Un compito senza date di scadenzadi Giorgia Salatiello
L’esortazione apostolica Amoris laetitia dedica alcuni significativi paragrafi (158-162) a un accostamento e a un raffronto tra il matrimonio e la vita consacrata e può essere utile tornare su quelle pagine in prospettiva femminile, ponendo la maternità al centro dell’attenzione. Ovviamente, per poter fare ciò, la maternità non deve essere assunta come puro evento fisico, comune a molte altre specie viventi, ma nella sua radice antropologica che tocca la dimensione psichica e anche quella spirituale, oltre a quella corporea. La maternità biologica, infatti, come generazione di un nuovo essere umano, implica e presuppone l’originaria predisposizione della donna ad accogliere la vita, anche quando questo, per diverse circostanze, non avvenga di fatto.
Assumendo la maternità in questi termini, la considerazione non è limitata alle consacrate e alle donne sposate che sono madri, ma involge indirettamente anche tutte quelle donne, oggi sempre più numerose, che sono laiche, ma che non sono sposate e non hanno figli.
È molto difficile parlare della vocazione femminile alla maternità senza cadere in astratte idealizzazioni e in visioni stereotipate che non tengano conto del vissuto concreto, e spesso doloroso, delle donne, ma è indispensabile farlo per non privare di parola un’esperienza che, potenziale o agita, le riguarda tutte.
Tornando, per il momento, ad Amoris laetitia e al suo rivolgersi a uomini e donne, è evidente che, per poter raffrontare i due stati di vita, deve essere individuato il termine che li accomuna e che li rende comparabili, pur salvaguardando la specificità di ciascuno. Tale termine comune è l’amore che matrimonio e vita consacrata declinano con modalità differenti, ma non contrapposte.
In questo senso, la vita consacrata è simbolo dell’amore oblativo che esclude qualsiasi volontà di possesso, mentre il matrimonio è simbolo della Trinità come unità nella distinzione e simbolo cristologico come segno dell’unione di Cristo con il genere umano. Inoltre la vita consacrata è segno “escatologico” che rinvia alla risurrezione di Cristo, mentre il matrimonio è segno “storico” che riflette il mistero dell’Incarnazione (n. 161).
A partire da questi presupposti, nulla autorizza a concludere circa la superiorità di uno stato di vita sull’altro, anche se nel passato molto spesso si è assistito a una svalutazione del matrimonio, visto come stato spiritualmente manchevole e, dunque, meno perfetto.
Volendo, quindi, declinare al femminile tutte le precedenti considerazioni e ponendo al centro dell’attenzione la maternità, è evidente che questa deve essere assunta nel suo valore di simbolo potente in relazione a una generazione della vita che non è pura procreazione fisica.
Questo vale, ovviamente, per le consacrate, chiarendo perché esse possano essere chiamate “madri” pur non avendo messo al mondo figli e generandoli, tuttavia, nell’accoglierli e nel dedicare loro energie fisiche, psichiche e, soprattutto, spirituali, con quella totale apertura e disponibilità che sono proprie del Regno di Dio.
D’altra parte le donne che sono madri biologiche, a differenza di quanto avviene nelle altre specie, non esauriscono il loro compito quando i figli acquistano l’autonomia fisica, ma si tratta di un compito che dura quanto una stessa vita e questo è particolarmente vero oggi, in un’epoca in cui i giovani hanno più a lungo bisogno di essere supportati dalla famiglia.
Le laiche non sposate, poi, come si accennava, hanno molteplici opportunità per configurarsi come figure chiaramente materne nei confronti di quanti hanno bisogno di essere accolti e accompagnati con amore.
A tutte le considerazioni finora svolte si potrebbe obiettare di idealizzare eccessivamente la maternità, ingenerando sensi di colpa e di inadeguatezza in tutte quelle donne concrete che non riescono a riconoscersi in una simile visione della maternità, dal momento che esiste anche una maternità “ferita” con limiti e chiusure che non possono essere occultati.
Anche a questo proposito è opportuno tornare ad Amoris laetitia che, nel capitolo ottavo con riferimento a un’altra problematica, parla, però, di una indispensabile gradualità che, senza sminuire il valore assoluto della norma e dell’ideale, sappia, tuttavia, accostarsi con misericordia e carità a chi vive situazioni di difficoltà.
In questi termini, la maternità fisica e spirituale, o anche solo spirituale non deve configurarsi come un peso sulle spalle delle donne, laiche o consacrate, ma come una splendida opportunità per far fruttificare il carisma della femminilità in quella molteplicità di modi diversi che lo Spirito sa suggerire a ciascuna.