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Nonna, grazie a te ho capito quanto una persona è preziosa anche se non ti riconosce più!

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By tcsaba/Shutterstock

Silvia Lucchetti - pubblicato il 08/06/19

"Scrivere di te (...) è doloroso ma è bellissimo": la lettera struggente e sincera della 15enne Angelica alla nonna Elsa malata di Alzheimer.

Ho letto davvero con piacere e grande commozione i componimenti premiati al concorso: “Io e miei nonni” (tempi.it) lo scorso 4 giugno a Roma nella Sala Koch del Senato, alla presenza del presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati e del senatore Massimiliano Romeo. Il concorso indetto dall’associazione Nonni 2.0, in collaborazione con Tempiha raccolto 2414 elaborati: lettere, poesie, piccoli racconti di studenti appartenenti a istituti scolastici di ogni ordine e grado dal nord al sud del nostro Paese. I lavori sono stati valutati da una giuria presieduta dal poeta Davide Rondoni

“Avevi delle mani bellissime”

“Non ti scordar di me” è il titolo del testo di Angelica Ippolito, studentessa della 2 B del liceo scientifico ISIS Magrini Marchetti di Gemona del Friuli (UD), che ha vinto il primo premio della sezione Secondarie 2° grado. Non ti scordar di me, come il fiore, come la canzone… e da oggi come le parole piene di pianto e di vita che la giovane dedica a sua nonna Elsa che era malata di Alzheimer.

Avevi delle mani bellissime, sai, a volte mi sembra ancora di vederle mentre stringono la stoffa dei pantaloni del pigiama che indossi. Ricordo anche quello; come ricordo la tua tuta grigia e pesante e tutte le volte in cui papà ti ha nascosto le pastiglie nei fagiolini pur di fartele prendere. Ti vedo sulla poltrona, seduta accanto al nonno, e poi sul letto, mentre Loredana ti cambia. Ti sento cantare i ritornelli che avevi imparato da bambina, e mentre inutilmente cerchi tua madre.
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Pensieri sinceri che raccontano senza abbellimenti una situazione reale, dolorosa ma al contempo piena di dignità e umanità. Angelica non edulcora, non finge, non inventa: chiama le cose con il loro nome. C’è il dolore, la rabbia, la paura, l’impotenza. Ma al contempo dalla ferita della malattia sgorgano gratitudine, amore, stupore, tenerezza. Ci sono il sondino, le medicine, il pigiama, ma anche le mani bellissime di Elsa, il suo sorriso travolgente, la sua bellezza. La presenza assenza potentissima di una nonna che non ricorda più il nome della nipote, ma che è incredibilmente preziosa e fondamentale.

“Tu ridevi sempre, (…)questo non è mai cambiato”

Penso a tutte le volte in cui, come se una vita non fosse bastata a distinguere le fattezze delle tue nipoti, mi hai chiamata Anna, nome breve e facile da tenere a mente, anche se io non capivo. Ripenso a quando, prima di Loredana, Renata ti distraeva con le sue battute stupide o ti cantava quei motivetti senza senso che alla fine a casa abbiamo imparato tutti, e ti faceva indossare i miei occhiali da sole tondi. Tu ridevi sempre, in ogni occasione, questo non è mai cambiato. Se mi concentro riesco anche a riprovare il senso d’impotenza e la stessa rabbia per ciò che ti succedeva e che trovavo così profondamente ingiusto, dato che eri sempre stata gentile con tutti. Sento pesare l’angoscia delle notti passate in bianco quando stavi male, le ore interminabili, in cui tutto era buio e silenzioso, trascorse col cuscino premuto sulle orecchie nel terrore che il telefono squillasse. Ricordo quel pomeriggio in cui avevi iniziato a cullare la mia bambola, per un qualche istinto materno che in te era sempre stato innato, e tutti mi avevano chiesto di lasciartela, ma io non avevo voluto. Me ne vergogno moltissimo, ma perdonami, ero piccola. Ora come ora, di quelle bambole te ne regalerei a migliaia.
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Grazie a te ho capito quanto una persona è fondamentale anche se non ti riconosce più!

