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Dove nasce nel cervello l’impulso ad aiutare gli altri?

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By Bignai/Shutterstock

Silvia Lucchetti - pubblicato il 01/08/19

Una recente ricerca svela dove risiede l'area cerebrale che ci orienta alla solidarietà

Il decennale del terremoto dell’Aquila recentemente celebrato anche con iniziative – come quella del 24 luglio scorso intitolata “Mani nude e spilli al cuore” – per ricordare lo straordinario impegno di quanti hanno prestato la loro opera nei soccorsi alla popolazione, testimonia come in contesti simili si attivi una straordinaria catena di solidarietà. Attraverso di essa tante persone mettono a disposizione tempo, energie e risorse economiche per dare aiuto a chi è in quel momento in grande difficoltà, senza tener conto in molti casi della sicurezza personale e del proprio benessere.

Perché le persone sono portate ad aiutarsi vicendevolmente?

La psicologia si è sempre interessata alla ricerca dei fattori che determinano il cosiddetto comportamento prosociale, che può essere definito come qualsiasi condotta attuata per portare beneficio ad un altro essere umano, in definitiva al perché le persone sono portate ad aiutarsi vicendevolmente. Come spesso avviene di fronte a temi così complessi le conclusioni dei ricercatori non sono univoche in quanto la prospettiva dell’assoluta autenticità dei gesti solidaristici viene contestata da quanti ritengono esservi alla base sempre la molla della ricompensa, almeno in termini di potenziamento dell’autostima personale.




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Quali processi cerebrali si attivano quando siamo di fronte a qualcuno in difficoltà?

Per approfondire questa tematica, come ci informa un articolo a firma di Letizia Allevi apparso su Focus.it, da molto tempo neuro-scienzati e psicologi hanno cercato di individuare i processi e i circuiti cerebrali che si attivano quando siamo di fronte a qualcuno in difficoltà e decidiamo di aiutarlo. Alcuni studi si erano già focalizzati sul lobo temporale mediale (MTL), un’area del cervello collocata a livello delle tempie e della regione che circonda l’orecchio, che si attiva quando ricordiamo eventi passati (memoria episodica) o immaginiamo situazioni future (simulazione episodica), mentre altri avevano attenzionato una regione limitrofa, la giunzione temporoparietale destra (RTPJ) da cui dipenderebbe la capacità di capire che gli altri sperimentano stati mentali differenti dai nostri (Focus).

La ricerca

Ricercatori statunitensi dell’Università di Albany (NY) e del Boston College hanno cercato di chiarire i ruoli di queste due aree, chiedendo a volontari di leggere online 40 notizie riguardanti persone in difficoltà, e di rispondere successivamente a domande sullo stile dei testi (un primo gruppo), oppure di immaginare come si sarebbero comportati in quelle circostanze per prestare aiuto (un secondo gruppo), e se avevano ricordi di aver aiutato qualcuno in passato e come. Durante l’esperimento è stata usata la risonanza magnetica funzionale (fMRI) per identificare le zone cerebrali maggiormente attivate durante gli “esercizi” a cui i volontari si sottoponevano. Entrambe queste regioni si “accendevano” quando essi ricordavano un gesto altruistico messo in atto o che avrebbero al bisogno agito. A questo punto i ricercatori hanno inibito l’attività della RTPJ con la stimolazione magnetica transcranica (TMS), osservando che con la giunzione temporoparietale esclusa ma il lobo temporale in gioco i volontari a cui si chiedeva di ricordare eventi trascorsi e poi di immaginare comportamenti attivi in situazioni di bisogno rispondevano positivamente, confermando l’attitudine alla prosocialità (Ibidem).


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La conclusione

La conclusione a cui i ricercatori sono giunti è che dobbiamo al lobo temporale mediale, grazie alla capacità di integrare i ricordi e di immaginare situazioni future, la determinazione ad attuare comportamenti altruistici.

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