di Sandra Real
Sembra che diciamo “Sì” a Dio solo quando la situazione è complicata, ma sappiamo dire “Sì” anche a quello che ci piace? Come cristiani, in genere siamo presi da un’ossessione per il volontariato, il lavoro eccessivo, l’essere sempre disponibili per gli altri. Vogliamo avere parole perfette per ogni occasione, i consigli giusti, la frase del santo a cui siamo devoti pronta per ogni circostanza… ma quando andiamo a dormire continuiamo ad avere un buco in fondo al cuore.
Gesù si è donato fino alla morte, sì, ma si è donato anche come amico che condivideva un bel pranzo di nozze o un pomeriggio assolato in riva al mare, o si donava su un monte con una grande folla di persone che lo seguivano. Non tutta la vita è una croce. Non tutta la vita è morte. Le morti e la sofferenza a cui ci riferiamo noi cristiani sono quelle delle passioni che ci esauriscono e ci impediscono di vivere liberamente: morire ai nostri pregiudizi, ai rancori, alle fobie, alla pigrizia, all’incoerenza…
1. La croce come conseguenza dell’amore
Gesù non ha cercato la croce. La Bibbia ci riferisce varie volte che è fuggito, e fino all’ultimo ha chiesto al Padre di liberarlo da questa. La croce è stata la conseguenza del vivere da innamorato, non come un automa guidato dalla fama e dal potere. La croce è stata il momento in cui si è rivelato quello che siamo capaci di fare al Figlio dell’Amore per il fatto di portare avanti una dinamica violenta, priva d’amore.
Se pensiamo a un Dio Padre che dà cose buone ai suoi figli, però, perché ci limitiamo a pensare di vivere nella croce? Come Gesù, dobbiamo imparare a ricevere da Dio anche le gioie. Dio che ha mandato suo Figlio a nascere in una famiglia amorevole, perché dovrebbe volere che soffriamo?
Dobbiamo cercare momenti di amore, tenerezza, gioia, riposo, festa… anche in quelle situazioni possiamo sperimentare di essere cristiani, seguaci di Cristo.
2. A volte essere figli significa anche lasciarsi amare
Dobbiamo lasciarci conquistare da Dio piuttosto che voler conquistare anime per Lui, un atto che spesso diventa una via di fuga per non guardare il proprio cuore ferito e stanco, con l’ansia di essere curati, consolati, abbracciati, conquistati.
Ci sono giorni in cui non corriamo a salvare il mondo e non è un peccato, ma un’opportunità per lasciarci salvare dal nonsenso e dall’attivismo dall’Amore, in una preghiera, un amico, un incontro con le persone care, in una vacanza di famiglia.
E non con l’affannno produttivo di “riprendere le forze per servire meglio” (tipico di quando si torna da una missione, da un’esperienza monastica o religiosa…), ma con il semplice piacere di accettare la volontà di un Padre che ci sa dare cose buone, di confidare nella sua Provvidenza. E accettando la sua dinamica d’amore la vivremo naturalmente con gli altri.
Qui l’articolo originale pubblicato su Catholic Link.