Oltre al patrimonio fatto di reperti, archivi, chiese e statue c’è un pezzo di cultura italiana fatta di gesti, canti e tradizioni. Non si può valorizzare i primi senza i secondi.Ad un mese dalla chiusura della settimana fortemente voluta dalla Conferenza Episcopale italiana per la valorizzazione del patrimonio museale, archivistico e bibliotecario Aleteia ha chiesto al direttore dell’Ufficio nazionale per i beni ecclesiastici, don Valerio Pennasso di tirare un breve bilancio di questa esperienza
Don Valerio, com’è andato questo “Aperti al MAB”?
«Direi che con 328 iniziative che sono state messe in campo dalle diocesi e geolocalizzate sul portale Beweb di cui 108 musei 125 archivi e 95 biblioteche, è andata benissimo. Tutte le iniziative di apertura al grande pubblico, con una rappresentazione di luoghi e persone inedita per l’Italia, ci ha dato una grandissima mole di dati che prima non avremmo avuto e che ci permette di capire anche cosa le diocesi hanno deciso di valorizzare. Un successo sia di organizzazione che tecnica, in cui il nostro portale Beweb ha funzionato benissimo sia per gli utenti che per gli organizzatori.
Il grande successo di pubblico e l’entusiasmo da parte degli operatori, di tante associazioni che hanno fatto sentire la loro presenza e dalla loro voglia di esserci, comprese anche le istituzioni laiche, dai comuni ai direttori dei musei ai sopraintendenti, ci ha davvero emozionato. E’ stata una risposta importante perché corrispondente di una richiesta reale».
Dunque si ripeterà?
«Quasi certamente! Adesso il prossimo passo che speriamo di poter fare è quello di coinvolgere direttamente anche le chiese e i monasteri per ricomprendere così tutti i beni culturali ecclesiali in una unica iniziativa. Ma un riscontro così importante avviene proprio perché questi soggetti, che normalmente non collaborano insieme, si sono ritrovati a dover fare fronte comune. Alcune diocesi hanno addirittura dato vita a fondazioni per far sì che tutto l’anno tutte e tre le compagini (musei, archivi e biblioteche) lavorino insieme. E questo è un cambio di mentalità di cui siamo felicissimi. In tanti ci hanno detto che sono stati sorpresi del successo di pubblico. Gli italiani vanno accompagnati ma sono curiosi e vogliono conoscere le proprie tradizioni è importante saperle valorizzare, e intercettare questa domanda, ma proporla in modo nuovo».
Il prossimo passo è il convegno che state preparando a L’Aquila. Ce ne può parlare?
«Sì, il 19-20 settembre a L’Aquila continueremo la seconda delle tre tappe della Giornata Nazionale della valorizzazione dei Beni culturali . La prima è stata Viareggio 17-18 giugno nel quartiere del Varignano. Quello che stiamo facendo, è un percorso che costruisca un approccio nuovo ai beni ecclesiastici. Finora il tema era – per esempio – quale chiesa costruire, adesso vogliamo andare oltre, vogliamo partire dall’interesse per la comunità che ha bisogno di quell’edificio di culto. Mi spiego meglio: tutto deve interagire con le necessità e i bisogni delle comunità, ai momenti di aggregazione, di valorizzazione di un vissuto. Nello specifico della giornate aquilane c’è la sicurezza dei luoghi di culto, e nel capoluogo abruzzese c’è una lunga tradizione, di chi conosce il proprio patrimonio, sa dov’è e sa come proteggerlo e valorizzarlo insieme. La domanda che ci poniamo è come dare sicurezza ai luoghi di culto e alle comunità durante il momento di culto e insieme la conservazione dei beni. In questo cammino ci affianca tra l’altro il Politecnico di Torino. La terza tappa sarà Matera, che quest’anno è anche capitale europea della cultura per il 2019».
Una scelta obbligata. Ma a Matera farete qualcosa in più, ci sarà un focus sui beni immateriali, è così?
«Assolutamente. A Matera (8-9-10 dicembre) parleremo del patrimonio immateriale, i luoghi, i tempi, i riti, delle persone, per riscoprire e valorizzare una storia che è fatta anche di segni ,di canti, di devozione, affinché quello che proponiamo come patrimonio culturale non sia solo filologicamente vero, ma autentico, cioè legato alle intenzioni reali delle persone che nei secoli a volte, hanno popolato chiese, monasteri e santuari. Nei prossimi giorni faremo partire una “call” dal titolo: “Cultura capitale. Raccontare la vita delle comunità attraverso il patrimonio”, rivolta a università, diocesi, associazioni per un progetto che abbia come centro il tema di come facciamo a garantire e a conservare il patrimonio di culturale comprendente anche le devozioni, la religiosità popolare, l’identità religiosa delle comunità. Un discorso iniziato con l’avvio di “Aperti al Mab” ma che va implementato totalmente. Si può dire che Matera non è la fine di un percorso, ma l’inizio».
Ma per valorizzare i beni immateriali, i canti, le storie, le devozioni, i pellegrinaggi, l’ausilio delle strutture del Ministero dei Beni Culturali italiano è fondamentale. A Matera ci saranno infatti due strutture fondamentali per questa missione: l’Istituto centrale per i beni sonori ed audiovisivi e l’Istituto Centrale Catalogo Documentazione rappresentati dai rispettivi direttori, anch’essi raggiunti da Aleteia per un breve commento e perché condividessero con i lettori quali sforzi stanno facendo per valorizzare la cultura – nel senso più ampio possibile – italiana.
