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Come arrivare al cuore della persona a cui si parla

TALKING

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padre Carlos Padilla - pubblicato il 11/06/19

Meglio più silenzi che parole, più gesti d'amore che disprezzo, più abbracci che distanze, parlare di vita e non solo di teorie

Mi piace dire qualcosa e che mi capiscano. Che una parola trovi eco nel cuore di molti senza dover dare spiegazioni. Mi piace che bastino un gesto, una frase, un sentimento, un’emozione. Mi piace parlare in quella lingua del cuore che comprendo sempre. Non voglio parlare solo di teorie. Voglio parlare della vita.

Gesù parlava in parabole. Perché tutti capissero ciò che diceva. A Pentecoste gli apostoli, pieni di Spirito, parlano con parole che tutti comprendono. E il cuore di chi li ascolta si accende con un fuoco che viene dall’alto. Lo Spirito unisce: in mezzo alle differenze regna la comunione, in mezzo ai vari carismi.

Oggi vedo intorno a me che chi la pensa diversamente resta escluso. E chi non è d’accordo con me è contro di me. Oggi Babele regna in molti cuori. Quella torre in cui la confusione di lingue divide i cuori.

Non voglio che le idee mi dividano. Che i diversi punti di vista mi allontanino da chi amo. Che lo stesso sangue si spezzi perché ci sono convinzioni distinte. È facile separare chi non è come me. È più facile spezzare che unire.

Mi costa parlare una lingua che integra. E non pronunciare le parole che separano. C’è un linguaggio che avvicina, quello del cuore. E ce n’è un altro che allontana, quello della condanna. Quando non accetto chi è diverso. Quando accuso chi non si comporta come mi aspetto da lui.

Imploro lo Spirito perché regni la comunione nella diversità. Riconosco le mie differenze. E le integro con quelle di chi amo.

L’amore unisce sempre. Accoglie, accetta, integra, riconosce. Considera l’estraneo carne della propria carne. È misericordioso con chi non è esattamente uguale.

La Pentecoste è la festa del miracolo della comunione. Spesso mi sento tanto lontano, perché non costruisco ponti ma muri. Perché non accetto opinioni diverse, pretendendo di imporre le mie. E mi costa integrare i carismi diversi dal mio.

Ho bisogno di parlare una lingua che integri. È importante imparare a parlare nella lingua che altri comprendono. Dio fa così con me:

“Col tempo finiamo per conoscere il linguaggio di Dio, un linguaggio diverso per ogni persona. Conosco molto bene il linguaggio che impiega con me, quel modo tanto speciale di mescolare l’umano e il divino, e posso affermare che è meravigliosamente adeguato. Più che di parole, si tratta di un amore che si risveglia e che so che viene da fuori, perché la sua origine non è in me” [1].

Dio riconosce il mio cuore e mi parla in un modo che solo io capisco. Lo fa Lui che tutto può in me. Riconosco le sue parole incise nel mio petto.

So che accende solo me in quel modo. Con i suoi silenzi, con le sue carezze. Mi parla in modo particolare, perché capisca. Il suo linguaggio mi avvicina, mi mantiene attaccato alla sua pelle. Vorrei parlare sempre così.

Il linguaggio del suo amore è comprensibile per tutti. Voglio avere il dono di parlare a ciascuno nella sua lingua. Sarà possibile?

Ho bisogno di avere uno sguardo più aperto. Un cuore più grande. Di non chiudermi nella mia carne di fronte a chi è diverso. Di non fuggire da chi non è come me.

Percepire ciò che prova il cuore di chi si avvicina pieno di dolore e miseria. Comprendere le sue angosce e percepirne le paure. E dire e tacere le parole precise. Né più né meno.

Meglio più silenzi che parole. Più gesti d’amore che disprezzo. Più abbracci che distanze. Il linguaggio del cuore è qualcosa di nuovo che Dio pone in me come fonte di acqua viva.

Voglio mettermi nel cuore dell’altro. Parlargli in ciò che sta vivendo. Non vivere centrato su quello che vivo io. Voglio ascoltare di più, tacere di più, parlare meno.

Voglio un linguaggio che non conosca il rimprovero e conosca il perdono. Un linguaggio che parli di speranza e non viva amareggiato nelle lamentele.

Un linguaggio che parli della vita sulla terra. Anelando al cielo. Un linguaggio che sappia riconoscere e nobilitare il carisma nascosto in ogni anima.

Mi piace quel linguaggio di Gesù che scrive per terra. E i suoi silenzi pieni di misericordia. E i suoi passi allegri nei campi aprendo cammini nuovi. E il suo linguaggio di vento e calma in mezzo al mare di Galilea.

Mi commuovono le sue parole piene di vita quotidiana. E il suo grido di misericordia dalla croce. Mi emozionano le sue beatitudini gridate dalla cima di un monte. Perché tutti comprendano che possono essere felici anche nella paura.

E mi rallegra vedere il suo sguardo diretto, con gli occhi neri, che pronuncia il mio nome. Conosce il mio linguaggio. Non lo dimentica. E mi conosce nella mia verità, senza giudicarmi.

Mi piace il linguaggio di chi mi ama, perché mi parla sempre al cuore. E comprendo che le mie miserie non vanno nascoste, perché il suo amore le accoglie commosso e piange con me. Aspettando un cielo aperto ogni mattina.

[1] Cardinale Robert Sarah, La fuerza del silencio, 66

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