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Chi non fa raccoglimento non ascolta lo Spirito Santo

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padre Paulo Ricardo - pubblicato il 05/07/19

Lo Spirito “ci illumina interiormente su ciò che dobbiamo fare”. Imparate ad ascoltarlo
“L’uomo spirituale non si muove per realizzare qualcosa per volontà propria, ma per l’istinto dello Spirito Santo” (padre Antonio Royo Marín)

Oltre alla “vita nella carne” nel suo senso più letterale, per così dire, ovvero di chi vive nel fango del peccato mortale e si trascina in modo miserabile, giorno dopo giorno, fino alla condanna eterna, è arrivato il momento di parlare della “vita nella carne” che conducono anche coloro che si trovano in stato di grazia. L’idea è quella di fare un altro passo, guardando chi è già entrato nel “castello interiore” della propria anima.

Sì, perché anche se il peccato grave continua ad essere “una tragedia possibile per tutti”, “per le anime ferventi o desiderose di esserlo il problema costante non è lotta contro il peccato, ma lo sforzo positivo per raggiungere la perfezione” [1].

Ciò significa che noi cristiani dobbiamo prendere coscienza del fatto che non basta osservare i Comandamenti: il giovane ricco, dopo aver detto al Signore che non uccideva, non commetteva adulterio, non rubava, non mentiva, ecc., si è sentito dire dal Maestro “Una cosa ti manca” (Mc 10, 21).

Gesù ha fissato lo sguardo su di lui e ha amato la sua vita, ma non basta smettere, anche se sotto l’impulso dello Spirito Santo, di fare le cose sbagliate; bisogna invocare l’ausilio dello Spirito anche per fare le cose giuste, e per farle bene.

Allontaniamo un grande errore, quello di pensare che l’intervento divino nella storia sia finito con la venuta di Cristo, o che si limiti alla vita di pochi eletti, a una “casta” separata. A molti sembrerà presunzione il fatto di invocare lo Spirito perché ci orienti e illumini la via che dobbiamo seguire, ma padre Antonio Royo Marín garantisce che, considerando che la terza Persona della Santissima Trinità abita nell’anima del giusto, se mettessimo da parte tutte le cose terrene e ci raccogliessimo in silenzio e in pace, sentiremmo senza dubbio la sua dolce voce e le insinuazioni del suo amore. Non si tratta di una grazia straordinaria, ma del tutto normale e ordinaria in una vita cristiana vissuta seriamente [2].

Questa dottrina è confermata addirittura da San Tommaso d’Aquino, che spiega che i figli di Dio che si lasciano muovere dallo Spirito Santo “sono retti come da una certa guida e un direttore, che è quello che fa in noi lo Spirito, mentre ci illumina interiormente su quello che dobbiamo fare” [3].

Guardiamo poi come San Giuseppe, pensando di abbandonare in segreto la Santissima Vergine, sia stato visitato dall’angelo e abbia deciso di prenderla con sé. La sua prima idea non era peccaminosa; era l’atteggiamento corretto e che ci si aspettava da un “uomo giusto”. La santità, però, chiede non solo di essere giusti, ma anche di agire in modo soprannaturale. È stato quello che ha fatto San Giuseppe, abbandonando la sua prima risoluzione e disponendosi a seguire il consiglio dell’angelo. Se non lo avesse fatto, in che guai si sarebbero trovati Maria e il suo divin Figlio? E l’opera della nostra salvezza, che rischi avrebbe corso?

Viene chiesto anche a noi di seguire, nel cammino della perfezione, qualcosa di più della giustizia meramente umana, pena il condurre una vita “nella carne” e non nello Spirito: “La maggior parte delle persone religiose, anche quelle buone e virtuose, non segue nella sua condotta personale e in quella degli altri se non la ragione e il buonsenso, in cui molte di loro spiccano. È una buona regola, ma non è sufficiente per la perfezione cristiana” [4].

È per questo che, solo per citare l’esempio di qualcosa che facevano tutti i santi, il beato Carlo d’Austria, “prima di qualsiasi scelta importante, […] si ritirava in cappella, da solo, per ponderare la sua decisione davanti al Santissimo e ‘pregare al riguardo’, come diceva” [5].

