La Penitenzieria Apostolica fa chiarezza in 4 ambiti del segreto. Per evitare (anche nel clero) pettegolezzi, bufale e macchina del fango
«Si è diffusa negli ultimi decenni una certa “bramosia” d’informazioni, quasi prescindendo dalla loro reale attendibilità e opportunità, al punto che il “mondo della comunicazione” sembra volersi “sostituire” alla realtà, sia condizionandone la percezione, sia manipolandone la comprensione. Da questa tendenza, che può assumere i tratti inquietanti della morbosità, non è immune, purtroppo, la stessa compagine ecclesiale, che vive nel mondo e, talvolta, ne assume i criteri».
E’ questa la premessa di una nota della Penitenzieria Apostolica «sull’importanza del foro interno e l’inviolabilità del sigillo sacramentale».
Anche tra il clero….
Anche tra i credenti, di frequente, prosegue la nota, «energie preziose sono impiegate nella ricerca di “notizie” – o di veri e propri “scandali” – adatti alla sensibilità di certa opinione pubblica, con finalità e obiettivi che non appartengono certamente alla natura teandrica della Chiesa. Tutto ciò a grave detrimento dell’annuncio del Vangelo a ogni creatura e delle esigenze della missione. Bisogna umilmente riconoscere che talvolta nemmeno le fila del clero, fino alle più alte gerarchie, sono esenti da questa tendenza».
«Invocando di fatto, quale ultimo tribunale, il giudizio dell’opinione pubblica, troppo spesso sono rese note informazioni di ogni genere, attinenti anche alle sfere più private e riservate, che inevitabilmente toccano la vita ecclesiale, inducono – o quanto meno favoriscono – giudizi temerari, ledono illegittimamente e in modo irreparabile la buona fama altrui, nonché il diritto di ogni persona a difendere la propria intimità (cf. can. 220 CIC)».
“Pregiudizio negativo” verso la Chiesa
In tale contesto, «sembra affermarsi un certo preoccupante “pregiudizio negativo” nei confronti della Chiesa Cattolica, la cui esistenza è culturalmente presentata e socialmente ri-compresa, da un lato, alla luce delle tensioni che possono verificarsi all’interno della stessa gerarchia e, dall’altro, partendo dai recenti scandali di abusi, orribilmente perpetrati da taluni membri del clero».
Da qui l’intervento della Penitenzieria Apostolica per spiegare meglio cosa sono: 1) il sigillo sacramentale, 2) la riservatezza connaturata al foro interno extra-sacramentale, 3) il segreto professionale, 4) i criteri e i limiti propri di ogni altra comunicazione.
La Penitenzieria ricorda che al confessore non è consentito, mai e per nessuna ragione, «tradire il penitente con parole o in qualunque altro modo» (can. 983, § 1 CIC), così come «è affatto proibito al confessore far uso delle conoscenze acquisite dalla confessione con aggravio del penitente, anche escluso qualunque pericolo di rivelazione» (can. 984, § 1 CIC).
La dottrina ha contribuito, poi, a specificare ulteriormente il contenuto del sigillo sacramentale, che comprende «tutti i peccati sia del penitente che di altri conosciuti dalla confessione del penitente, sia mortali che veniali, sia occulti sia pubblici, in quanto manifestati in ordine all’assoluzione e quindi conosciuti dal confessore in forza della scienza sacramentale». Il sigillo sacramentale, perciò, riguarda tutto ciò che il penitente abbia accusato, anche nel caso in cui il confessore non dovesse concedere l’assoluzione: qualora la confessione fosse invalida o per qualche ragione l’assoluzione non venisse data, comunque il sigillo deve essere mantenuto.
Per la sua peculiare natura, il sigillo sacramentale arriva a vincolare il confessore anche “interiormente”, al punto che gli è proibito ricordare volontariamente la confessione ed egli è tenuto a sopprimere ogni involontario ricordo di essa.
Il divieto assoluto imposto dal sigillo sacramentale è tale da impedire al sacerdote di fare parola del contenuto della confessione con lo stesso penitente, fuori del sacramento, «salvo esplicito, e tanto meglio se non richiesto, consenso da parte del penitente».