«Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nella tua grande bontà cancella il mio peccato.
Lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato».
Dice bene il salmista: “lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato.” (Sl. 51)
Se c’è infatti un peccato che si insinua nella nostra vita, nel nostro quotidiano e che è fonte di tutti i peccati è proprio quello della superbia. Per questo possiamo definirlo come “il grande peccato”.
Mentre gli altri vizi si oppongono, per così dire, ad una specifica virtù, la superbia si insinua ovunque e danneggia più profondamente la nostra vita. Infatti la superbia non si pone solo come opposto all’umiltà ma inquina grandemente tutti i vizi ponendosi come incipit della rovina dell’uomo.
E’ per superbia che l’angelo portatore di luce è diventato satana e ha corrotto, nel suo stesso verme malato i nostri progenitori. La superbia fa presa su ciò che di buono c’è nel nostro cuore stravolgendolo in una dinamica distruttoria e competitiva al contempo. Stravolge il dono di “essere come Dio” perché ciò diventi una pretesa senza l’aiuto e la grazia di Dio stesso. Il che, evidentemente, è impossibile. La superbia non è solo un peccato ma è anche un assurdo ontologico, una follia, una mancanza di amore.
La risposta psicologica
Dietro la superbia la psicologia ha posto spesso una risposta basata sulla disistima che il soggetto ha verso se stesso, vittima egli stesso, di una continua competizione tra il “reale di sé” e la “proiezione di sé”. Poiché l’autostima è qualcosa che si acquista nel rapporto primario della relazione genitoriale se essa è falsata, distorta o assente, in maniera soddisfacente, il soggetto vive in costante competizione frustante tra ciò che è e ciò che vuole essere ma sempre nella bramosa voglia di “eccellere su” per dimostrare a se stesso che “vale”, cioè che egli esiste.
Il superbo, dunque, psicologicamente parlando, vive nella costante proiezione falsata di sé e nella incapacità di accogliere il limite personale.
Per questo, paradossalmente, per quanto competitivo, il superbo non matura e non cresce proprio perché non parte dalla realtà ma da un bisogno costante di auto-affermazione e di narcisistico compiacimento. Mendicando, in maniera diretta o indiretta, qua e la, un po di attenzione e di stima.
Per ottenere questo si serve di tutto, anche degli affetti più belli, anche di Dio. Il superbo è un cosificatore degli affetti. Usa le relazioni, anche le più sante e sacre per affermarsi.
Egli celebra se stesso anche dietro un’affermazione di amore.
Per il superbo, psicologicamente parlando, gli altri o l’Altro, sono delle cose che servono per dimostrare a se stesso che egli “è più in alto” o semplicemente che “egli vale”. Sempre.
Proprio per questo il superbo cade in una solitudine omeostatica che lo “incancrenisce” sempre più nella sua situazione distruttiva.
Non solo.
Questa condizione lo porta inevitabilmente ad essere impermeabile ad una vera conversione e maturazione psico-spirituale proprio perché si conosce poco e conosce di sé solo quel lato che egli desidera di essere. Proprio per questo il superbo è incapace di ascoltare e di relazionarsi significativamente sia nella vita sociale che nella vita affettiva. Non attua, in sintesi, per incapacità sedimentata e strutturale, quei meccanismi indispensabili che portano alla maturazione personale.
Il limite, il confronto, il chiedere aiuto.
L’attuale stato culturale, fatto di apparenza e narcisismo, di reality e di gossip, non fa che alimentare questa virulenta deviazione psichica e generare dei mostri radicalmente soli ed incapaci di maturare.
Prigioniero nella sua paura di essere mediocre e normale, bisognoso di approvazione, tende a cosificare i rapporti significativi a vantaggio della sua proiezione smisurata di essere come dio senza Dio.
Egli si vuole dare un nome da sé, come il popolo di Babele. L’autodeterminazione, modernamente intesa, anche dalle correnti ideologiche femministe, liberali e massmediali, si fonda su questo movimento psichico e su questa malattia spirituale. In tal senso, dunque, l’auto-determinazione è non solo una malattia dell’io, un disordine oggettivo e soggettivo ma anche un malessere sociale.
