Un tempo il verbo "desiderare" si associava al bambino che sarebbe nato per renderlo soggetto pieno di dignità, oggi lo si usa solo per mettere al centro del discorso le preferenze di chi lo concepisce.
Il bambino deve essere “desiderato”.
Nel momento culturale che stiamo vivendo, il termine ‘desiderare’ accanto alla parola ‘bambino’, è assolutamente da chiarire.
Storicamente, il considerare un bambino ‘desiderato’, fu inquadrabile con l’esigenza di rendere il bambino soggetto degno di attenzione e rispetto. Sostanzialmente, con l’intenzione di diminuire atteggiamenti irresponsabili ed erronei verso il bambino, la chiave di risoluzione fu quella di diffondere il messaggio che la situazione migliore per un bambino è quella di possedere genitori amorevoli che sono preparati al suo arrivo.
Tutto questo ha delle motivazioni ostetriche e pedagogiche ovvie: una coppia che programma una gravidanza avrà un atteggiamento più sano, eliminerà i fattori di rischio, sarà più propensa a preparare “il nido” per accogliere il figlio. Due genitori che consapevolmente lo vogliono essere, si dimostreranno più attenti dal punto di vista della cura e dell’educazione. Il ragionamento è corretto dal punto di vista teorico, ma dal punto di vista pratico – purtroppo – è spesso impraticabile. Innanzitutto si dà per scontato che ci sia una coscienza molto presente nell’avere rapporti sessuali: in una cultura pornificata, erotizzata e spiccatamente egoistica come la nostra, non è facile. Se io mando messaggi chiari sul fatto che ognuno possiede la libertà di comportarsi come vuole coi propri genitali, e sono i genitali quelli coi quali si concepisce un bambino, abbiamo un problema enorme dal punto di vista delle relazioni, dell’affettività e della maturità personale di ogni singolo individuo. Se io insegno invece che sesso si fa quando si è in grado di assumersene la responsabilità – parimenti all’uso che si fa di una vettura -, ciò va nella medesima direzione del concetto secondo il quale il bene di un bambino è quello di essere consapevolmente amato, educato e rispettato (ovvero quella della responsabilità). Se io, al contrario, insegno che si può fare sesso con estrema libertà e la cosa più importante è evitare le malattie e le gravidanze indesiderate, cosa impedirà poi che – nonostante magari si desideri una gravidanza e quindi si divenga genitori – l’atteggiamento verso il bambino muti? Basta un’intenzione, per rendere una persona degna di attenzione e rispetto?
Il termine “gravidanza indesiderata” descrive la percezione nel confronto di uno stato – quello di gravidanza – che dimentica consapevolmente il fatto che il bambino nell’utero non è una cosa, ma una persona che possiede diritti indipendentemente dal fatto di essere “desiderato” o “indesiderato”. Il concetto che è estremamente chiarificatore riguardo il fatto che se una “gravidanza indesiderata” dalla donna diviene – per una serie di circostanze – “desiderata”, allora quel bambino è soggetto di cura, attenzione e rispetto.
La desiderabilità pare fornire, al bambino, tutta una serie di diritti il che è, quantomeno, discutibile. Un piccolo esempio: se noi parliamo a una donna incinta, non le chiediamo solo come sta, ma anche come sta il bambino. Questo perché sappiamo molto bene che i due corpi, nonostante il fatto che convivano, sono due identità separate: questo è del tutto indipendente dalla “desiderabilità” di essere genitori. Il bambino c’è e, di sicuro, se qualcuno uccidesse la donna e cagionasse anche la morte del bambino, l’omicidio sarebbe plurimo indipendentemente dal desiderio che la donna possedeva di avere quel bambino.
Inoltre vi è un altro grosso problema: il diffondere il concetto che un figlio “desiderato” riceverà un trattamento migliore e tutta una serie di cure migliori rispetto a un figlio “indesiderato”, non renderà automaticamente il bambino un soggetto verso il quale si avrà un atteggiamento attento e un modo di condurre la propria vita mettendo al centro i suoi bisogni di bambino.