poveri non entrano più, la voce di Dio non è più ascoltata, non si gode più la dolce gioia del suo amore, non palpita più l’entusiasmo di fare il bene… Molti, in questo rinchiudersi, possono sentirsi apparentemente sicuri, ma alla fine diventano persone risentite, lamentose, senza vita. Questa non è la scelta di un’esistenza dignitosa e piena, questo non è il desiderio di Dio per noi.

Non strumentalizzare il nome di Dio per violenza

Il Papa poi mette in guardia dall’identificare il Regno dei Cieli con i propri interessi personali o con il fascino di qualche ideologia che – dice – “finisce per strumentalizzare il nome di Dio o la religione per giustificare atti di violenza, di segregazione e persino di omicidio, terrorismo ed emarginazione”. L’invito è “a non manipolare il Vangelo con tristi riduzionismi” ma a “costruire storie di fraternità e solidarietà”, nel rispetto del Creato e con “l’audacia di vivere il dialogo come via”, con un importante riferimento al Documento sulla fratellanza umana, firmato ad Abu Dhabi nel febbraio scorso.

Le ingannevoli sicurezze di potere, carriera, denaro

Ma c’è “un’esigenza del Maestro” anche riguardo al ricordare che la nostra vita è il risultato di un “dono” intessuto tra Dio e “tante mani silenziose” di persone di cui conosceremo i nomi solo nel Regno dei Cieli. Non bisogna credere che tutto provenga da quello che possediamo, tanto che “la corsa ad accumulare diventa assillante e opprimente” fino all’uso di mezzi immorali. Tutta la sua omelia in terra malgascia è, in fondo, un’esortazione ad osare “un salto di qualità”, cioè ad adottare la “saggezza del distacco personale” come base per la vita per combattere, insieme, le idolatrie  che fanno focalizzare l’uomo “sulle ingannevoli sicurezze del potere, della carriera e del denaro e sulla ricerca di glorie umane”.

La vita nuova

“Le esigenze che Gesù indica cessano di essere pesanti” proprio quando si inizia a gustare la gioia della “vita nuova”, che nasce dal sapere che Gesù ci è venuto a cercare, anche quando eravamo persi. “Umile realismo”, un realismo cristiano, dice il Papa, auspicando che si abbia il desiderio di rendere il Madagascar luogo in cui il Vangelo diventa vita.

Sull’altare sono esposte le reliquie del beato Rafael Luis Rafiringa, lasalliano malgascio, educatore, catechista e mediatore di pace, che ha retto le sorti della Chiesa locale nel difficile periodo della fine dell’800, nel periodo dell’espulsione dei missionari e di persecuzione. Lo stesso tempo in cui visse la Beata Victoire Rasoamanarivo, sulla cui tomba si è recato ieri Papa Francesco fermandosi in preghiera.

L’arcivescovo di Antananarivo: i malgasci la ammirano per lo stile dei poveri

A dare voce alla grande gioia del popolo malgascio per l’incontro con Papa Francesco è stato monsignor Razanakolona, arcivescovo di Antananarivoal termine della Messa. Un “grazie” rivolto al Papa per essere venuto a seminare i semi della speranza e della pace e a incoraggiare nella fede  e nell’impegno a favore dei poveri. “I malgasci La ammirano non solo per il contenuto del Suo Magistero, ma anche per il Suo stile personale, che è quello dei poveri. Sia certo – ha promesso – della nostra fedeltà a Lei Vicario di Cristo e della nostra dedizione alla missione evangelizzatrice”.

Qui l’articolo tratto da Vatican News

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