La superbia, inoltre, è fonte della quasi totalità dell’ateismo il quale, non solo per i motivi di disistima di cui sopra, ma anche per l’incapacità di ascoltare e di ascoltarsi si oppone a Dio e lo nega prima affettivamente e poi razionalmente.
Di fatto l’ateismo sano e sofferto è veramente raro. Se è vero che una certa immaturità affettiva può portare alla religiosità è anche vero che quasi sempre alla base di un approccio ateo alla realtà c’è una persona infantile e narcisista, incapace di equilibrio affettivo che pone in sé il principio del sé. Il che, alla luce di una ragione che ragiona, è empiricamente impossibile.
Il danno spirituale
Tuttavia il danno più profondo della superbia avviene a livello spirituale. Infatti la dimensione psicologica fornisce una parziale risposta su questa cancrena che coinvolge i livelli più profondi del cuore dell’uomo, della sua personalità, della sua libertà e delle sue scelte. La natura competitiva della superbia ne fa un vizio che non si placa mai e che impedisce radicalmente di conoscere Dio.
Come si spiega allora che alcune persone appaiono religiosissime e sono invece superbe? La risposta è relativamente semplice, costoro non conoscono Dio ma adorano un dio immaginario costruito a propria immagine e somiglianza. Quando la vita spirituale dà la sensazione di essere buoni e di essere a posto per le nostre forze e non per dono di Dio significa che il vizio della superbia ci ha permeato.
Nei fatti da cosa si vede? Dalle prove che ci fanno scontrare con il nostro senso del limite!
Le prove infatti obbligano sia la nostra psiche che il nostro spirito a smontare l’immagine di Dio che ci siamo costruiti e siamo chiamati ad andare oltre e a crescere. Così è avvenuto per ogni uomo di Dio. Pensiamo per esempio ad Abramo, padre nella fede, che è stato chiamato sempre oltre.. prima ad uscire dalla propria terra, poi a credere che Dio gli avrebbe dato un figlio in tarda età e poi a credere che Dio è il Dio della vita e che resuscita dai morti.
Solo nel dramma del sacrificio “del figlio unico” ogni proiezione, pur buona di Abramo, crolla per far spazio a ciò che Dio rivela di se stesso e solo così Abramo conosce infine anche se stesso, il proprio limite e in definitiva la propria grandezza.
Ecco perché la superbia è il peggiore dei vizi, perché ha una natura totalmente spirituale.
A differenza degli altri vizi che sono di natura, per così dire animale, la superbia inquina lo spirito dell’uomo. Giustamente osserva C. S. Lewis: “Il diavolo se la ride.. è contentissimo che tu diventi casto, coraggioso e capace di dominarti, purché egli possa istituire dentro di te la dittatura della superbia; così come sarebbe felicissimo che tu guarissi dai geloni se in cambio gli fosse consentito di farti venire il cancro” (C. S. Lewis, “Il cristianesimo così com’è“). Insomma il diavolo, con la superbia, fa un investimento sulla tua dannazione. Preferisce che tu compi alcune cose buone purché te ne impadronisca cadendo nel veleno dell’avarizia e della superbia.
La superbia, nella sua natura competitiva, tende a distruggere tutto il buono possibile e a non gioire della comunione e della comunione dei beni spirituali.
E’ infatti la superbia che porta competitivamente ad affermare frasi tipo:
“il mio cammino spirituale è migliore”, “si prega meglio con il canto in lingue che con i canti neocatecumenali”, “questo è un cammino più fedele alle radici del cristianesimo”, “questa è la Messa di sempre”, “Qui c’è la tradizione”, “qui c’è il progresso”,”il concilio vaticano secondo è stato una rovina della Chiesa”, “il concilio vaticano secondo è stato disatteso”,“la liturgia più corretta è quella in latino”, “la liturgia corretta è quella della “concelebrazione”, “noi siamo la voce cattolica che difende i luoghi sacri”, “bisogna seguire queste rivelazioni private, la Chiesa non capisce”, “bisogna abolire il celibato”, e così via, solo per fare qualche esempio dei contrasti di sempre, intra-ecclesiali, che, alimentati dalla superbia, viaggiano nei gruppi ecclesiali, tra conservatori e progressisti, tra spiritualisti fanatici e devozionali e cristiani no-global; che minano la comunione ecclesiale.
