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Filippine, suor Sophie di Gesù e la sua “sisters’ gang”

Suor Sophie di Gesù

© Capture d'écran YouTube | MonacoInfo

Domitille Farret d'Astiès - pubblicato il 18/06/19

Ogni continente è terra di missione. Da quasi 20 anni, suor Sophie di Gesù è missionaria nelle Filippine. Con l’associazione ACAY, la religiosa si è messa al servizio della gioventù locale in difficoltà e accompagna sia le vittime sia le persone che delinquono e le loro famiglie.

Un temperamento di fuoco. Suor Sophie di Gesù, 51 anni, vive al servizio della gioventù delle Filippine da quasi vent’anni. La sua bontà non sembra essere eguagliata se non dalla sua formidabile determinazione. Il suo desiderio più caro? Aiutare la gioventù a rialzarsi e ad andare avanti. Nel 2000 fondò ACAY (Association Compassion Asian Youth), che offre una seconda chance ai giovani dai 15 ai 23 anni. L’associazione si giova di un’équipe pluridisciplinare composta da quattro consacrate Missionarie di Maria, una quindicina di salariati (assistenti sociali, psicologi, formatori…) e alcuni volontari. Con la sua “sisters’ gang” (così le piace chiamarla), composta da persone provenienti da più Paesi, la religiosa abita a Manila, nel quartiere di Quezon City. Laggiù si occupano di giovani locali in difficoltà attraverso differenti programmi.

Strategie educative innovatrici

A “L’École de Vie” [“La Scuola di Vita”, N.d.T.], che da 19 anni ha accolto 176 giovani donne, ciascuna delle quali è stata per più anni nel foyer, coabitano attualmente una ventina di ragazze tra i 15 e i 21 anni, in maggioranza vittime di violenze. Alcune sono orfane, altre sono state costrette a prostituirsi, altre ancora sono state in prigione o sono state separate dalle loro famiglie. «Il nostro obiettivo è prepararle all’autonomia», esclama la religiosa, la cui vena manageriale risuona evidente nel contatto diretto.

Proponiamo loro un cammino con delle strategie educative innovative. Non cerchiamo di far numero: queste giovani arrivano con alle spalle un passato piuttosto traumatico. L’obiettivo è che possano ricostruirsi e che il loro trauma diventi un trampolino per l’avvenire.

Il percorso proposto loro si compie in due tappe. In un primo momento, fanno un lavoro terapeutico su loro stesse e poi, in un secondo momento, preparano il loro avvenire con una solida formazione sulla conoscenza di sé, la gestione delle emozioni, la negoziazione, la comunicazione, simulazioni di colloqui di lavoro… certo non possono ripartire senza un bagaglio solido.

Il nostro campo è il lavoro di reinserimento – spiega la religiosa –: una cosa tuttora piuttosto nuova, nel contesto filippino. Fin dalla partenza impostiamo il tutto sul tema di “tocca a voi decidere”, tocca a voi scegliere se volete venire alla Scuola di Vita, prendere in mano le vostre vite.

Un altro programma, intitolato “Seconda Chance”, si rivolge ai giovanotti in situazione di delinquenza. La suora ci spiega:

Quelli che vengono affidati a noi hanno solitamente commesso degli atti molto gravi. Spesso cose connesse a omicidî, stupri, droga.

Questo programma, costruito in collaborazione con il ministero della Giustizia e con quello degli Affari sociali, si rivolge sia a giovani detenuti sia ad altri che escono di galera, come indica il volantino intitolato “After Care”. Suor Sophie spiega:

Il 90% dei giovani che abbiamo seguito dopo la loro uscita di prigione non ci torna più. Camminiamo lentamente. Fintanto che non arriviamo nel fondo del caos, il cambiamento non avrà luogo.

