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Il manuale di un domenicano per “una gioia indistruttibile”

Fille dans l'aqueduc romain de Césarée
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Jules Germain - pubblicato il 02/09/19
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L’esperienza mistica sembra a molti qualcosa di extra-ordinario, riservato a pochi eletti. La contemplazione di Dio, invece, è la vocazione di tutti i cristiani e la fonte della più grande gioia possibile sulla terra mentre aspettiamo il Cielo. È per questa ragione che padre Jean-Claude Lavigne ha voluto rendere accessibile quest’esperienza spirituale in un’opera intitolata “Le moment contemplatif”. Lo abbiamo intervistato.Come vivere l’incontro con Dio fin da quaggiù? Come fare della propria vita spirituale la fonte di un profondo incanto per vivere quel “momento contemplativo” che permette un cuore a cuore profondo con Cristo? In un’opera che propone tutto un itinerario spirituale, il padre Jean-Claude Lavigne rende accessibile le più grandi gioie della contemplazione cristiana. Aleteia è andata a incontrarlo per capire meglio.

Jules Germain: Lei afferma che la vita mistica, il cuore a cuore con Dio, sia la vocazione di ogni cristiano. Eppure questa dimensione sembra spesso dimenticata, o almeno nascosta…

Jean-Claude Lavigne: Proprio così! Predicando ritiri, accompagnando pellegrinaggi, ho potuto constatare che l’esperienza spirituale personale era taciuta, come se ci se ne vergognasse. Sembra che una grande insistenza sull’azione, sull’impegno, abbia potuto implicare una diffidenza nei riguardi della contemplazione. Un equilibrio tra contemplare e agire è uno dei punti fondamentali della vita cristiana.

Il mio libro invita a coltivare la vita contemplativa, a rifondare l’agire nella contemplazione. Bisogna che il nostro cristianesimo sia incandescente! La nostra vocazione è di essere bruciati dall’amore di Dio. Bisogna rivelare l’importanza di questo faccia-a-faccia con Dio che ha la potenza di una prossimità amorosa. È questa prossimità che ci permetterà di essere cristiani gioiosi, di stare bene nella nostra vita, nel nostro corpo, nella nostra azione, nelle nostre relazioni con gli altri.

Ogni persona è chiamata a questo incontro con Dio che abita in noi e che vuole una relazione forte, una relazione vivente. Dunque non dobbiamo averne paura. La vita mistica non è necessariamente incredibile: i veri mistici sono spesso stati persone molto pragmatiche – costruttori, pensatori, organizzatori. D’altro canto, invece, certi eccessi psicologistici non sono mistica: della vita mistica occorre avere un’immagine molto più semplice.

J. G.: L’esperienza della bellezza, dell’arte, può aiutarci a entrare nel cammino della vita mistica?

J.-C. L.: Da una parte la bellezza è qualcosa che ci apre all’altro, al mondo, alla vita. Essa ci spinge ad essere sensibili a quel che non siamo noi stessi, ci spinge ad essere veramente soggiogati dalla creazione per uscire dal narcisistico culto di sé. Il problema è che la bellezza può essere idolatria, malia, fascinazione. Vi si può vedere la sorgente di emozioni e non cercare la bollezza che per queste emozioni, come tante sensazioni da collezionare. Così, se l’emozione – e non più Dio – diventa l’oggetto del desiderio, allora la bellezza può allontanare da Dio. Non si vede che la creatura, ci si soddisfa della creazione e del suo effetto su di noi, così non si vede più il creatore.

Nell’esperienza mistica si riscopre la vera bellezza delle cose, la bellezza degli esseri, la bellezza della natura, una bellezza semplicissima che riposa sulla gratitudine, sulla convinzione che tutto quanto ci circonda sia dato gratuitamente. È una riscoperta che non è più nell’ordine del fascino o della malia.

J. G.: Ammirare il quotidiano è dunque tappa irrinunciabile di un itinerario mistico?

J.-C. L.: Sì, l’ammirazione è la più grande delle virtù. È quella che ci permette di dirigerci all’incontro con Dio. Bisogna ammirare e stupirsi, sempre. Stupirsi dell’altro nella vita ordinaria è quel che ci permette di restare sensibili alla sua ricchezza in quanto persona. Amo molto, nella quotidianità, quella coscienza dell’istante che mi viene dato, che sta lì. Anche Dio sta lì, vicinissimo. Per amare, è necessaria questa capacità di stupirsi.

