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Sorriso: un niente capace di cambiare tutto

LE PETIT PRINCE

Antoine de Saint-Exupéry

L'Osservatore Romano - pubblicato il 05/07/19

Fede e umorismo

di Enzo Romeo

L’essenziale, spesso, è immateriale, senza peso. Come un sorriso. Si può essere pagati, ricompensati, animati da un sorriso. Un sorriso può liberarci dall’angoscia e ridarci la speranza e la pace. Le cure concesse ai malati, l’accoglienza offerta ai proscritti, il perdono stesso non valgono che grazie al sorriso che rischiara i cuori. Ci si lega attraverso il sorriso al di sopra delle lingue, delle caste, dei partiti. Come i fedeli di una stessa chiesa.

Così la pensava Antoine de Saint-Exupéry, l’autore del Piccolo Principe. C’è qualcosa, in questo assunto, dell’inno alla carità di san Paolo. Senza l’amore nulla ha valore, saremmo come campane vuote e cembali stonati (I Corinzi 13, 1).

In Lettera a un ostaggio Saint-Exupéry raccontò di quando, inviato di guerra in Spagna (dove si recò a varie riprese tra il 1936 e il 1938), fu catturato dagli anarchici e rischiò di essere fucilato sul momento. Fu portato davanti a una sorta di tribunale, in un clima di grande tensione. Poi, nel chiedere a gesti a una delle guardie una sigaretta, gli salì alle labbra un sorriso. E avvenne il miracolo, «un miracolo molto discreto»: anche il giovane miliziano sorrise e fu «come il levare del giorno». Tutti i presenti, contagiati, si aprirono al sorriso, «ridivennero uomini e io entrai nei loro sorrisi come in un paese nuovo e libero». Ogni cosa si trasformò, senza un apparente cambiamento, ma nella sostanza.

Quel sorriso cancellava il dramma, rendeva la libertà, eliminava l’ombra e ridava luce come l’apparizione del sole al mattino. Gli uomini appoggiati al muro con la carabina tra le gambe, il colore degli oggetti, i documenti sul tavolo della cantina-prigione, gli odori: tutto fu trasformato. Il miracolo non modificò nulla di ciò che era visibile, ma cambiò tutto nella sostanza. «Si apriva un’era nuova. Niente era cambiato, tutto era cambiato». Come se il sangue avesse ricominciato a circolare, rivitalizzando ogni parte di uno stesso corpo.

Un’esperienza simile Saint-Exupéry l’aveva vissuta in un’altra situazione di pericolo, nel deserto della Cirenaica, dove era stato costretto a un atterraggio di fortuna durante il raid aereo Parigi-Saigon, alla fine del dicembre 1935. La disavventura, che rimanda al secondo capitolo del Piccolo Principe, divenne uno splendido racconto di Terra degli uomini. Bloccato insieme al meccanico André Prévot tra le dune del Sahara, senza più acqua né viveri, il pilota si predispose alla morte. Comparve allora, come in un miraggio, una carovana di uomini a cammello. Uno di loro si chinò su di lui e lo salvò. Quel beduino apparve a Saint-Exupéry «come un dio sul mare». Un povero nomade che posò sulle sue spalle e su quelle del suo compagno «delle mani da arcangelo».

Non gli chiese da dove provenisse o a quale religione o cultura appartenesse. Era «il fratello benamato», illuminato di nobiltà e benevolenza, che cancellava l’inimicizia dal mondo. Un passo che andrebbe letto e riletto in questo periodo storico in cui si alimentano le paure verso profughi e immigrati, dimenticando che siamo tutti passeggeri della stessa nave.

Come era successo in Catalogna, anche in Nordafrica Saint-Exupéry si sentì avvolto nel sorriso del suo salvatore. Il vero piacere — scrisse — è il piacere della convivenza. Quel sorriso nel naufragio del deserto valeva quanto e più dell’acqua che gli era stata data. La gioia espressa da un sorriso è ciò che di più prezioso possa offrire la civiltà degli uomini. Una tirannia è in grado forse di soddisfare i bisogni materiali, ma non siamo bestie all’ingrasso, né prosperità e conforto sono sufficienti a completarci.

