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Basta essere umani per dire no all’utero in affitto. Parola di “femminista tardiva”

Surrogacy

© Public Domain

L'Osservatore Romano - pubblicato il 27/08/19

Una donna, moglie, madre di 4 figli e cattolica, spiega le ragioni per opporsi all'orrore della maternità surrogata.

Mi chiamo Roberta Trucco e mi definisco una femminista tardiva, anche se rappresento lo stereotipo tipico dell’antifemminista: sono cattolica, sono casalinga, sono sposata e sono madre di 4 figli. Alcuni anni fa ho iniziato a interessarmi di maternità surrogata. Vagando su internet mi imbattei nella petizione #stopsurrogacynowlanciata da Jennifer Lahl in California. Mi bastò la lettura del manifesto e firmai subito. La mia adesione nacque certamente da una motivazione “di pancia”. Noi donne siamo il nostro corpo: Anna Maria van Shurman, filosofa e teologa del 1600, con grande lungimiranza, contrapponeva al “cogito ergo sum” di Cartesio il suo “Sum ergo cogito”.




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Oggi, dopo anni di intensi confronti, insieme a molte altre donne abbiamo elaborato sufficienti argomenti a dimostrazione di quanto questa pratica sia disumanizzante e aberrante. Spezzettare la maternità significa ridurre la gestazione a un processo senza anima e senza storia, come se i nostri corpi fossero solo dei tubi attraverso i quali scorre la vita, una vita che non lascia segno; significa inserire il processo complesso e meraviglioso dei nove mesi di relazione feto/madre in un sistema di mercato, in cui il valore di un ovulo o della sperma è equiparato al processo della gravidanza, e dunque significa accettare che il capitale (mercato) entri di imperio nella logica della maternità.

La maternità non è negoziabile. La madre, sia che si occuperà del bambino/a una volta fuori dalla pancia, sia che non se ne occuperà affatto; sia che lo abbia desiderato o che non lo abbia desiderato, resterà iscritta per sempre dentro l’identità dell’individuo generato, e questa funzione, con tutto il carico anche drammatico di responsabilità, è per me una funzione sacra, intoccabile. L’autodeterminazione delle donne, in questo caso, non c’entra nulla, noi non possiamo disporre di ciò che è indisponibile, le relazioni non si donano e non si vendono. Non bisogna essere madri per comprendere che questa pratica si presta a diventare la schiavitù del terzo millennio e una forma di tratta mascherata dietro una idea fallace di libertà. Siamo tutte e tutti nati da donna e sappiamo nel profondo quanto quel corpo che ci ha generato sia un ricordo indelebile del nostro essere e parte fondante la nostra identità.

Roberta Trucco, Genova




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QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO SULL’OSSERVATORE ROMANO

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