di Pablo Perazzo
Questo fine settimana ho avuto la benedizione di animare un ritiro per signori della Confraternita di Nostra Signora della Riconciliazione sulla preghiera del Padre Nostro. Voglio condividere qualche esperienza spirituale che ho avuto, visto che è stato molto speciale. Ho potuto sentire la dolce azione dello Spirito Santo, come la brezza che ha sentito Elia quando era nella grotta del monte Oreb aspettando la voce di Dio (1 Re 19, 3-15). Inizierò parlando delle frasi di questa preghiera e meditando sull’importanza di ogni parola.
“Padre Nostro”
In primo luogo, il “Padre Nostro” che recitiamo praticamente ogni giorno non va pregato come tante altre preghiere che recitiamo di solito. È l’unica preghiera che Gesù ha insegnato ai suoi apostoli. Con le prime due parole, “Padre Nostro”, Gesù già ci insegna qualcosa di insolito e inimmaginabile per qualsiasi ebreo dell’epoca. Sappiamo che gli ebrei non potevano pronunciare il nome di Dio. Anche Mosè, ad esempio, quando doveva liberare il popolo ebraico dal faraone gli chiese come chiamarlo se qualcuno gli avesse chiesto chi lo inviava. Non si azzardava a dargli un nome (“Io sono colui che sono”, Esodo 3, 14).
Per gli ebrei, inoltre, il nome significava l’identità stessa della persona. Quando Gesù dice quindi “Padre Nostro”, non sta solo dicendo come riferirsi a Dio, ma esplicita il fatto che Egli è nostro Padre, una cosa che nessuno sarebbe mai in grado di immaginare. Dio è il Creatore e ci ha creati a sua immagine e somiglianza (Genesi 1, 26ss), ma in Cristo, per mezzo dello Spirito Santo, sappiamo ora che Dio è davvero nostro Padre. “Se siamo figli, siamo anche eredi; eredi di Dio e coeredi di Cristo, se veramente soffriamo con lui, per essere anche glorificati con lui” (Romani 8, 17).
“Sia santificato il tuo nome”
Come diciamo “Sia santificato il tuo nome”, anche noi siamo santi. Se nostro padre è santo, lo siamo anche noi, ma questo implica uno sforzo quotidiano da parte nostra, una lotta costante per essere sempre più come Gesù Cristo, Figlio del Padre. Come dice San Paolo, “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Galati 2, 20). Per questo, come vediamo in varie citazioni, siamo chiamati ad essere santi come Lui è santo o perfetti come il Padre è perfetto (Levitico 11, 44 / Matteo 5, 48 / 1 Pietro 1, 16).
“Venga il tuo Regno”
Grazie a Gesù, il Regno Eterno di Dio è già in mezzo a noi. È la Chiesa – ovvero tutti noi in comunione con Cristo – a dover proclamare e diffondere il Regno a tutti i popoli. Ce lo ha detto il Signore Gesù prima di salire in Cielo (Matteo 28, 19). Per questo, ciascuno di noi è chiamato all’apostolato, a predicare senza paura la Parola del Signore, la Buona Novella, perché tutti possano conoscere la gioia del Regno eterno di Dio. La cosa più bella di tutto questo è sapere che il Regno inizia nel cuore di ciascuno di noi. Il Regno si estende qui sulla Terra, nella misura in cui ciascuno permette che la vita di Cristo instauri il suo amore in ogni cuore.
Questo Regno è il Regno dell’amore. Il potere che ci ha mostrato Cristo è il servizio. Si tratta quindi di un Regno radicalmente diverso da come intendiamo il potere tra di noi. Per Dio è la carità che diventa concreta attraverso il servizio ai fratelli, in modo privilegiato ai più bisognosi – è il potere di Dio.
“Sia fatta la tua volontà”
Da Cristo stesso, e anche da Maria, impariamo a pronunciare il “Sì” che il Padre desidera che sbocci dal nostro cuore. Un “Sì” che matura attraverso la generosità, il sacrificio e le rinunce che implica il fatto di optare per quel Regno di cui abbiamo parlato.
Il “Fiat” generoso e incondizionato di Maria quando l’arcangelo Gabriele le annuncia e le chiede se vuole essere la Madre del Messia – Salvatore (Luca 1, 26 – 38) è per noi un chiaro esempio di come dobbiamo essere disposti ad assumere qualsiasi cosa per amore del Padre. Maria sapeva che il suo “Fiat” avrebbe implicato una pedagogia del dolore-gioia.
Nel corso di tutta la sua vita si è preparata per quel “Fiat”, nella Passione e morte di Croce. Optare di seguire Gesù implica il fatto di prendere su di sé la propria croce. Lo ha annunciato Simeone dicendo che una spada le avrebbe trafitto l’anima (Luca 2, 35ss). Se vogliamo dare frutti di carità dobbiamo essere disposti a morire come il chicco di grano, che solo quando cade a terra e muore può dare frutto (Giovanni 12, 24-25). Sforziamoci anche di essere la terra fertile che riceve il seme e dà frutto (cfr. Parabola del seminatore, Matteo 13, 1-9).
“Dacci oggi il nostro pane”
Ne abbiamo bisogno ogni giorno. È ovvio per tutti che dobbiamo mangiare per vivere. Anzi, mangiare in modo sano mantiene la nostra salute corporale. Se mangiamo qualcosa che è andato a male o è scaduto possiamo avere conseguenze gravi. Allo stesso modo, abbiamo bisogno di un cibo spirituale.