Il viaggiatore che cerca di superare le montagne seguendo una stella, sbaglierebbe a lasciarsi assorbire dai problemi tecnici della scalata, trascurando di osservare la luce che lo guida. Allo stesso modo, il sagrestano della cattedrale, troppo preoccupato di sistemare le sedie, finisce per dimenticare d’essere al servizio di Dio. Il sorriso ci riporta all’essenziale delle cose, della vita, della nostra stessa missione.

Saint-Exupéry è stato a suo modo un cercatore di Dio. Sentiva che è necessario fare i conti con Colui che è avvolgente eppure inafferrabile: una entità che raggiunge e vivifica l’umanità con il suo amore, ma non si confonde con gli uomini, rimane presenza immateriale ed elusiva. Il confronto con l’Assoluto è in tutta la produzione del pilota e scrittore francese. Negli appunti di Cittadella la riflessione è particolarmente profonda. Il selvaggio crede che il suono sia nel tamburo e adora il tamburo, un altro crede che il suono sia nella potenza del suo braccio. E invece Dio è nella musica, anzi Dio è musica. Vuol dire che non esiste? Chi negherebbe la musica, al di là del tamburo e del braccio? Dio è il nodo che lega ogni cosa; non è né l’occhio né il labbro, è il sorriso che li illumina e li riunisce pur senza fondersi in loro. Quel sorriso è la scala che consente di mettere in comunicazione Dio e gli uomini, di rischiararne la loro geografia interiore unificando spazio e materia.

In fondo questo è il mistero della Trinità, dove lo Spirito tiene insieme la potenza del Padre e l’amore del Figlio.

La parabola della perla preziosa (Matteo 13, 45-46) sembra echeggiare nel dialogo che Saint-Exupéry ebbe con una giovane donna di strada a Comodoro Rivadavia, una remota località della Patagonia, durante uno dei suoi avventurosi viaggi aerei. L’episodio è narrato in un articolo del novembre 1932 sul settimanale Marianne. Anche in questo caso il sorriso fu il segno rivelatorio. La ragazza portava al collo una bella collana di perle, il che metteva in pericolo la sua vita in un luogo dove per molto meno si sgozzava per derubare. «Sei stupida a spendere il tuo denaro in perle», le disse lo scrittore. «Oh no!», rispose la donna. «Posso dire che è per lei che ho vissuto…». Ecco che per la prima volta lei sorrideva. «Quel sorriso mi ha fatto riflettere a lungo. Cosa c’era di così dolce da rischiare la vita per una collana? Che strano amore! Ella gli aveva già sacrificato la propria carne. Più il mestiere marcava il suo volto, scavava le sue gote, più il gioiello si abbelliva. E non era bello cambiare un poco al giorno il suo corpo corruttibile in flebile luce? E attraverso questa, forse, redimere il proprio peccato e trasformarlo in un raggio altrettanto puro».

Abbiamo bisogno di una zattera a cui aggrapparci, qualcosa che dia senso anche alla peggiore esistenza, una luce che illumini il buio delle nostre giornate.

L’uomo è animato da sollecitazioni invisibili, è governato dallo Spirito. I veri miracoli non fanno rumore e gli avvenimenti essenziali sono quelli più semplici e ordinari. «L’essenziale è invisibile agli occhi, non si vede bene che con il cuore»: tutti abbiamo sentito o letto almeno una volta questa celeberrima frase di Saint-Exupéry, troppo spesso ridotta ad aforisma da cioccolatini. «L’essenziale non è che un sorriso», scrisse ancora in Lettera a un ostaggio, mentre imperversava la seconda guerra mondiale e lui era in esilio a New York. Il sorriso — affermò in quel frangente — è una qualità che ci libera dall’angoscia dei tempi presenti, che ci accorda la certezza, la speranza, la pace di cui abbiamo bisogno.

Qui l’originale de L’Osservatore Romano

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