di Pablo Perazzo
Quando parliamo di sofferenza, esprimiamo qualcosa che solo gli esseri umani possono sperimentare. È l’esperienza soggettiva che abbiamo a causa del dolore provocato perché smettiamo di partecipare a un “bene” che ci spetta. Quando abbiamo una malattia fisica, ad esempio, perdiamo la salute, e il dolore è proprio il frutto di quella perdita. Allo stesso modo, sperimentiamo sofferenze psicologiche (frustrazioni, tristezza…), esistenziali (depressioni, vuoti…) e spirituali (peccati).
Intesa in questo modo, la sofferenza è parte integrante della nostra natura, ma non arriva solo alle dimensioni più profonde delle esperienze che facciamo come persone umane, perché in qualche modo ci supera, ci trascende. Affrontare e inserire la sofferenza nella propria vita appartiene all’orizzonte trascendente che siamo chiamati a vivere, proprio perché è il frutto del male di cui soffre l’uomo dall’inizio della Creazione con il peccato originale. Se vogliamo spiegare perché si soffre, quindi, o – detto in altro modo – perché esiste il male, dobbiamo rimetterci a realtà che trascendono la dimensione materiale della nostra esistenza. Possiamo comprendere la sofferenza solo se abbiamo una vita spirituale e maturiamo in essa, in modo più specifico nella misura in cui ci avviciniamo a Cristo.
1. Cristo dà senso alla nostra sofferenza
A chi vuole approfondire il mistero del male e della sofferenza raccomando di leggere la Lettera Apostolica Salvifici Doloris di San Giovanni Paolo II, che spiega in modo molto chiaro come Gesù è l’unico che dà senso alla nostra realtà sofferente, trasformando la nostra sofferenza in un’occasione per maturare nell’amore e aiutare nell’opera redentrice dell’umanità.
In primo luogo Cristo ci invita, con il suo amore e il suo affetto, a sopportare insieme a Lui le nostre sofferenze. “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò” (Matteo 11, 28). Egli conosce le nostre sofferenze. Ha assunto la nostra sofferenza. Non solo ha redento dal male e dalla sofferenza, ma come persona che incarna la sofferenza è la Via, la Verità e la Vita che reclama una scelta da parte nostra. Il cristiano non segue un insegnamento o una dottrina, ma una persona, che ci ha amati e si è donata sulla Croce per noi.
In secodo luogo, chi si conforma a Cristo ne esce rafforzato. Per questo la condizione necessaria è riconoscere la nostra fragilità e la nostra limitazione. Anche se sembra paradossale, è nella nostra debolezza che si manifesta tutto il potere della Gloria di Dio (cfr. 2 Corinzi 12, 9). “Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia” (Romani 5, 20). Gesù assume la nostra fragilità, il male e la sofferenza, e attraverso la propria sofferenza ci porta la vittoria dell’amore. Il momento culminante dell’opera salvifica di Dio, quando Gesù muore sulla Croce, è quello in cui si manifesta in modo assoluto l’amore di Dio per noi.
In terzo luogo, Cristo ci permette – generosamente – di partecipare a quell’opera redentrice mediante la Croce. La sua Passione, Morte e Resurrezione hanno già plasmato nella storia dell’umanità tutto il necessario per offrirci la Vita Eterna, la possibilità della Salvezza. Attraverso lo Spirito Santo, però, Gesù vuole che noi, con le nostre sofferenze e le nostre croci quotidiane, possiamo cooperare con la sua opera salvifica. Per questo, nella misura in cui aderiamo con la nostra croce personale a quella di Cristo stiamo collaborando alla Sua azione salvifica, attraverso la Chiesa.
2. Come partecipare e come rendere concreto tutto questo nella propria vita?
“Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama” (cfr. Giovanni 14, 21). Se amo davvero il Signore, questo si manifesta nell’amore nei confronti dei fratelli. Si vede molto chiaramente nella parabola del Buon Samaritano (Luca 10, 25-37), descritta anche nella Salvifici Doloris.
In modo ordinario e più semplice, la nostra partecipazione alla sua opera avviene attraverso i sacramenti. Sappiamo dal Catechismo che entriamo nella vita della Chiesa e partecipiamo al suo Mistero Salvifico innanzitutto grazie al Battesimo, ma visto che continuiamo a peccare nel corso della nostra vita, e questo spezza la nostra unione con Cristo, ci sono i sacramenti della Confessione e dell’Eucaristia che ci restituiscono la comunione nella sua opera di Salvezza.
Non si tratta di compiere opere incredibili, che richiamino l’attenzione altrui. È tutto nelle piccole cose e nelle azioni quotidiane… come servo gli altri, come mi sacrifico e sono generoso in casa, come permetto che lo Spirito di Vita agisca nel mio cuore, per poter dire con San Paolo “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Galati 2, 20).
Qui l’articolo originale pubblicato su Catholic Link.