di Andrés D’Angelo
Questa storia mi tocca molto da vicino. A San Luis, la città in cui vivo, a 800 chilometri da Buenos Aires, ci sono relativamente pochi senzatetto. In genere sono persone di passaggio, gente che sta lì per un po’ di tempo a chiedere l’elemosina alla porta delle chiese, facendo i giocolieri o pulendo i parabrezza delle macchine ai semafori. C’è un settore della popolazione colpito dalla miseria, ma anche in quel caso non è molto consistente, visto che il governo provinciale ha istituito da molto tempo buone politiche di alloggi sociali e nonostante la crisi che vive il nostro Paese San Luis ha meno difficoltà abitative rispetto al resto dell’Argentina.
Quindici anni fa, il governatore della provincia ha decretato da un giorno all’altro l’eliminazione delle strutture per disabili, perché si diceva (non a torto) che questi devono convivere con le loro famiglie, e che si devono aiutare queste ultime ad assistere meglio i propri membri con difficoltà.
Come ho conosciuto Sergio
In teoria è una norma positiva, ma come è accaduto nella Francia rivoluzionaria hanno iniziato a vedersi in strada persone che non avevano una famiglia, dalle patologie sconosciute e che non si lavavano, non si nutrivano in modo adeguato e dormivano dove e come potevano. Sergio era uno di loro. L’ho incontrato molte volte in tanti luoghi di San Luis, e quando gli si passava vicino si riusciva a malapena a respirare per l’odore che emanava.
Quando ho la tentazione di sentirmi un cristiano “avanzato” ricordo che per me le opere di misericordia corporale sono estremamente difficili, e allora la superbia mi passa. La situazione di Sergio mi rattristava davvero moltissimo, ma tranne dargli qualche moneta o qualcosa da mangiare di tanto in tanto non ho fatto niente di concreto per aiutarlo.
Un gesto di carità con data di scadenza
Il 31 maggio 2018 hanno iniziato ad arrivare messaggi nel gruppo dell’Opera delle Famiglie di Schoenstatt della nostra diocesi. Era una notte straordinariamente fredda, aveva nevicato per quasi tutto il pomeriggio e una coppia di amici aveva visto Sergio in un angolo della città, completamente bagnato e tremante per il freddo. Hanno iniziato a chiamare le parrocchie per vedere se qualcuno lo portava accogliere, e Alejandro Lorenzo, cuoco della Caritas parrocchiale della parrocchia di San Roque, ha chiesto di portarlo mentre cucinava il cibo che sarebbe stato distribuito quel giorno.
In parrocchia si è lavato, lo hanno rasato e gli hanno dato abiti puliti e cibo, ma cosa sarebbe successo dopo? Sarebbe tornato in strada? Molti si sono avvicinati portando denaro e vestiti, ma il giorno dopo sarebbe stato di nuovo a spasso.
La decisione che ha cambiato tutto
E allora Alejandro si è deciso e lo ha portato a vivere con sé. Si è preso la responsabilità di nutrirlo, vestirlo, dargli un tetto e aiutarlo a ritrovare una vita dignitosa. Pochi giorni dopo gli ho chiesto perché aveva compiuto un gesto d’amore così grande, e mi ha risposto che anche lui era stato un senzatetto, e che altre persone lo avevano trattato con amore e compassione. Ora doveva essere le mani della misericordia di Dio per Sergio.
La storia ha un lieto fine: Sergio ha recuperato la sua identità, è riuscito a reincontrare le sue sorelle e i suoi nipoti e a poco a poco si è reinserito nella società che lo aveva rifiutato per moltissimo tempo.
https://youtu.be/OyiDBsO2R7A
Fino a dove sei disposto ad arrivare per aiutare tuo fratello?
Scusate se ho tanto a cuore questa storia, ma come ho detto all’inizio l’ho vissuta da vicino e mi ha fatto rivedere il mio atteggiamento nei confronti della gente di strada. Ho sempre giustificato la mia codardia e la mancanza di risposte pensando “Sono dei vagabondi”, “Avranno fatto qualcosa per finire così”, “Se do loro dei soldi, magari si ubriacheranno ancor di più” e altre mille scuse orribili e egoiste per giustificare le mie azioni.
Da quando Alejandro e i miei fratelli della parrocchia di San Roque mi hanno insegnato a vedere nel fratello bisognoso il Cristo sofferente, ho cercato di cambiare il mio atteggiamento nei confronti dei senzatetto. Non faccio quello che Alejandro ha fatto per Sergio, agendo da “buon samaritano” che si fa carico del prossimo, ma ora parlo con loro, li avvicino con un gesto affettuoso e offro un’elemosina in denaro o cibo. Chiedo loro di cosa hanno bisogno con urgenza e mi informo presso i gruppi della Caritas per sapere se qualcuno ha ciò di cui necessitano. Non mi limito a dispiacermi per loro senza fare nulla di concreto. Mi manca ancora molta strada da fare, e credo che non sarò mai in grado di fare qualcosa di eroico come ha fatto Alejandro, ma capisco che è il MIO atteggiamento che deve cambiare perché nel mondo ci sia un po’ più d’amore.
Cosa posso fare per aiutare gli altri?
Papa Francesco ha detto che quando le parole mancano basta “una carezza, che sia veritiera e amorevole” (udienza del 19 giugno 2019).
Per i nostri fratelli meno fortunati dobbiamo essere le mani della Divina Provvidenza, ma anche le mani della tenerezza divina e il cuore vicino che restituisca loro la dignità di Figli di Dio.