Qual è quel “pane” che Gesù ci insegna a chiedere? Dobbiamo guardare con gli occhi del cuore, andare al di là di ciò che è evidente, di quello che possiamo toccare o sentire e sforzarci di sintonizzarci con la “frequenza spirituale” del Signore. Questa richiesta fondamentale del Padre Nostro è il cardine della preghiera.
Quel “pane” è il Corpo di Cristo. È il Pane della Vita (Giovanni 6, 22-59), che ci dà forza per camminare, per lottare spiritualmente, per fare la sua volontà, fare apostolato, chiedere e concedere il perdono, vederci liberi dal male. In sintesi, è la carne di Cristo, che ci rafforza per vivere quello che chiediamo. Cosa significa? Che senza la vita di Cristo, se non lo portiamo nel nostro cuore, non abbiamo vita spirituale.
Dobbiamo avere chiaro il fatto che il Padre non ci abbandona mai, è sempre preoccupato e ci viene incontro per rafforzarci, come l’angelo di Dio che va incontro ad Elia che si getta stanco nel deserto (1 Re 19, 7-8). Dopo aver ricevuto quel pane, che è Gesù stesso, ed essersene nutrito, abbiamo la responsabilità di donarlo agli altri.
Quante persone al giorno d’oggi soffrono la fame e muoiono spiritualmente, depresse, tristi, sole e stanche di questa vita? Come vince Elia il suo desiderio di morire, di non voler fare altro, di sentirsi stanco e triste? Non guardando più se stesso ma concentrandosi sulla sua missione e preoccupandosi per gli altri.
“Rimetti a noi i nostri debiti”
Come ciascuno di noi deve perdonare chi lo ha offeso. Non voglio dilungarmi su questa storia del perdono, ma mi sembra fondamentale dire che se non siamo capaci di perdonare è molto difficile amare. La mancanza di perdono riempie il cuore di amarezza, ira e rancore. Se non perdoniamo non ci liberiamo dal male che possono averci fatto.
Spesso l’aggressore non è consapevole di quello che ha fatto, ma quelli che ne subiscono le conseguenze siamo noi. Per questo bisogna perdonare, per non caricarsi di quell’animosità, anche se ci vengono inflitte ferite difficili da perdonare. Per questo solo la grazia di Cristo, lo Spirito Santo stesso, può darci la forza di perdonare.
La giustizia deve applicarsi in base ai fatti commessi, ma dobbiamo essere sempre disposti a perdonare la persona, vivendo la misericordia che Cristo ci ha mostrato sulla Croce quando è morto per tutti, indipendentemente dai danni che gli abbiamo procurato e continuiamo a procurargli. Non dimentichiamo mai che Cristo ci invita a non guardare la pagliuzza nell’occhio altrui, ma la trave nel nostro (Matteo 7, 1-6).
“Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male”
Queste due ultime richieste fanno riferimento al mistero del male nella nostra vita. Questo problema nella vita dell’uomo è forse una delle cause principali per le quali molti non si aprono all’amore del padre e molti cristiani finiscono per rinnegare la fede. Perché il Padre, che ci ha creati, permette certe sofferenze nella vita? Se Dio è buono, perché esistono il male, la fame, la guerra e la povertà?
Non voglio né pretendo di esaurire la riflessione sul male, perché è un mistero insondabile. In primo luogo mi sembra molto importante tener conto del fatto che la fede ci permette di comprendere un po’ meglio questo mistero in relazione a quelle persone che magari sono lontane, perché in Cristo possiamo dare loro una risposta e senso al dolore. Senza quella vita di Cristo, il male non ha alcun senso.
Possiamo parlare di due tipi di male: quello che è frutto della concupiscenza (Ebrei 2, 14), che ci induce a idolatrare il piacere, l’avere e il potere mettendoli al posto che dev’essere occupato da nostro Padre, e dall’altro lato alcuni fatti della vita che solo Dio sa perché accadono, come una malattia, delle discussioni, divisioni, ingiustizie…, che richiedono da parte nostra, anche se sembra che Dio ci abbia abbandonati (Matteo 27, 46), umiltà e fiducia in Lui.
Questi “mali” sono l’occasione per essere educati e forgiati come l’oro nel crogiuolo. È come un padre che educa i suoi figli essendo esigente e chiedendo a volte sofferenza, perché significa rinunciare ai nostri capricci e gusti personali, morire a questa vita corrotta dal peccato (Efesini 4, 22) e aprirci alla vita nuova di Cristo. È una “prova” che Dio permette perché maturiamo e cresciamo nel nostro amore nei suoi confronti. Ovviamente non è facile da comprendere. Da quale male chiediamo che il Signore ci liberi? Dal nemico, dal demonio. Il bugiardo, che vaga “come un leone ruggente cercando chi possa divorare” (1 Pietro 5, 8-9).
Impariamo dal Signore Gesù, Figlio unigenito del Padre, a pregare con la preghiera che ci ha insegnato. Impariamo da Cristo come relazionarci a nostro Padre. Spero che d’ora in poi quando reciteremo il Padre Nostro non siano parole ripetute a memoria, ma un anelito profondo dei nostri cuori che manifesta il nostro desiderio di amare ogni giorno di più nostro Padre, perché in questo modo assomigliamo sempre più a nostro Signore Gesù, che è la Via, la Verità e la Vita (Giovanni 14, 6), l’unico che può aiutarci a realizzarci pienamente e a vivere quotidianamente la vera felicità.
Qui l’articolo originale pubblicato su Catholic Link.