Dott.ssa Sabina Magrini, direttrice ICBSA, di cosa si occupa la struttura che lei dirige?
«Il nostro Istituto viene fondato nel 1928 come “Discoteca di Stato”, ha una storia quasi centenaria e costituisce la più grande raccolta pubblica di materiale audiovisivo in Italia. Nasce con l’intento di costruire le fonti della storia nazionale attraverso la raccolta delle registrazioni delle voci dei “Grandi” della Nazione (militari, politici in primis) in un’ottica celebrativa; poi nel tempo l’interesse dell’Istituto si allarga e si apre anche alle voci degli scienziati, dei letterati e dei poeti e infine anche alle voci della cultura musicale popolare secondo l’impulso dato dal suo primo direttore, Gavino Gabriel. Nel 1962 viene istituito a tale scopo l’Archivio Etno linguistico Musicale (per gli addetti AELM) che continua ad arricchirsi di diverse raccolte, da ultimo alcuni materiali appartenenti a Pietro Sassu, un etnomusicologo che già negli anni passati aveva molto collaborato con l’Istituto. L’AELM permette di ricostruire la cultura di un’Italia nascosta, forse dimenticata da molti, quella tra gli anni ’50 e ’80. Si tratta di una fonte di scoperte inesauribile, sui fronti più diversi. Sulle tematiche liturgiche abbiamo – ad esempio – l’eccellente materiale raccolto da Leo Levi negli anni ’60 con registrazioni e schede riguardanti la liturgia sia della comunità ebraica romana sia una serie – sempre inedita – sui riti cristiani a Roma in quegli anni con esempi di liturgia etiopica, armena, bizantina o della liturgia assira di San Giacomo e altre preziosissime e di prossima digitalizzazione».
Un campo di interesse utile anche per la CEI. Ecco come pensate di poter collaborare con la Chiesa da questo punto di vista e come vi state preparando per Matera?
Per quanto riguarda Matera stiamo collaborando proprio in questi giorni a un volume sulle fiabe lucane raccolte da Aurora Milillo, curate dal suo allievo Marcello Arduini e promosso dalle Università della Basilicata e Università della Tuscia. Fu un lavoro importantissimo quello della Milillo, grande studiosa materana, che abbiamo voluto valorizzare proprio in occasione del riconoscimento di Matera, quale capitale della cultura europea
Prima di venire a Roma alla guida dell’ICBSA, ho lavorato in Emilia Romagna come Segretario Regionale del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. Lavoravamo molto sui beni culturali colpiti dal sisma del maggio 2012 e così ho conosciuto Don Valerio: in quella veste il mio ufficio aveva promosso il portale Tourer.it per far conoscere e valorizzare i beni culturali (architettonici, archeologici, paesaggistici) della regione. Quando poi sono passata all’ICBSA ho voluto integrare nel portale del Tourer anche i suoni, i canti , i ritmi le filastrocche di quelle terre conservati nell’AELM, per dare a quelle terre una voce per così dire. Volevo far rivivere quei luoghi nella loro piena e autentica identità e sia i colleghi dell’ICBSA che del Segretariato hanno sposato la mia idea. E così è nato un itinerario sonoro dell’Emilia Romagna. Le faccio un esempio: sulla mappa georeferenziata del portale del Tourer.it, per il Monte Ventasso, c’è la scheda relativa al bene architettonico “Oratorio di Santa Maria Maddalena”, ma grazie alla collaborazione tra il Segretariato e ICBSA adesso è possibile anche aprire il link a un file sonoro ed ascoltare il canto del pellegrinaggio “Canzone di Maria Maddalena”, addirittura in due versioni diverse, perché nella tradizione orale spesso ognuno ha una sua versione dei canti, con piccole e grandi variazioni che se non vengono salvate dalla registrazione rischiano di perdersi. Progetti come questi sarebbero un buon modo di far collaborare noi e la CEI, e di valorizzare i beni materiali tramite la fruizione delle testimonianze ancora vive di quei beni immateriali che sono le nostre tradizioni popolari. Questo è solo un esempio, le possibilità sono molteplici»
Arch. Carlo Birrozzi, direttore ICCD, in che modo interagisce il tessuto urbanistico con la vita religiosa?
«Studiare il Patrimonio culturale ecclesiastico e religioso insieme allo sviluppo delle città e della sua controparte laica è fondamentale. Molto importante è il filone proprio delle “ricadute laiche” delle tradizioni religiose e dei momenti della pietà popolare, come le processioni, che hanno avuto sull’impatto urbanistico delle città. Un esempio può essere la costruzione dei palazzi signorili che sono sorti lungo le vie cittadine che erano teatro delle processioni principali, vedere come queste due realtà si intrecciano è importante. Le interazioni tra laico e religioso in Italia sono innumerevoli».
Come lavorate?
«Abbiamo iniziati con i beni mobili e immobili e ora proseguiamo con il patrimonio culturale immateriale: accanto a questo lavoro di catalogazione di immagini, foto e descrizione, cerchiamo la collaborazione con l’Istituto Centrale per la Demoetnoantropologia, per ricostruire come la modernità abbia intaccato le tradizioni popolari e il confronto – per fare un esempio – con una processione 50 anni fa (magari restituita a noi dalle foto d’epoca) con l’attuale ci racconta un pezzo di queste trasformazioni»