Dopo il fallimento della sua startup, il giovane Andrea Visconti ha voluto raccontarlo ai propri bambini per dire loro che: falliscono i progetti, ma non le persone; successo significa "è successo" cioè abbiamo tentato.
Andrea Visconti ha appena 32 anni, vive a Torino ed è marito e papà di Filippo, Riccardo e Diletta. Fin da giovanissimo voleva fare l’imprenditore e l’idea di una startup innovativa lo spronò a lasciare un mestiere sicuro come quello di brand manager. Sinba era una startup di mobile payment che aveva l’obiettivo di ridurre il tempo di attesa alla cassa: permetteva ai clienti di effettuare pagamenti attraverso la app dedicata mentre si era all’interno di un qualunque tipo di attività commerciale. Andrea la fondò insieme ad Alessandro Bava e la partecipazione (con vittoria!) al programma Shark Tank di Italia 1 sembrava confermare il cammino di ascesa. Ma non è stato così. La Sinba Srl ha chiuso i battenti, è fallita. Papà Andrea, allora, ha pensato di scrivere una fiaba per spiegare ai figli ancora piccoli che il fallimento può accadere e non distrugge le persone.
Ho fatto una chiacchierata con lui, dopo aver visto molti suoi contributi video (è stato anche ospite dei TED Talks): mi incuriosiva il suo entusiasmo, la sua ironia. Come si educa all’errore? L’entusiasmo sprovveduto di un giovane come si trasforma diventando padre? In un mondo pieno di tante chiacchiere sul successo, anche gli adulti hanno bisogno di fiabe sulla fragilità e fallibilità di noi tutti? Ecco che, con queste domande in testa, mi sono trovata di fronte a una voce che ringrazio di aver ascoltato.
Grazie Andrea, sono felice di farti qualche domanda per i lettori di Aleteia For Her. Leggendo la tua breve e intensa biografia, di ragazzo operoso e ironico, mi sono appuntata due parole: entusiasmo e rischio. Appartengono alla tua storia? Com’è cambiato il tuo sguardo sull’entusiasmo e sul rischio da quando sei papà?
Sono parole che mi appartengono e che a volte sono in contrasto tra loro: senza entusiasmo non puoi rischiare, ma l’eccesso di entusiasmo fa compiere dei rischi poco oculati. Come papà l’entusiasmo è ancora più importante che come professionista, perché i figli vedono quello che gli testimoniamo noi. Se vedono un papà spaventato dalla vita, dal lavoro, da tutti i problemi, non possono che venir su spaventati a loro volta e magari anche con il dubbio che questa vita non sia poi così interessante da vivere appieno. Le difficoltà nella vita ci sono, soprattutto per me che ho scelto il mestiere di fare l’imprenditore e il padre di tre figli molto vicini per età tra di loro; la fatica è altrettanta, ma se tiriamo su i figli facendo trasparire loro solo questa paura di vivere, poi crescono già frenati. Ecco, coi figli ho capito anche che l’entusiasmo non lo puoi inventare: se sei felice viene fuori, se sei arrabbiato viene fuori, con loro non riesci a fingere.
Prima di diventare mamma, io non avrei mai chiesto a me stessa qualcosa di meno della perfezione, dell’essere sempre brava e a posto. La maternità mi ha insegnato il valore quotidiano dell’imperfezione, tu cosa dici?
È una tentazione fortissima, quella di essere perfetti davanti ai figli. E non solo: anche di far loro vedere che il mondo è perfetto. Cerchiamo di nascondere loro ciò che è brutto, ciò che è dolore, ciò che è fatica. Poi le mamme su questo sono maestre, sono quelle che se potessero soffrirebbero davvero al posto dei figli. Ma togliere il dolore non fa bene ai bambini, perché non li educa all’incontro con la realtà che, se avviene in modo graduale anche negli scontri, è qualcosa che siamo in grado di sostenere. Eppure la tentazione di trattenerli dalle obiezioni è fortissima, anche nelle stupidaggini: al parco quando litigano con altri bambini, o di fronte all’arroganza dei ragazzi più grandi, di fronte alle notizie brutte, agli estranei. Censurare tutto è impossibile, e non è neppure giusto.
Sei stato , in quell’occasione hai presentato te stesso con tre parole, in quest’ordine: marito, padre, imprenditore. Immagino che la successione non sia casuale …
Non era casuale, ma è l’ordine che inconsciamente ho messo nella mia vita come priorità. Io ho sempre voluto fare l’imprenditore: a cavallo tra il liceo e l’università avevo una piccola azienda di eventi e quando ho avuto l’idea della startup Sinba in realtà prima mi sono sposato. Non è stata una scelta pienamente consapevole quella di mettere il matrimonio prima dell’impresa, ma credo che – anche inconsciamente – volessi proprio dare la priorità alla famiglia.