Sai, tutto riaffiora: le svariate occasioni nelle quali Anna mi ha ricordato che, se proprio non ne potevo fare a meno, quando stavi male dovevo piangere in bagno o in camera, ma mai di fronte al nonno; la gioia enorme nel vederti a casa, anche se con il sondino; i baci sulla fronte e gli omogeneizzati. Vorrei poter raccontare di gite al parco e fiabe lette, di baci della buonanotte e di te che vieni a prendermi alla fermata del pullmino, di pomeriggi passati a giocare e di pensieri condivisi, ma non sarebbe la nostra storia. Non lo sarebbe perché a noi non è stato concesso il tempo di fare queste cose, non ne abbiamo avuto l’occasione. Ma sono infinitamente grata per aver avuto quella di amarti con tutto l’amore del mondo, di essermi potuta rendere conto di quanto una persona possa essere fondamentale anche se non si ricorda il tuo nome e non ti riconosce più.
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By Photographee.eu/Shutterstock

Non c’è stato il tempo per i gesti caldi e rassicuranti delle nonne: niente passeggiate insieme, niente chiacchierate e giochi, ma Angelica al dispiacere per questa quotidianità mancata affianca la gratitudine per aver avuto la nonna, per averla amata profondamente: malata, senza memoria e forse proprio per questo ancora più fondamentale, preziosa, insostituibile!

Nonostante tutto sei il mio primo ricordo!

Mi accontento del filmino tutto sgranato della mia prima Pasqua, dove mi tieni in braccio e ridendo dici: “Ma cja ce biela fruta” *. Anche la tua risata era bellissima, in realtà eri bella tu, di uno splendore disarmante, lo sei sempre stata. Nonostante i giochi che non abbiamo fatto, i discorsi mai pronunciati, gli abbracci a senso unico e i muri che c’erano senza che nessuno li avesse eretti, sei il mio primo ricordo: tu e io sui sedili posteriori dell’auto a cantare.



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A te, che sei casa

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Gli ultimi pensieri narrano il dolore della perdita, la sofferenza nel ricordare il passato che però diventa fonte di vita e momento di introspezione necessario. Questa nonna che stava male ed era come già assente, già spenta prima di spegnersi per sempre, era una luce vivissima nella vita di Angelica. Con la sua presenza silenziosa era un memento fecondo e continuo: testimonianza e certezza, bellezza, pianto e speranza. Era casa. La casa di Angelica.

Non poterti più venire a baciare la sera mi ha svuotata completamente, per settimane non sono più stata capace di guardare nella tua stanza, sapendo di trovarci un letto vuoto. Scrivere di te è sprofondare tra ricordi che ormai mi sembrano lontanissimi, significa tornare a inquadrare nitidamente il tuo viso, provare in tutta la loro concretezza sensazioni che credevo di aver sepolto. È doloroso ma è bellissimo, è come una presa di coscienza. Mi hai segnata profondamente, eri completamente assente e allo stesso tempo avvertivo potentissima la tua presenza, eri immobile eppure percepivo in te un’energia quasi violenta. Ne avessi ancora l’occasione, dipingerei per te tutto quello che non hai visto, ti racconterei tutto ciò che ti sei persa dal duemila all’anno scorso, ma soprattutto ti farei viaggiare, ti porterei ovunque pur di farti mettere il naso fuori dalla tua Carnia. Anche se alla fine tutto conduce lì, unico luogo dal quale nemmeno io riesco ad allontanarmi per lungo tempo, dove ci sono le montagne che hai visto sin da bambina, il lago dove hai portato i tuoi figli a fare il bagno, e tutto quello che mi fa pensare a te, che sei casa. *(“ma guarda che bella bimba”) Tempi.it



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