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Vivere illuminati dalla luce della coscienza. L’esempio di San Tommaso Moro il “socrate cristiano”.

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San Tommaso Moro, avvocato L'avvocato e statista inglese protestò perché il suo “capo” Enrico VIII aveva autoproclamato l'annullamento del proprio matrimonio con Caterina d'Aragona, e per questo motivo perse la testa (letteralmente).

Miguel Cuartero Samperi - pubblicato il 08/07/19

Parlare di coscienza oggi, in un tempo in cui la nostra società sembra soggiogata dalla tirannia dei “diritti individuali” e del principio di “auto-determinazione” è quanto mai urgente e vitale per la sopravvivenza spirituale della società occidentale.

Tommaso Moro, santo e martire inglese nato nel 1478 e morto il 6 luglio del 1517, è universalmente ricordato per due motivi: per essere l’autore di Utopia – celebre romanzo di filosofia politica diventato un best seller della letteratura occidentale – e per la vicenda della sua morte sul patibolo per mano del re Enrico VIII. Ma Tommaso Moro meriterebbe di essere conosciuto e ricordato per molti altri motivi; non a caso è stato definito dall’amico Erasmo un «uomo per tutte le stagioni». Non a caso Chesterton lo considerò «il più grande degli inglesi che hanno agito nella storia» (G.K. Chesterton, The Fame of blessed Thomas More, 1930); lo stesso Chesterton che si riferì a lui come «un diamante che un tiranno gettò nel fossato, perché non riusciva a spezzare» (G.K. Chesterton, Perché sono cattolico, cit., p. 114).

Approfondire la conoscenza della vita e delle opere di questo santo inglese aiuterebbe a capire meglio perché questo uomo ha affascinato generazioni di cristiani, di filosofi, di politici (Francesco Cossiga ne fu un grandissimo estimatore), di uomini di buona volontà e… di Papi. Moro fu canonizzato da Pio XI nel 1935; Giovanni Paolo II, nell’anno giubilare del 2000, lo dichiarò ufficialmente “Patrono dei politici e dei governanti” sottolineando come dalla sua vita scaturisca «un messaggio che attraversa i secoli e parla agli uomini di tutti i tempi della dignità inalienabile della coscienza». Benedetto XVI lo definì «testimone britannico della coscienza» al pari del cardinale J. H. Newman e, nel suo viaggio in Gran Bretagna del 2010, parlando alle autorità civili della nazione ricordò quel «grande studioso e statista inglese, ammirato da credenti e non credenti per l’integrità con cui fu capace di seguire la propria coscienza, anche a costo di dispiacere al sovrano, di cui era “buon servitore”, poiché aveva scelto di servire Dio per primo». Papa Francesco ha ricordato più volte Tommaso Moro, sottolineando in modo specifico l’aspetto della gioia e dell’umorismo che hanno caratterizzato il santo inglese tanto da farlo identificare come “il santo del buon umore”. Nell’Esortazione Apostolica Gaudete et Exsultate, Francesco afferma che «la gioia cristiana è accompagnata dal senso dell’umorismo, così evidente, ad esempio, in san Tommaso Moro…» (GE 126).

Ma chi fu realmente Tommaso Moro e per quale motivo vale la pena oggi ricordarlo e celebrare la sua figura, così attuale e così necessaria nel nostro secolo pieno di contraddizioni e di incertezze? Impossibile dirlo in poche parole. Tommaso Moro fu un fedele cristiano, un figlio riconoscente, un marito amoroso, un padre premuroso, uno studioso assetato di verità, un giudice attento ai più poveri e bisognosi di giustizia, un fine polemista, un filosofo pienamente rinascimentale, un appassionato cultore delle lettere classiche, un teologo aperto alle novità ma estremamente fedele alla tradizione, un apologeta e difensore della retta dottrina, un educatore appassionato e all’avanguardia, un suddito onesto, un cittadino esemplare… un attento ascoltatore ed esecutore dei dettami della sua coscienza. Tutto questo e molto altro fu Tommaso Moro a cui vien spesso fatto il torto di ridurre la sua feconda esperienza alla pubblicazione di Utopia e alla sua decapitazione sul patibolo.