La mistica cristiana, che vive dell’incarnazione di Cristo, si vive fortemente nel quotidiano, in quanto ci è più vicino. Gesù è come il bacio di Dio sul mondo. C’è un’infinita tenerezza di Dio per il mondo e per tutta l’umanità. Non si può dunque essere mistici e vivere questo cuore-a-cuore con Dio se non si ha questa medesima tenerezza per quanto ci circonda.

J. G.: Nel suo libro lei evoca l’importanza dei punti cardinali per vivere un incontro con Dio in verità. Come li chiama lei?

J.-C. L.: Effettivamente nel corso dei secoli ci sono potute essere delle derive, e sono necessari dei punti di riferimento per vivere la vita mistica in tutta la sua verità. Il primo punto fondamentale è il rapporto con gli altri. Se gli altri non contano più, se il mondo non esiste più, allora si può ritenere che si stia vivendo in realtà un’alienazione spaesante. La Chiesa ha sempre condannato la mistica che non prendeva sul serio la relazione al reale, all’altro, al più prossimo.

Un secondo criterio importante è la parola di Dio. Quel che vivo nella preghiera dev’essere in armonia con ciò che Cristo ci dice nell’Evangelo. Se quel che vivo spiritualmente non ha nulla a che vedere con le parole di Cristo, col dono e col perdono che egli ci insegna, ciò significa che mi sono fatto un dio a mio uso e consumo, per il mio benessere spirituale. In aggiunta a questo, si può trovare anche la grande tradizione mistica e quel che i santi hanno potuto dire della loro vita spirituale.

J. G.: Come fare perché la vita mistica non sia una sorta di “performance”?

J.-C. L.: La vita mistica consiste anzitutto nel ricevere, nell’accogliere. È con tale prospettiva che si può ovitare un’ottica volontaristica e un culto della performance. Si tratta di imparare ad accogliere, a dire grazie a Dio. Ci si rende semplicemente sensibili al momento, all’istante che avviene, a quel niente che cambia tutto.

Per questo, bisogna saper vedere, ecco perché la capacità di ammirare è fondamentale: è quella che rende sensibili alle particelle di eternità. È Dio che ci tende una cima perché l’afferriamo, non siamo noi che ci arrampichiamo verso di lui. Bisogna solo rendersi disponibili ai doni che Dio ci fa.

J. G.: Lei come caratterizza quel “momento contemplativo” che ha dato il titolo al suo libro?

J.-C. L.: Si tratta di un faccia-a-faccia con Dio. Non è l’unione mistica, che è una cosa molto particolare e che necessita di un accompagnamento specifico, ma è l’amore come si presenta all’inizio. È un momento balenante, semplicissimo, di grande prossimità: un incontro innamorato. È quel momento in cui tutto cede. Ci si trova oltrepassati dalla grazia, da un soffio, da un non-so-che. Ci si trova trasportati al di là di noi stessi. È un momento di profonda gioia, una grande felicità.

È uno sguardo di Dio su noi, è quel che ci sconvolge, ed è una cosa difficile da raccontare. È uno sguardo di infinita dolcezza che restituisce fiducia. In questo sguardo tutto comincia, tutto è possibile, è come una nuova chiamata. Dà la pace. Ci si perde negli occhi di Dio e questo ci raddrizza, ci rimette in piedi: ci si sente leggeri e al contempo portati da una forza terribile, una gioia indistruttibile che dona tranquillità all’anima.

J. G.: E se i nostri lettori volesse cominciare domani a fare il necessario per vivere questo momento contemplativo, quali sarebbero i suoi consigli?

J.-C. L.: Gli direi: «Guarda quel che c’è attorno a te, l’istante che ti è dato vivere. Riflettiamo insieme: chi ti ha dato tutto questo? Tutto quel che ti sta attorno, tutte queste persone, tutti questi istanti, da dove vengono? Dio è lì: Dio riempie tutta la tua vita. È sufficiente guardare per vederlo». Sono per un’antropologia del concreto e della semplice presenza di Dio nella nostra vita comune. È in questa maniera che dalle nostre vite ordinarie può sorgere lo straordinario.

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Le moment contemplatif, Jean-Claude Lavigne, Cerf, maggio 2019, 19 euro.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]