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Rapporti sessuali vuoti, preservativi e Giochi Panamericani

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© Sirtravelalot - Shutterstock

Catholic Link - pubblicato il 06/08/19

di Daniel Torres

Distribuire preservativi nelle gare sportive che riuniscono un gran numero di giovani atleti non è una novità. È successo ai Giochi Olimpici di Rio de Janeiro (2016), accade ai Giochi Panamericani di Lima (2019) e si ripeterà sicuramente a Tokyo (2020). Si tratta di una pratica che tende a normalizzarsi, e che merita una riflessione.

1. Incontri occasionali

Sono tanti gli atleti che entrano nel mondo delle competizioni ad alto livello con un unico obiettivo in mente, vincere, ma la realtà è che delle migliaia di atleti che partecipano a un’attività di questo tipo solo pochi arrivano sul podio. Per questo, per la maggioranza questi appuntamenti sono anche l’occasione per vivere esperienze memorabili a livello non solo sportivo, ma anche sociale.

I villaggi olimpici – e la villa panamericana di Lima – riuniscono migliaia di atleti di nazionalità e culture diverse. Quella di Lima è in grado di accogliere 10.000 atleti, molti dei quali saranno eliminati nei primi turni e avranno molto tempo per socializzare.

In questi villaggi le distanze si accorciano e si può conoscere molto di altre culture conoscendo chi le rappresenta. Nasceranno amicizie, scambi di contatti, aumento di followers nelle reti sociali, e sicuramente ci saranno anche incontri più “ravvicinati”. Per questo servono i preservativi.

In un incontro sessuale occasionale, la parola “amore” è superflua. Uno dei grandi successi di chi promuove una libertà sessuale assoluta è il fatto che nella coscienza delle persone sia stata instillata l’idea che il sesso e l’amore non devono procedere di pari passo.

In quest’ottica, uomini e donne possono imbarcarsi senza pregiudizi in un rapporto sessuale che mira solo a vivere il momento presente e a divertirsi. In questi incontri ci si concentra su se stessi: quanto ci si sente bene e quando piacere si sperimenta. Si può anche quantificare l’esperienza: quante persone, di che nazionalità, quante volte… Inevitabilmente, l’altro diventa un numero, una cifra, un trofeo… un oggetto, e non un soggetto; una cosa, e non una persona.

2. Di più non è sempre meglio

La difficoltà di un vivere la sessualità che ruota intorno al piacere è che questo non può mai diventare un bene condiviso. In un rapporto sessuale, per quanto intenso per entrambi, ciascuno sperimenta solo il proprio piacere. Per questo mettere al centro il piacere porta inevitabilmente a vivere il sesso in modo egoista.

Qual è il problema? Che cercare solo il piacere in un rapporto sessuale implica il fatto di considerare l’altro un oggetto, e in genere non è piacevole entrare a contatto con qualcuno che cerca solo di massimizzare il suo piacere. “Mi usano, ma uso anch’io”. Essere usati è il prezzo che a volte si è disposti a pagare in cambio di un “bel momento”.

In questo contesto, purtroppo, “più” non vuol dire necessariamente “meglio”, e per questo la soddisfazione non sempre si moltiplica aumentando gli incontri, perché può essere che qualcuno non sia stato tanto divertente, che non ci sia sentiti a proprio agio o che più di vincere si senta di essere stati privati di qualcosa.

Distribuire preservativi in un contesto del genere può aiutare a evitare una gravidanza o la trasmissione di malattie, ma acutizza un problema di fondo, perché si vive la sessualità in un modo che si esaurisce solo nella ricerca del piacere senza sfruttare il grande potenziale che ha per rendere piena la vita dell’essere umano.

Il piacere mira alla soddisfazione del corpo, ma di per sé non riempie la persona. Per questo, un incontro sessuale può essere molto intenso e nonostante questo lasciare con un profondo senso di vuoto, o anche acutizzare la solitudine. La sessualità dispiega tutto il suo potenziale solo quando si sviluppa in un contesto in cui per entrambi la prima cosa è la ricerca del bene e di ciò che è meglio per l’altro, ovvero nel contesto dell’amore.

Solo in base all’amore si comprende il rapporto sessuale come un atto di dedizione e non di conquista o di possesso. La donazione del proprio corpo smette di essere il prezzo da pagare per “sentirsi bene” e acquista un senso più profondo. Smette di essere una “questione di corpi” e diventa un ambito in cui entrambi, uomo e donna, si danno dignità – e danno dignità all’altro – in quanto persone.

Giovanni Paolo II diceva in Amore e Responsabilità che la persona è un bene rispetto al quale solo l’amore costituisce l’atteggiamento appropriato e valido (1.I.6). In questo modo, segnava un limite a qualsiasi avvicinamento in cui prevalesse un atteggiamento utilitaristico nei confronti dell’altro, e nel far questo indicava anche l’unico modo in cui una relazione si può realizzare rispettando l’infinito valore dell’altro in quanto persona.

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