Spesso, infatti, la superbia va a braccetto, nei credenti, con una radicale mancanza di senso di chiesa. Il senso di chiesa, infatti, si fonda sull’umiltà e sui calli alle ginocchia. Mortificando volentieri, non solo affettivamente, ma effettivamente, quella parte di noi che crede di essere così importante, così decisiva per il bene della Chiesa e dimentica la logica del seme che muore per portare frutto. Dimentica la logica del Triduo Pasquale.
Tutte le volte, con la condizione previa, non di fare verità, ma di sentirci giustificati agli occhi dell’immagine di Dio che ci siamo costruiti. Di rassicurarci nelle nostre categorie. La superbia a volte è sottile e a livello ecclesiale si sviluppa su cose non dette ma che fanno da motivo sotterraneo del nostro giudizio.
Insomma, spesso i prodromi di una eresia sono frutto di una mormorazione costante e solipsistica, di un relativismo coltivato da anni e che spacca le comunità. Le allontana da Pietro e dagli Apostoli creando delle monadi impazzite.
San Paolo, memore della sua esperienza pastorale alle comunità di Corinto, scrisse, per questo motivo, il paragone del corpo (1Cor. 12). Proprio per questo motivo la superbia è il veleno della divisione. E’ probabile che con un pochino di superbia in meno non ci sarebbero state (e non ci sarebbero) tante eresie e correnti ad intra ed il cammino ecumenico viaggerebbe spedito per il suo culmine in Pietro.
Quali rimedi dona la Chiesa? Innanzitutto la radicalità di una vita di preghiera sulla Parola di Dio e sulla autenticità del cuore.
E’ lo Spirito Santo che “convince” al peccato e che fa verità nel tuo cuore, è lo Spirito Santo che ti dona di stare in ginocchio, dentro di te prima che fisicamente.
Nel contempo una robusta vita sacramentale, vissuta con coscienza e serietà gioiosa.
Nello stesso tempo una robusta vita ecclesiale fatta di confronto per essere veri e autentici. Tra i mezzi che abbattono il veleno della superbia c’è il consiglio Evangelico dell’Obbedienza che non è solo per i religiosi o i sacerdoti ma per tutti i battezzati, in diverso ordine e grado. Un altro mezzo che la Chiesa, nella sua sapienza propone, sottolineiamo la direzione spirituale. Qui un breve accenno.
Se non sei capace di ascoltare e sottometterti – indipendentemente da quello che la tua ragione può cogliere in quel momento – significa che in te c’è prepotente il veleno della superbia.
Si sottomette e si umilia solo chi ha carattere e personalità; chi riposa totalmente fiducioso nelle mani del Padre.
La falsa umiltà
C’è però anche una falsa umiltà, che è una superbia mascherata.
L’avversione ai complimenti ne è una dimostrazione. I complimenti quando ci sono, come gli apprezzamenti, sono una cosa buona, lo sbagliato è appropriarsene e non riconoscere la carezza che Dio ci fa attraverso il fratello e la comunità.
Ecco perché l’avversione ai complimenti sono una specie di truffa, sotto la scorza dell’umiltà mascheriamo ciò di cui abbiamo vitalmente e narcisisticamente bisogno, cioè l’apprezzamento.
Segno non solo di disistima ma del sentirsi a posto davanti alla proiezione di dio che ci siamo creati, una sorta di ladrocinio velato del consenso che si esprime con gesti facciali chiari e posture lampanti.
Su quanto una falsa spiritualità si sia fondata su questi atteggiamenti di sottile superbia potremmo a lungo continuare…
Altra falsa umiltà è generata da alcune maschere che ci creiamo ad hoc per “apparire” migliori.
Tra queste le più evidenti sono le maschere devozionali e quella del “primo della classe”.