Era un uomo che confidava meno nei calcoli umani che nello Spirito, il che non solo “ci illumina interiormente riguardo a quello che dobbiamo fare”, ma ci dà anche la forza necessaria per metterci all’opera.

Queste illuminazioni e queste forze che la terza Persona della Trinità trasmette alle nostre anime vengono chiamate dalla teologia mistica “grazie attuali”, ed è dalla fedeltà ad esse che dipende la questione della nostra salvezza eterna. Il Santo Curato d’Ars diceva che “se si domandasse ai condannati ‘Perché siete all’inferno?’ risponderebbero ‘Per aver resistito allo Spirito Santo’, e se si domandasse ai santi ‘Perché siete in cielo?’ risponderebbero ‘Per aver ascoltato lo Spirito Santo’” [6].

Ma – e ribadiamolo ancora una volta, perché molti parlano dello Spirito ma pochi vivono in Esso – chi potrà ascoltare la voce di Dio senza preghiera, senza “ritiro” e senza raccoglimento? Chi potrà sentire le sue ispirazioni in mezzo al chiasso di un rave? Come potrà essere guidato dallo Spirito Santo chi non fa altro che lasciarsi guidare, in ogni momento, dalle sollecitazioni del mondo? Come ascolterà la voce del dolce Ospite dell’anima chi non fa che ascoltare gli impulsi della propria carne? Come percepirà il tocco soave della grazia chi non è capace di staccarsi, anche solo per qualche minuto, dallo smartphone, dalla serie preferita di Netflix o dalla musica del suo servizio di streaming?

“Se mettessimo da parte tutte le cose terrene – dice ancora padre Royo Marín – “e ci raccogliessimo in silenzio e in pace, ascolteremmo senz’altro” la voce di Dio “e le insinuazioni del suo amore”. Se non le sentiamo, quindi, è colpa nostra: ci manca “una vita cristiana vissuta seriamente”, il mettere da un lato le cose terrene. Esempio sommamente perfetto di questo raccoglimento tanto necessario è stato quello di Gesù Cristo, il Verbo di Dio incarnato: prima del suo ministero pubblico, quaranta giorni di deserto preceduti da trent’anni di silenzio. A questo prezzo si salva il mondo.

Bisogna raccogliersi, e solo dopo donarsi. La “solitudine” ci giudica. Non dobbiamo mai essere “il vagabondo che non è mai a casa”, e ricordiamo sempre che “il valore di una persona si misura dalla capacità di isolamento che ha” [7].

Convinciamoci una volta per tutte che non c’è altro modo di diventare davvero cristiani se non tacendo e pregando, se non raccogliendosi e poi donandosi, se non corrispondendo in tutto ciò che facciamo – e non solo in un settore specifico della nostra vita, non solo andando a Messa la domenica, non solo realizzando questo o quell’atto di pietà – alle grazie attuali con cui Dio vuole renderci santi, e grandi santi.

Se la meta ci sembra troppo elevata non lasciamoci scoraggiare! Esorcizziamo la tristezza con cui il giovane ricco ha lasciato la famosa scena evangelica; infiammiamoci davanti al nobile ideale che Dio ci pone davanti agli occhi; combattiamo con tutte le forze quello spirito tiepido, quella pusillanimità, quell’“animo piccolo” e la mancanza di “ambizione” spirituale che a poco a poco indeboliscono e paralizzano fino ad arrivare all’inerzia, quando non ci fanno tornare alla vecchia vita nei peccati mortali, perché è certo che nella vita spirituale chi non avanza inevitabilmente retrocede.

Riferimenti:
1. P. Raul Plus, La fidelidad a la gracia, trad. sp. di A. de Miguel Miguel, [s.l.: s.n.], 1951, p. 59.
2. P. Antonio Royo Marín, Teología de la perfección cristiana (n. 638), 14.ª ed., Madrid: BAC, 2015, p. 781.
3. San Tommaso d’Aquino, Super Epistulam ad Romanos, c. VIII, l. 3.
4. P. Antonio Royo Marín, op. cit. (n. 637), p. 780.
5. Giovanna Brizi, A vida religiosa do Beato Carlos da Áustria, 2.ª ed., Rio de Janeiro, Edições Lumen Christi, 2014, p. 41.
6. Apud P. Raul Plus, op. cit., p. 6.
7. Id., p. 36.

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