Nel recente libro Tommaso Moro. La luce della coscienza (Studium 2019), si affronta la vita di Moro seguendo il filo rosso del primato della coscienza. Ne esce fuori una sorta di biografia intellettuale del martire inglese che tiene conto di ogni aspetto della sua vita, a partire dagli anni della sua formazione fino alla morte e all’eredità intellettuale, non sempre adeguatamente riconosciuta e troppo spesso strumentalizzata de chi ne ha fatto un paladino dei diritti individuali, un rivoluzionario anti-sistema e un antesignano del comunismo (basti pensare che nel 1918 Lenin fece incidere il suo nome su un obelisco nei pressi del Cremlino – nei “Giardini di Alessandro” – assieme ai nomi di altri diciotto pensatori illustri considerati precursori ideali del comunismo sovietico).

Lo scopo del libro – come si afferma nell’introduzione – «è quello di ripercorrere le tappe della vita di Moro seguendo questo “filo rosso” della centralità della coscienza. In tutte le scelte che dovette affrontare – non solo nel momento del suo processo in cui la questione affiorò in modo particolarmente significativo – l’umanista inglese diede ascolto alla propria coscienza, quel luogo in cui si rivela la voce di Dio che guida l’uomo a scegliere il bene e a rifiutare il male». Particolare attenzione viene rivolta a un periodo della vita di Moro poco conosciuto e poco affrontato dai biografi, quei tre anni passati all’interno della Certosa di Londra, anni dedicati allo studio e alla preghiera. Un soggiorno come ospite o un tempo di prova per vagliare la vocazione prima di intraprendere la strada del matrimonio? Si evidenzia anche qui il ruolo fondamentale giocato dalla coscienza: nel discernimento vocazionale, nella scelta dello stato di vita, nella decisione presa secondo la volontà di Dio per la propria vita e non secondo le proprie inclinazioni, sogni o progetti per il futuro.

Inevitabile è il richiamo ad una necessaria formazione della coscienza, formazione alla quale Tommaso Moro dedicò tutta la vita. Nel testo si ripercorrono le tappe fondamentali della formazione di Tommaso Moro, «una formazione intellettuale e spirituale che, sotto la guida delle leggi e della profonda fede che lo caratterizzò, lo preparò ad affrontare le scelte della vita e ad offrire la propria esistenza in favore della verità» (p. 21).

Ma se spesso lo stagista inglese viene ricordato esclusivamente come un santo (a causa del suo martirio) o come fine letterato (a causa di Utopia), nel libro si cerca di sottolineare che Tommaso Moro fu anzitutto un filosofo. È per questo che i primi due capitoli vengono dedicati a un tentativo di confronto tra Moro e Socrate, considerato il padre della filosofia occidentale. Un esercizio lecito se si considera che subito dopo la morte di Tommaso Moro furono in molti a leggere nella sua vicenda un chiaro legame con la storia del filosofo greco tanto da considerare Moro un «nuovo Socrate» o un «Socrate cristiano». L’accostamento appare per la prima volta in una lettera che l’umanista Goclenio scrisse a Erasmo il 10 agosto del 1535, un mese dopo la morte di Moro, probabilmente quando la sua testa era ancora esposta al pubblico sul Ponte di Londra (p. 30). A due anni dalla sua condanna a morte, il biografo Nicholas Harpsfield (1519-1575), nel suo Vita e Morte di Tommaso Moro, si riferì chiaramente al filosofo inglese come «il nostro nuovo Socrate cristiano».