La sua esperienza le ha mostrato che la detenzione può aiutare un giovane a “ritrovarsi”, ad ascoltare il fondo del proprio cuore, a entrare in relazione con Dio. «Il giovane si trova faccia a faccia con sé stesso», spiega la religiosa. Donde l’importanza per le équipes di essere presenti nel momento in cui egli si pone le questioni fondamentali. Un terzo programma riguarda le famiglie:

Il lavoro di ricostruzione impatta le famiglie e i genitori stessi entrano in tale dinamica. È importante ricostruire il dialogo nella famiglia.

Sœur Sophie de Jésus 2
© ACAY
Suor Sophie con delle ragazze.

Un dettaglio da non trascurare: la piccola comunità prega la Vergine invocata col titolo di “delle tre croci”. Sì, perché il venerdì santo Maria era al piede di tre croci: quella del Figlio, ma anche quelle dei due ladroni, uno incallito e l’altro pentito.




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Maria riceve l’amore del Padre per quei tre: Ella porta l’umanità intera e le apporta la compassione del Padre. E noi, a nostra volta, vogliamo custodire in un medesimo abbraccio i giovani vittime e i giovani in situazione di delinquenza per aiutarli a rialzarsi.




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Suor Sophie aveva avvertito da molto tempo questa chiamata alla vita di servizio, lei che voleva diventare medico missionario. All’età di 11 anni, mentre ne parlava con suo nonno, quello gli aveva detto: «Basta che non ti fai suora!». A quanto pare, lassù Qualcuno non era d’accordo… la ragazza ricevette la chiamata alla vita consacrata una notte di settembre del 1987, fra le 3 e le 4 del mattino. Una vocazione che si scoprì in tutta discrezione:

Scoprivo di avere un fuoco incandescente nel fondo di me stessa. Allora un grande silenzio vi ha preso posto e io mi sono detta: «È Dio». In quel silenzio Dio ha fatto risuonare la chiamata alla vita consacrata.

Allora la giovane Sophie entrò nella Communauté des Béatitudes. Nel 1995 Giovanni Paolo II diede appuntamento ai giovani di tutto il mondo alle GMG di Manila. Suor Sophie aveva allora 27 anni, di cui gli ultimi sei da religiosa. La chiamata era limpida: «Non ero partita per servire i poveri: sono partita perché ho ricevuto una chiamata ad occuparmi dei giovani di laggiù». Una vera chiamata nel cuore.


SISTER ANNE MARIE, HANNAH LOEMAN

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Dopo aver passato dieci anni in quella comunità, suor Sophie lasciò le Béatitudes per fondare le Missionnaires de Marie, una piccola comunità legata alla chiesa locale nel servizio ai giovani in difficoltà; comunità che conta oggi quattro suore e più di 35 laici, che vivono nella società civile nelle Filippine o in Francia:

Per me questa missione era nell’ordine dell’obbedienza a Dio. Era una chiamata chiara che non potevo sacrificare e che mi ha sempre lasciata nella pace. Abbiamo attraversato momenti duri ma siamo andati avanti per vivere il tipo di vita missionaria che ci sembrava giusto adottare. Siamo ciò che Papa Benedetto XVI chiama “minoranze creative”. Forse non dureremo a lungo, ma questo importa poco. Il Signore ci dà il carisma di innovare, e forse saremo come delle stelle cadenti. La nostra piccolezza ci permette di essere estremamente flessibili e creative.

Suor Sophie cita poi Papa Francesco, che il 31 marzo 2019 diceva alle religiose:

[…] Il problema non è essere poco numerosi, ma essere insignificanti, diventare un sale che non ha più il sapore del Vangelo – questo è il problema! – o una luce che non illumina più niente (cfr Mt 5,13-15).

Essere religiosa significa anzitutto essere una donna, e suor Sophie ce lo mostra bene anche quando non si tira indietro davanti a un’uscita di shopping con le “sue” ragazze. Molto creativa, ci tiene a restare “in contatto col mondo” e cura il gusto della coreografia, del design, della decorazione di interni… la consacrata gioca con noi:

Forse questo fa poco “convento”… Certo se non fossi stata una buona suora avrei dovuto sposare un uomo ricco!

