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Il saggio di musica dei “miei” ragazzi in una casa di riposo per anziani poveri

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Chiara Bertoglio - pubblicato il 10/07/19
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Una casa, gestita da suore, che accoglie solo coloro che hanno la pensione minima e non potrebbero andare altrove. Si sono toccate le generazioni, le età più lontane; i bambini che si impegnavano a suonare, gli anziani che ne godevano come di loro nipoti o bisnipoti.In questi giorni, come nella vita in genere, si intrecciano in un contrappunto strano e complesso notizie belle, bellissime, brutte, bruttissime.
Sono tornata da poco dal saggio dei “miei” ragazzi. Li chiamo “miei” perché tra insegnante ed allievo di musica si instaura spesso una relazione profonda, ricca, in cui la musica si fa portatrice di valori profondi, e lo scambio è intenso, costante e bidirezionale.

Sono ragazzi diversissimi tra loro, per età, livello musicale, carattere; ma a tutti sono grata per i loro sorrisi, il loro impegno, il loro mettercela tutta e cercare di dare il meglio di sé.
Hanno suonato benissimo, e sono stata profondamente fiera di ciascuno di loro. Ognuno, poi, ha la sua storia: storie liete e storie tristi, storie difficili e storie bellissime. In tutti, la musica è un momento importante della crescita e dell’educazione. Vedere i loro sorrisi radiosi dopo che hanno concluso i pezzi (tutti brani difficili in proporzione al loro livello) è la gioia di aver aiutato dei ragazzi a dare ciò che hanno dentro, ciò che sono e ciò che hanno ricevuto da Dio, dalla vita e dalle loro famiglie.

PIANO

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Hanno suonato non in un teatro, non in un auditorium, bensì nel teatrino di una casa di riposo per anziani poveri – una casa, gestita da suore, che accoglie solo coloro che hanno la pensione minima e non potrebbero andare altrove.
Si sono toccate le generazioni, le età più lontane; i bambini che si impegnavano a suonare, gli anziani che ne godevano come di loro nipoti o bisnipoti.
Hanno partecipato anche tanti “non-pianisti”, perché credo intensamente nel valore educativo, artistico, formativo e musicale del suonare insieme, a tutti i livelli; del conoscere strumenti e modi di suonare diversi; del vedere l’altro musicista non come un concorrente o un rivale (cosa che troppo spesso viene incoraggiata nei concorsi di musica) bensì come un amico, un compagno, qualcuno con cui condividere la bellezza che ci è donata.


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E insieme hanno suonato e cantato, alla fine, una piccola trascrizione dall’Inno alla gioia di Beethoven: tutti quanti, dai più avanzati ai principianti, dai più piccoli ai più grandi, a testimoniare la gioia che viene dal far musica, dallo stare bene insieme, dal rispettarsi e dal volersi bene.
E pensavo anche al “concerto” che ho avuto la gioia di donare, qualche giorno fa, in un reparto molto difficile di un ospedale del nord Italia; su una tastiera di quart’ordine ho cercato di suonare il mio amato Bach, circondata dagli “alberi” delle flebo, dai volti affaticati e talora grigi o giallastri dei pazienti, dai loro sorrisi e dalle loro lacrime, dalle loro richieste buffe ed inattese e dai loro sguardi profondi e veri.

Pensavo ad un altro artista, un poeta mio coetaneo, che qualche giorno fa si è tolto la vita; a come per lui la sensibilità dell’artista è stata forse una condanna, un vicolo cieco che l’ha crocifisso al dolore ed al male che ci circonda senza aiutarlo a vedere la bellezza, il bene e la felicità.
Mentre suonavo al suo funerale, ho visto il dolore più grande di sempre, quello della sua mamma. Un dolore disumano, oltre ogni descrizione; un dolore che ti lascia abbacinato come guardare il sole, perché lo strazio del parto è fissato nell’eternità quando la morte ti ruba un figlio. Eppure anche per lei deve esserci consolazione, deve esserci una carezza che possa in qualche modo farla ancora sentire amata.

Pensavo ad una ragazza che lottava con l’anoressia, e che – l’ho saputo ieri – non ce l’ha fatta. Chissà anche lì quante speranze, quanta voglia di vincere contro un mostro che ti ruba la vita, i sogni, le energie e la libertà. Forse anche per lei l’acutezza del vivere è stata solo fonte di dolore, e non le si è svelato in pienezza il volto della speranza e della bellezza.
In negativo, in positivo. Sono immagini fresche di Polaroid, in cui una piccola cosa bella come un saggio di musica sembra arrancare se deve fare da contrappeso a due tragedie immani come queste. Eppure, il Papa raccomandava ieri ai giovani di essere costruttori di ponti. E io, vedendo questi bambini ed adolescenti serissimi nel loro far musica, e radiosi nell’aver creato e donato bellezza, non posso non sperare.


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Perché è anche in piccole cose come queste, piccole cose come il granello di senapa di cui parlava il Vangelo di oggi, che nasce un mondo più bello; ed è anche nei sorrisi di questi bambini e degli anziani che li ascoltavano che si può credere e sperare nella bontà, nella verità e nell’amicizia.

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO DA CHIARA BRTOGLIO