Sarà sorprendente scoprire passo dopo passo, come la vita del filosofo ateniese e dell’umanista inglese possono essere messe in parallelo, per far emergere numerosi punti di contatto. Era necessario che questa spontanea identificazione tra Moro e Socrate, venisse adeguatamente approfondita e sviluppata per far giustizia alla figura e al pensiero di un filosofo che – sebbene escluso dai manuale di filosofia – offrirà un contributo decisivo sul ruolo della coscienza di fronte al potere e ai rapporti tra legge, fede personale e coscienza morale.

«Fa parte di questa riscoperta di Tommaso Moro, una seria rivalutazione dell’uomo-filosofo nel senso più pieno della parola: filosofo della coscienza, amante della sapienza, cercatore della verità, difensore della giustizia, educatore dei giovani, un filosofo pienamente rinascimentale, ancorato alla tradizione, ma allo stesso tempo un grande innovatore, un teologo cattolico di grande spessore, un servitore del Re ma, prima di tutto, di Dio» (p. 40). Tommaso Moro fu un filosofo completo che nulla ha da invidiare ai filosofi di professione vissuti nella sua generazione. Le sue opere spaziano tra diverse tematiche: letteratura, poesia, morale, politica, filologia, filosofia, teologia e spiritualità. Tutto ciò che non scrisse sui libri, lo mise in pratica con l’esempio della sua vita. Fu il filosofo della coscienza, perché fu nel nome della coscienza che rifiutò di salvarsi firmando i decreti imposti dal Parlamento (l’Atto di Successione e l’Atto di Supremazia) ma soprattutto perché ogni passo importante della sua vita venne illuminato dalla luce della coscienza: «Il primato della coscienza non fu solo la fiamma che illuminò la sua accettazione del martirio, ma la luce che illuminò il cammino tutto della sua vita. È un filo rosso che attraversa e sostiene tutta la sua esistenza, anche se lo infiamma nel momento della prova e illumina la triste vicenda dell’affermarsi della tirannide e della sua resistenza ad essa» (F. Cossiga, Prefazione, in: Aa. Vv., Sir Thomas More santo e martire patrono dei governanti e dei politici, Colombo, Roma 2001).

Parlare di coscienza oggi, in un tempo in cui la nostra società sembra soggiogata dalla tirannia dei “diritti individuali” e del principio di “auto-determinazione” è quanto mai urgente e vitale per la sopravvivenza spirituale della società occidentale. Significa parlare di libertà da esercitare ma anche e soprattutto di verità alla quale aderire, di vocazione da seguire e di progetto da realizzare. Ma questi concetti vengono spesso travisati e confusi, “liquefatti”, resi malleabili e deformati a seconda delle proprie esigenza e delle opportunità (o situazioni). È dunque assai necessario precisare cosa intendiamo per coscienza e cosa rappresenti la coscienza per Tommaso Moro: non il variabile termometro delle opinioni soggettive, dei gusti e dei desideri personali, ma il luogo di incontro tra Dio e l’uomo, o – come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica riprendendo la Costituzione Gaudium et Spes del Convilio Vaticano II – «il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria» (CCC 1776; GS 16). La luce della coscienza è quella scintilla capace di illuminare la strada e guidare i passi di ogni uomo sul sentiero della verità e della piena felicità, meta che rappresenta il progetto ultimo di Dio per ognuno di noi.

Il libro Tommaso Moro. La luce della coscienza è stato pubblicato nella sezione Biblioteca Moreana delle edizioni Studium, sotto il patrocinio del “Centro Internazionale Thomas More” che ora ha lanciato l’ambizioso progetto di pubblicazione dell’Opera Omnia di Tommaso Moro in lingua italiana. Il progetto – un lavoro complesso ma prezioso per il futuro degli studi moreani in Italia – sarà a cura del prof. Carlo Maria Bajetta (Università della Valle d’Aosta) e coordinato dal prof. Giuseppe Gangale, direttore della rivista «Morìa» e autore di diversi saggi sulla vita e l’opera del grande statista inglese.

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