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Il potente legame tra il beato Bronisław Markiewicz e San Michele Arcangelo

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Bronislaw Markiewicz

don Marcello Stanzione - pubblicato il 20/07/19

“Questo Arcangelo ha combattuto in primo luogo il drago e i suoi angeli come padre della superbia e il principe dei superbi"

Bronislao Markiewicz nacque a Pruchnik, un piccolo centro della Galizia, il 13 luglio 1842, in una famiglia polacca. In questo periodo storico non esisteva lo stato indipendente polacco. La nazione polacca viveva sotto l’occupazione della Prussia. La Galizia apparteneva all’Impero Austro-ungarico.

Bronislao, sesto di undici figli, nacque il 13 luglio 1842 e venne battezzato quattro giorno dopo con il nome di Bronislao Boaventura. La sua famiglia era modesta, di piccoli borghesi, composta da undici figli, cinque maschi e sei femmine. Nella famiglia si espirava un’atmosfera di profonda religiosità. Il punto centrale della casa era occupato dal quadro della Madonna Nera di Czestochowa; inoltre sulla trave principale di sostegno al tetto erano state scolpite due frasi significative: “Il Verbo si è fatto carne ed abita in mezzo a noi” e “Signore Dio benedite questa casa con i suoi abitanti”. La vita della sua famiglia è stata segnata da momenti di dolore e di sofferenza, per la morte di quattro sorelline.

La conoscenza di Don Bosco

Dopo l’esame di maturità decise di entrare nel seminario di Przmysl dove venne ordinato sacerdote il 15 settembre 1867. gli anni 1867-1885 furono segnati dal suo servizio pastorale nelle diverse parrocchie della diocesi di Przemyls. Nella sua attività pastorale dedicava particolare attenzione alle confessioni, al catechismo e alle opera di carità.

DON BOSCO
Fr Lawrence Lew, O.P.-(CC BY-NC-ND 2.0)

Il 10 novembre 1885, don Markiewicz, con il consenso del vescovo, lasciò la diocesi e arrivò in Italia pensando di entrare nell’ordine dei padri Teatini, ma a Roma conobbe alcuni sacerdoti salesiani e nel loro stile di vita riscontrò una grande affinità con le sue aspirazioni. Decise di partire per Torino e il 27 dicembre venne accolto nella famiglia salesiana. A Torino conobbe personalmente san Giovanni Bosco e come novizio a San Benigno Canavese ebbe il privilegio di ascoltare dalla bocca del Santo gli insegnamenti su “temperanza e lavoro”.

Gli orfani in Polonia

L’incontro con san Giovanni Bosco accentuò il lui il desiderio di percorrere la strada della santità: “Mi raccomando alla sua preghiera affinché io possa diventare al più presto un santo, poiché c’è dappertutto bisogno di santi, ma in modo particolare in Polonia. Quando mancano i santi in una nazione, si fa buio nelle teste degli uomini e la gente non vede chiaramente la strada da percorrere”. Alla conclusione del periodo di formazione emise proprio nelle mani di san Giovanni Bosco i suoi voti perpetui. Rimase in Italia fino al 1892 ricoprendo diversi incarichi nelle case salesiane. Era anche un punto di riferimento per i sacerdoti e i seminaristi provenienti dalla Polonia.

Purtroppo il clima e il tanto lavoro indebolirono la sua salute, così si ammalò di tubercolosi. I superiori decisero di farlo tornare in Polonia, così ricevette l’incarico come parroco della parrocchia di Miejsce, un villaggio di 800 anime ai piedi dei Carpazi, nella sua diocesi di Przmysl. Qui ebbe cura premurosa degli orfani. Il suo più profondo desiderio era radunarli, dare a loro la formazione spirituale, intellettuale e umana. Subito dopo un mese di permanenza a Mieisce accolse nella canonica il primo orfano. Alla fine del primo anno erano già tredici i ragazzi, l’anno successivo trenta, alla fine del 1894 cinquanta. Aveva un progetto di vita per i suoi giovani ospiti, che possiamo sintetizzare nel motto caro a don Bosco: “Lavoro e temperanza”. Con le su doti di organizzatore, rapidamente riuscì a trasformare un gruppo di ragazzi sbandati in una vera e propria comunità con le sue regole e i suoi ordinamenti.


DON BOSCO

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“Temperanza e lavoro”

Per assicurare la vita e il futuro all’Istituto, con l’aiuto del fratello Wladyslaw fondò un’associazione laica “Temperanza e Lavoro”, che già nell’aprile del 1898 venne approvata dalle autorità civili. Nello stesso tempo chiese il riconoscimento religioso dell’ordine da lui fondato; solo nel 1921, nove anni dopo la sua morte, la Congregazione di San Michele avrebbe ricevuto l’approvazione ecclesiastica. L’anno 1902 segnò nella sua storia un momento di particolare sofferenza. Vennero poste alcune restrizioni alle due nuove Congregazioni, limitando la loro attività solo all’ospitalità dei ragazzi poveri ed abbandonati.

Si deve anche ricordare che oltre alla comunità maschile iniziò a formarsi una comunità di volontarie che in seguito, nel 1928, avrebbe ricevuto l’approvazione ecclesiastica come Congregazione delle Suore di San Michele Arcangelo. Egli con spirito di obbedienza accettò la volontà del vescovo.