Dure con se stesse e con gli altri, le maschere devozionali, dietro un’apparenza di devozione nascondono una forte carnalità ed una vocazione perfezionista. Non solo sono vittime del loro stesso psichismo di mancata auto-stima (e di problemi nella sfera affettiva e quindi di castità) ma sono inquinate di quella superbia che le fa sentire fariseicamente giustificate (Lc 18, 9-14) ma che in realtà non si sono mai giocate sinceramente nel perdono e nella carità sia verso se stesse che, inevitabilmente, verso gli altri.
Costoro evitano il peccato non perché sarebbe un dispiacere a Cristo e un disordine effettivo ma piuttosto per sentirsi perfetti, “sopra i peccatori”; talvolta sono talmente immersi in questa menzogna superba che vivono così per una vita, senza accorgersene, duri dispensando durezza, apparentemente sani, sono inquinati di superbia fin nelle midolla.
Struttura deviata che fece pronunciare a Pascal quell’iperbole: “caste come angeli, superbe come demoni”.
Altra maschera frequente nelle nostre comunità è quella del “primo della classe”. Sono i prezzemolini della pastorale. Coloro che si ritengono indispensabili, bisognosi di dire “ci penso io”, sono spesso borghesi e provinciali e fanno le cose per desiderio di apparire, di crearsi un nome nella comunità, un riconoscimento sociale, una poltrona. E guai a chi gliela toglie. La poltrona prende il posto di Dio e il “buon nome” prende ogni reale priorità. Anche nelle comunità e nelle parrocchie c’è il veleno della “curialità”.
Un’altra maschera ad hoc, così diffusa è quella del fare opere di carità, orante, monetaria o di volontariato, per sentirsi (e far vedere) che siamo a posto, giustificati, migliori.
Quante opere buone di ogni tipo, sono inquinate dalla superbia del cuore. Occorre vigilare sempre; gioire del bene e ridimensionarsi con un po’ di sano umorismo. Perchè tutto il bene viene sempre da Dio e noi quando collaboriamo alla sua grazia siamo chiamati a gioirne e non ad appropriarcene; la superbia è infatti, una stoltezza secondo ragione, una non verità, un assurdo ontologico.
Dietro ogni maschera, dunque, si cela la vera celebrazione: quella del sé!
Non a caso satana ne è stato il progenitore.
La superbia sociale
Tutte le volte che la società decide e stabilisce chi è uomo e chi non lo è, compie un atto di superbia distruttivo e selettivo. Da questo a-priori “statalista” e sociale viene ogni mentalità eugenetica, che passa dapprima velatamente con leggi scritte per selezionare l’uomo o ucciderlo quando esso è d’ostacolo al progresso, con l’apparenza di essere liberali o del volere il “bene comune” dello stato. Successivamente si scardinano le fondamenta societarie quali la famiglia.
Anche se, di fatto, il male, la superbia del controllo morale, massmediale e la manipolazione dell’informazione dei cittadini finisce sempre per divorare se stesso. Ma il degrado della superbia sociale non finisce qui e continua poi con il degrado della tortura (fisica e psichica), la discriminazione, il relativismo morale, la pena di morte, l’aborto, l’eutanasia, la pedofilia, la manipolazione genetica della vita e la guerra. Non è lontano quel 1982 quando Giovanni Paolo II, nel XV messaggio per la pace disse della guerra: “il mezzo più barbaro e più inefficace per risolvere i conflitti”.
La risposta di Cristo alla superbia
La risposta di Cristo alla superbia è espressa nel fantastico inno alla comunità di Filippi che scrisse l’apostolo Paolo:
“Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù,
il quale, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio;
ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana,umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.
Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome;
perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra;
e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre. “ (Fil. 2, 5-11)
La nudità e la spogliazione di Cristo sono la via per essere veri davanti a Dio e davanti a se stessi, non tanto per essere migliori quanto per essere in comunione con Lui e con i fratelli ed essere nella verità. Questo è fare un continuo cammino di conversione, essere in permanente obbedienza a Dio e alla Chiesa; sempre discepoli.
Infatti diciamo, ancora una volta, solo quando sei nudo sei libero.
Diceva infatti Francesco di Assisi: “poiché quanto l’uomo vale davanti a Dio, tanto vale e non di più” (FF169)