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Se il latino non era la lingua di Gesù, perché è la lingua ufficiale della Chiesa?

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Padre Henry Vargas Holguín - pubblicato il 09/07/19
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Sorprendentemente, la sua condizione di lingua “morta”, nel senso di non essere soggetta a evoluzione, le conferisce un valore particolareL’universalità della Chiesa non è meramente geografica, legata alla sua espansione in ogni angolo del mondo. La sua universalità deriva dalla vocazione divina all’accoglienza di tutti gli uomini, perché la chiamata di Dio non esclude nessuno.

Perché il messaggio della Chiesa fosse universale a livello storico, Dio si è avvalso degli elementi storici che contestualizzavano la nascita della Chiesa e ne avrebbero permesso l’universalità. In questo senso, molto rilevanti sono stati la lingua e la struttura dell’Impero Romano, la realtà umana più universale dell’epoca. La lingua di quell’Impero era il latino, che da Roma si è esteso ai territori conquistati, che includevano anche la Palestina dell’epoca di Gesù.

La lingua di Gesù

Gesù parlava l’aramaico, la lingua del suo popolo, ma è probabile che conoscesse anche altre lingue importanti dell’epoca, come il greco e il latino. È quello che ci suggerisce, ad esempio, la conversazione tra Gesù e il centurione romano, menzionata da Matteo e Luca. Appaiono come testimoni di quella conversazione solo i discepoli e altre persone di livello culturale simile al loro; non ci sarà stato un interprete.

È possibile che almeno parte della conversazione sia avvenuta in latino, ed è probabile che Gesù abbia usato questa lingua per parlare anche con Ponzio Pilato. Ma non poteva essere il contrario, ovvero che il centurione e Pilato parlassero aramaico? È senz’altro possibile, anche se è molto più comune che ai territori conquistati venga imposta la lingua dell’impero piuttosto che i conquistatori parlino quella dei conquistati.

Il dispotico procuratore romano Pilato, alto funzionario di transizione del governo d’occupazione, aveva la missione di consolidare l’Impero in quel territorio, il che avrà incluso la diffusione dell’uso della lingua imperiale, oltre che della cultura romana, delle sue leggi e dei suoi costumi.

Ad ogni modo, se alcuni del popolo parlavano latino, perché Gesù non avrebbe dovuto farlo?

Impero Romano

Non sembra spropositato che la Divina Provvidenza abbia disposto che Gesù nascesse in un territorio dominato da un impero che sarebbe diventato strumento della rapida espansione del cristianesimo, soprattutto dal IV secolo, quando dopo le molte e brutali persecuzioni dei primi tempi il cristianesimo ha finalmente vinto le durissime resistenze ed è stato dichiarato religione ufficiale di Roma.

Dopo la Pentecoste, gli apostoli di Gesù sono partiti per “conquistare” il mondo. E che mondo hanno trovato? Un impero compatto e organizzato grazie, tra gli altri fattori, alla lingua franca latina, usata insieme alla lingua colta dell’epoca, il greco.

È stato in questo contesto storico e congiunturale che il cristianesimo si è istituito, ed è stato da questo che la Chiesa ha adottato la sua “forma terrena”: organizzazione, struttura, diritto… e la lingua.

Roma

Roma, all’epoca la capitale del pianeta, è stata fecondata dal sangue di innumerevoli martiri cristiani, inclusi San Pietro e San Paolo, colonne della Chiesa, che sono morti lì per testimoniare il Risorto. È stato spontaneo che Roma diventasse anche a livello terreno la “capitale” della Chiesa che si formava.

Unione e permanenza

La Bibbia, i documenti ecclesiali e patristici e quelli dei concili sono stati scritti o tradotti in latino per arrivare ai confini geografici del mondo conosciuto.

Abbracciando tutte le nazioni ed essendo destinata per vocazione divina a rimanere fino alla fine dei secoli, la Chiesa, per sua natura, ha richiesto una lingua universale, che le permettesse la comunicazione ufficiale non solo tra i membri di un determinato contesto storico, ma che legasse anche i cristiani di tutte le epoche.

E il latino è provvidenzialmente la lingua appropriata: si tratta di una lingua molto precisa e adatta all’approfondimento delle verità teologiche e al non snaturare il senso dei testi. La sua condizione di lingua “morta”, nel senso che non è soggetta a evoluzione, le conferisce un valore particolare per gli usi teologici e liturgici, visto che è necessario che il significato delle parole si mantenga stabile, conservando il senso preciso per i lettori di ogni epoca.