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«“Culto” e “cultura” hanno la medesima radice». Intervista all’arcivescovo di Parigi

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Zakaria ABDELKAFI / AFP

Agnès Pinard Legry - Caroline Becker - pubblicato il 17/06/19

In occasione della messa che ha presieduto in Notre-Dame sabato 15 giugno, mons. Michel Aupetit (l’arcivescovo di Parigi) è tornato a soffermarsi sulla vocazione fondamentale della cattedrale, essere un luogo di culto, e su ciò che l’incendio ha potuto cambiare nel cuore di ciascuno.

«Lo dico con forza: una cultura senza culto diventa una incultura», ha affermato mons. Michel Aupetit nella sua omelia di sabato 15 giugno, pronunciata in occasione della prima messa a Notre-Dame dopo l’incendio. Al termine della celebrazione Aleteia gli ha chiesto di tornare a lumeggiare il senso di quelle parole.

Agnès Pinard Legry: Durante l’omelia lei si è chiesto se fosse possibile, «per ignoranza o per ideologia,» il «separare la cultura dal culto». Pensa che questa cosa accada?

+ Michel Aupetit: Separare il culto dalla cultura è quel che si avverte al giorno d’oggi, ed è un peccato. Se non siamo vigilanti, è questo l’orizzonte verso il quale ci incamminiamo. Ho incontrato il primo ministro e il ministro della Cultura per ricordare loro che Notre-Dame è una chiesa dedicata al culto. La Chiesa cattolica ha dei diritti ed è importante poterlo ricordare. “Culto” e “cultura” sono due parole che vengono da un’unica e medesima radice. Tutto ciò che è culturale veniva dal culto, poi le cose sono state intese differentemente. Quindi perché separarle oggi? Attualmente la gente non sa granché in fatto di religione. Non perché non vogliono saperne, ma semplicemente per ignoranza. Spetta dunque a noi ricordare queste cose elementari.




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A. P.L.: Sarà dura riconciliare le due nozioni?

+ M. A.: No, non ci vorrà uno scontro. Il fatto è che ricostruendo la cattedrale dobbiamo ricostruire anche la cultura religiosa.

Caroline Becker: Lei vede nell’incendio di Notre-Dame un’occasione di evangelizzazione?

+ M. A.: Dall’incendio in qua constato attorno a me un grande fermento attorno a Notre-Dame. Si tratta di un’occasione di evangelizzazione? Senza che questa fosse l’intenzione, incontestabilmente le persone sono rimaste commosse. Mi ricordo in particolare della Settimana Santa: in quella circostanza un numero enorme di persone è tornata a confessarsi, c’era chi non ci andava da trent’anni! E tanti fra quelli sono venuti per via di Notre-Dame. Con l’incendio c’è stato un po’ come un segnale, un richiamo a tornare all’Essenziale. Ma questo fervore non data unicamente al drammatico incidente. Tanto per dare un’idea, quest’anno abbiamo avuto quasi 500 confermazioni, con un’età media dei candidati che si aggirava intorno ai trent’anni. Riscoprivano la fede, e le loro lettere [quelle che i candidati inviano al Vescovo per la confermazione, N.d.R.] sono di una bellezza!… Veramente incontrano il Signore, non è una formalità. C’è incontestabilmente qualcosa che accade: e non nei cristiani praticanti e di lunga data, bensì in quelli che si erano allontanati dalla religione, così come nei non-cristiani. Scoprono la persona di Cristo ed entrano in una relazione profonda con Lui.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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