«Le nostre culture si completano molto bene»

Francese nel cuore, questo non le ha impedito di innamorarsi del popolo filippino:

Trovo che le nostre culture si completino molto bene. I francesi hanno certo un lato brontolone e critico, ma pure un lato analitico, creativo e innovatore che permette loro di arrivare lontano. La Francia ha dato alla luce molti missionari, e lo spirito missionario fa parte delle mie radici. Da parte loro, i Filippini sono un popolo molto cordiale, molto gioioso. Tra loro regna l’emozione del cuore. La loro forza è la loro gioia. Si tratta di un popolo coraggioso, capace di rialzarsi e di andare avanti, come hanno mostrato dopo il tifone Tacloban nel 2013. Ma se l’emozione può essere una forza, esso rischia anche di risultare una grossa debolezza quando conduce a una mancanza di struttura interiore. Nelle Filippine si può passare da un parere all’altro con grande facilità, si può cambiare religione in cinque minuti. In tal senso, il pensiero analitico francese può aiutare a strutturarsi. I nostri Paesi camminano insieme e si ispirano mutuamente.

Sœur Sophie de Jésus 1
© ACAY
Le quattro religiose provengono da Ungheria, Polonia, Nuova Zelanda e Francia.

E se la focosa consacrata s’indigna davanti alle violenze e alle torture che ancora numerosi bambini nelle Filippine subiscono, ella si rallegra pure della bellezza dei cammini percorsi:

La mia gioia sta nel vedere una moltitudine di giovani che si rialzano, che diventano professionisti realizzati, giovani genitori che adorano i propri bambini. Hanno una parola piena di forza e trasudano energia: per me è sconvolgente. È splendido vedere il frutto del dono della propria vita.

Fra gli itinerari di vita dei giovani di cui suor Sophie è stata testimone c’è quello di Cookie. Abbandonata da sua madre, poi recuperata dalla zia, la bambina viveva in condizioni sordide. A 13 anni cominciò a vivere per strada. Si nascondeva fra un capannello di ragazzi e vendeva droga. Nel mezzo di un bad trip rivolse a Dio un grido disperato: «Non ne posso più di questa vita, dammi un segno!». Qualche giorno più tardi avrebbe incontrato suor Édith per strada. È rimasta cinque anni alla Scuola di Vita: scappata tre volte, ha comunque tenuto duro. Oggi è diplomata in un istituto commerciale ed è madre di due bambini. Un gran bel percorso.




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Suor Sophie non è certo tipo da cullarsi sugli allori. L’infaticabile fondatrice tiene molto a conservare una tensione dinamica creatrice nella missione: «È il mio scrupolo, oltre che un’immensa gioia. Ora siamo entrate nelle fase della trasmissione». In vent’anni, l’associazione ha trovato la propria identità, rinforzandosi lungo lo scorrere del tempo. Spiega la religiosa (non senza un filo di humour):

Il nostro primo movimento è stato l’abbassamento, da brave suore. Siamo rimaste nel ministero dell’ascolto e della consolazione, da principio. Poi, in un secondo tempo, con i ragazzi abbiamo compreso che bisognava insegnare loro a rialzarsi, equipaggiarli, formarli, dire loro “prendi in mano la tua vita: è tua, devi esserne protagonista”. Un volto della compassione decisamente virile.

E poi ACAY ha spiegato le sue ali fino in Francia. Il programma Seconde Chance esiste, al momento, a Marsiglia, mentre ACAY muove i primi passi in Africa. Recentemente, suor Sophie è stata chiamata in Congo per del coaching. L’idea non è di creare ACAY dappertutto, ma di condividere un’esperienza, una competenza maturata, nonché degli strumenti già testati. Tutte cose che portano la religiosa a dire: «È sconvolgente vedere come Dio conduce gli eventi».

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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