In Iraq il Servizio gesuita per i rifugiati (JRS) s’impegna presso numerosi sfollati in condizione di grande difficoltà, specialmente psicologica. Recentemente padre Joseph Cassar, presidente del JRS in Iraq, confidava la propria speranza di vedere una popolazione unita.Il Servizio gesuita per i rifugiati (JRS) è presente in 56 Paesi per
accompagnare, servire e difendere la causa dei rifugiati e di altre persone sfollate a forza perché possano guarire, apprendere e determinare il proprio avvenire.
In Iraq, dove gestisce due centri comunitari a Dohuk, una città del Kurdistan, la sfida – dopo anni di guerra e date le migliaia di sfollati nella regione – è imponente.
L’Iraq. Ha conosciuto uno dei più vertiginosi spostamenti di popolazione di questi ultimi anni, con circa quattro milioni di sfollati. Spostamenti dell’entità di migrazioni, essi sono provocati anzitutto dall’intervento americano del 2003, poi dall’occupazione da parte dello Stato Islamico tra il 2014 e il 2108. Mentre prima del 2003 vi si contavano 1,5 milioni di cristiani, essi non sono oggi più di 300mila. Più di un terzo del territorio iracheno è oggi ancora devastato. Le spese di ricostruzione si stimano attorno a diversi miliardi di dollari.
75mila persone accompagnate
In quanto servizio religioso, la missione del JRS non consiste nella ricostruzione delle case ma in quella delle persone, spiega padre Joseph Cassar, direttore del JRS in Iraq, al microfono di Vatican News. Per questo, la missione dei gesuiti si concentra sull’educazione, sull’accompagnamento, sull’intervento puntuale e professionale sul piano della salute mentale ma pure psico-sociale. Ogni anno, i gesuiti accompagnano quasi 75mila persone.
Molti hanno vissuto dei traumi, specie i bambini e i giovani, ma anche gli adulti.
Così spiega il religioso. Non potersi proiettare nel futuro prossimo costituisce una situazione difficile per tutti. Molti non hanno altro progetto che la migrazione: «E questa è una grande sofferenza», deplora ancora il sacerdote.
Restaurare la fiducia
Davanti a tale situazione drammatica, il prete potrebbe sentirsi impotente. Eppure per lui la prima sfida è ricostruire il tessuto sociale e restaurare «la fiducia tra le differenti comunità», distrutte da anni di conflitti. È stata instillata una profondissima sfiducia nei confronti dell’altro, lamenta il missionario.
E così il JRS sceglie di lavorare presso differenti comunità, quale che sia la loro confessione, nella speranza di «raccogliere situazioni che invitano alla riconciliazione». Anche se non è una cosa facile, «bisogna crederci», dice il gesuita. La preghiera è importante: non bisogna pregare soltanto per la pace in Medio Oriente e in Iraq, ritiene il prete, ma anche incoraggiare il governo a trovare delle soluzioni per la pace.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]