Proseguì il suo instancabile lavoro di educatore nello spirito di temperanza di lavoro. “Gli uomini più felici del mondo sono coloro che amano Dio con tutto il cuore e il prossimo come loro stessi, sono coloro che hanno rinnegato loro stessi portando la loro croce”. La sua opera crebbe: nel 1903 vicinoa Cracovia venne aperta una filiale dell’Istituto. A Mieisce venne costruita una nuova casa in mattoni, che sostituiva la vecchia casa di legno distrutta dall’incendio nel 1904. nel 1907 vennero aperti nuovi laboratori. Sul finire del 1911 lo colse la malattia; le sue ultime settimane furono segnate da grande sofferenza fisica.

Il calvario

Alcuni testimoni del suo calvario riportano alcune parole del beato: “Mi sembra di aver fatto quanto ho potuto fare, quello che Iddio esigeva: posso andarmene. Non posseggo patrimonio di sorta, tutto è proprietà della Società, però state attenti a quanto vi dirò “La Chiesa vuol crescere con l’umiltà” (parole di S. Beda)”. Il 29 gennaio 1912, alle nove di mattina, santamente così come era vissuto, concluse la sua avventura terrena. La sua morte addolorò i ragazzi, gli educatori, i parrocchiani. Tutti erano convinti che li aveva lasciati un uomo santo. Questa convinzione ha ricevuto il sigillo della Chiesa il 19 giungo 2005, quando il Venerabile Servo di Dio è stato proclamato Beato.

Un patrono “potente”

Il Beato Markiewicz era convinto che San Michele Arcangelo fosse un Patrono potente, la cui esistenza si fonda sulle pagine della Bibbia, sulla Tradizione della Chiesa e, per lui elemento particolarmente caro, sulla storia del culto di questo Arcangelo nella nazione polacca. Il motivo che ricorre spesso nei discorsi di Markeiwicz su San Michele Arcangelo è anche la sua fedeltà al Santo Padre e quindi alla Chiesa stessa, per cui egli era sempre più convinto della correttezza della strada scelta, malgrado le numerose contrarietà che si trovò ad affrontare.

SAINT MICHEAL
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Saint Michel archange.

In uno dei suoi articoli scrive: “Nei tempi attuali occorre rivolgersi, con un culto particolare e in modo molto personale, a San Michele Arcangelo, il condottiero dell’esercito celeste e il vincitore degli angeli caduti, il quale occupa in cielo il primo posto dopo quello della Vergine Santissima e ha un grande influsso sulle sorti del mondo. In ultima analisi, la nostra vittoria è nelle loro mani. San Michele Arcangelo, dopo la Vergine Santissima, è la prima potenza in cielo e sulla terra” (Temperanza e Lavoro, 4, 1901, nr. 4, p. 31).


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Simbolo del “fuoco d’amore”

Quale significato aveva nella spiritualità del Beato Markiewicz questo fascino personale verso San Michele Arcangelo? Come concepiva egli l’imitazione del suo celeste Patrono nella vita quotidiana?

San Michele Arcangelo era, per il Beato Bronislao Markieicz, soprattutto un esempio di ammirazione e di lode verso Dio. L’Arcangelo era per lui simbolo del fuoco d’amore che ha vinto la disobbedienza e la ribellione di satana. Così scrive al riguardo nel suo libro “Esercizi spirituali”:

“San Michele Arcangelo, infiammato dal fuoco d’amore di Dio, ha gridato ‘Mi-cha-el’, che significa ‘Chi come Dio’ e si è dato da fare con fervore per convincere gli altri angeli che dovevano riconoscere le qualità infinite dello stesso Signore e Creatore, dandoGli gloria e onore” (Esercizi spirituali, 1913, p. 240).

Il Beato Markiewicz ha visto nel suo Patrono anche l’esempio più autentico della profonda umiltà perché questo Arcangelo ha continuamente lottato contro la superbia:

“Questo Arcangelo ha combattuto in primo luogo il drago e i suoi angeli come padre della superbia e il principe dei superbi, perché il diavolo ha origine proprio dalla superbia. Per questo è stata la superbia che, per prima, è stata abbassata fino agli inferi dal Cavaliere della Causa di Dio” (Temperanza e Lavoro, 5, 1902, nr. 9, p. 67).


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“Colonnello della salvezza”

Per tutta la sua vita Markiewicz imparò l’umiltà ai piedi della croce che adorava con tutti gli angeli. Per questo non meraviglia che egli abbia chiamato San Michele Arcangelo “il colonnello della salvezza”, che tiene in mano lo stendardo vincente della croce di Cristo. Come contrappesi della superbia vengono indicati la penitenza e il lavoro:

“…Sotto la protezione di San Michele, andando avanti, e cioè proseguendo con la penitenza e con il lavoro verso la nostra salvezza, non solo non permetteremo di farci distogliere dalle nostre buone abitudini, ma (…) trarremo guadagno e beneficio dalle stesse persecuzioni, senza perdere di vista lo stendardo, sotto il quale San Michele Arcangelo guida il suo esercito, ricordando sempre la croce di Cristo e sopportando con pazienza le croci della nostra vita” (Temperanza e Lavoro, 5, 1902, nr 9, p. 67).

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E’ significativo notare che queste parole furono scritte dal Beato Markiewicz nell’anno 1902, che fu portatore per il Fondatore delle Congregazioni di San Michele Arcangelo di numerose croci. Croci che si sono manifestate soprattutto nell’estrema povertà dei bambini con i quali egli stava a contatto e nell’incomprensione della sua opera educativa promossa in loro favore. Agli inizi del suo cammino sacerdotale egli invocava gli angeli, con a capo l’Arcangelo Michele, per la comune contemplazione della croce. Ora, nel più profondo della sua sofferenza, sentì il suo amaro sapore, continuando a recitare contro ogni speranza: “Chi come Dio”.


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